La Orden de la Santísima Trinidad y los cautivos

Regla, Constituciones y Directorio General

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Regola di San Giovanni De Matha approvata da Papa Innocenzo III

Innocenzo, vescovo, servo dei servi di Dio, al diletto figlio Giovanni, Ministro, e ai Frati della Santa Trinità, salute e apostolica benedizione.

Posti, per disposizione della divina clemenza, al vertice della sede apostolica, Noi dobbiamo assecondare i sentimenti religiosi e, quando procedono dalla radice della carità, portarli a compimento, specialmente quando ciò che si cerca è di Gesù Cristo, e l’utilità comune è anteposta a quella privata.

Poiché, dunque, tu, diletto figlio in Cristo, fra Giovanni, Ministro, tempo fa ti presentasti a Noi e ti desti premura di manifestarci umilmente il tuo proposito, che si ritiene aver avuto origine da ispirazione divina, chiedendo che la tua intenzione fosse confermata dall’autorità apostolica, Noi, per meglio conoscere il tuo desiderio, fondato in Cristo, fuori del quale non può essere posto stabile fondamento, giudicammo opportuno invitarti con Nostre Lettere al Venerabile Nostro Fratello (...), vescovo, e al diletto figlio (...), abate di San Vittore, parigini, affinché da essi, che meglio conoscono il tuo desiderio, informati della tua intenzione e del frutto di tale intenzione, della istituzione dell’Ordine e del suo modo di vivere, potessimo con maggiore sicurezza e maggiore efficacia concederti il Nostro assenso.

Poiché, come chiaramente abbiamo conosciuto dalle loro lettere, è evidente che voi desiderate più l’interesse di Cristo che il vostro, Noi, volendo che vi assista la protezione apostolica, con l’autorità delle presenti Lettere, concediamo a voi e ai vostri successori la Regola secondo la quale dovete vivere, il cui contenuto il vescovo e l’abate suddetti ci hanno trasmesso allegato alle loro lettere, insieme a quanto, secondo la Nostra disposizione e la tua richiesta, o figlio, Ministro, abbiamo creduto di dovervi aggiungere; e stabiliamo che la concessione resti immutata in perpetuo. Il loro contenuto abbiamo disposto che, per sua maggiore chiarezza, fosse qui sotto riportato. Nel nome della santa e individua Trinità.

1. I frati della casa della Santa Trinità vivano sotto l’obbedienza del prelato della loro casa, che si chiamerà Ministro, in castità e senza nulla di proprio.

2. Tutti i beni da qualunque parte provengano lecitamente, li dividano in tre parti uguali; ed in quanto due parti saranno sufficienti, compiano con esse opere di misericordia, provvedendo insieme e in giusta misura al proprio sostentamento e a quello dei domestici, che per necessità hanno a servizio. La terza parte, invece, sia riservata per la redenzione degli schiavi che sono stati incarcerati dai pagani per la fede di Cristo: pagando un prezzo ragionevole per il loro riscatto oppure per il riscatto di schiavi pagani, purché poi, a prezzo conveniente e con retta intenzione, sia liberato lo schiavo cristiano commutandolo, secondo meriti e stato delle persone, con lo schiavo pagano.

Qualora fosse stato offerto del denaro o qualche altra cosa, anche se data per uno scopo proprio e specifico, un terzo, sempre con il consenso del donatore, sia messo da parte, altrimenti non venga accettata, eccettuati terreni, parti, vigne, boschi, edifici, allevamenti e cose simili. Gli utili che ne derivano, detratte le spese – tolta cioè, la metà per le spese – siano divisi in tre parti uguali; ma se comportano poca o nessuna spesa, siano tutti divisi. Quando però fossero stati dati, o avessero avuto per iniziativa propria, panni, calzature o cose simili di poco conto, di uso necessario, che non conviene vendere o conservare, non se ne faccia la divisione, a meno che non sia parso conveniente farlo al Ministro della casa dei frati. Di tali cose, se è possibile, se ne liberi in capitolo ogni domenica. Se però le cose suddette, come panni, terreni, allevamenti o cose di poco conto fossero vendute, il prezzo che se ne ricava sia diviso in tre parti, come sopra.

3. Tutte le chiese di questo Ordine siano intitolate al nome della santa Trinità e siano di struttura semplice.

4. I frati in una medesima casa possono essere tre chierici e tre laici, e inoltre uno che sia il procuratore – il quale, come si è detto, non sia chiamato procuratore, ma Ministro: per esempio: fra A., Ministro della casa della Santa Trinità – al quale i frati devono promettere e prestare obbedienza.

5. Il Ministro provveda fedelmente a tutti i suoi frati come se stesso.

6. Gli indumenti siano di lana e bianchi; a ciascuno è permesso avere una sola pelliccia e calzoni che, stando a letto, non devono togliersi.

7. Dormano in stoffe di lana, così da non avere assolutamente nelle proprie case – tranne che per gli ammalati – lettiere morbide o materassi. Possono però avere il guanciale per appoggiarvi il capo.

8. Sui mantelli dei frati siano posti i segni sacri.

9. Non cavalchino cavalli, e neppure li abbiano, ma è loro permesso cavalcare soltanto asini, dati, prestati o presi dai propri allevamenti.

10. Il vino che i frati devono bere sia temperato, di modo che possa bersi con sobrietà.

11. Digiunino dal 13 settembre il lunedì, il mercoledì, il venerdì e il sabato, a meno che non capiti una festa solenne, fino a Pasqua: in modo però che, dall’avvento fino alla Natività del Signore e della quinquagesima fino a Pasqua, eccettuate le

domeniche, digiuno con cibo quaresimale; facciano similmente altri digiuni, che la Chiesa è solita celebrare. Il Ministro può, tuttavia, qualche volta mitigare con discrezione il digiuno a causa dell’età, per viaggio o per altro giusto motivo o, esaminatane la possibilità, anche aumentarlo.

12. È lecito mangiare carni, offerte da persone fuori o prese dai propri allevamenti, nei giorni di domenica da pasqua fino all’avvento del Signore e da Natale fino alla settuagesima, e nella Natività, Epifania e Ascensione del Signore, nell’Assunzione e nella Purificazione della beata Maria e nella festa di tutti i Santi.

13. Nulla comprino per il vitto tranne il pane e il companatico -ossia fave, piselli e legumi del genere- gli erbaggi, l’olio, le uova, il latte, i formaggi e la frutta. Ma non è lecito comprare né carni né pesci né vino, se non per i bisogni degli infermi o dei deboli di salute o dei poveri, oppure nelle grandi solennità. È peraltro permesso comprare animali da allevamento e nutrirli.

Quando però sono in viaggio o in pellegrinaggio, è loro concesso di comprare, ma moderatamente e se è necessario, vino e pesci durante la quaresima; e se viene loro data qualche cosa, vivano di essa e il rimanente lo dividano in tre parti. Ma se si sono messi in viaggio per redimere gli schiavi, tutto quello che viene loro dato, detratte le spese, devono impegnarlo totalmente per la redenzione degli schiavi.

14. Nelle città, nelle borgate o villaggi in cui hanno case proprie, al di fuori di esse, se non eventualmente in casa religiosa, anche se da chiunque pregati, non mangino né bevano assolutamente nulla, fuorché acqua in case oneste; né presumano di pernottare fuori delle predette case. Non mangino né bevano mai in taverne o simili luoghi malfamati. Chi avesse osato ciò, soggiaccia a grave pena, secondo il giudizio del Ministro.

15. Tale sia la carità tra i frati chierici e laici, che abbiano lo stesso cibo, vestito, dormitorio, refettorio e la stessa mensa.

16. Gli infermi dormano e mangino da parte; alla loro assistenza sia deputato qualche converso laico o chierico, che procuri loro le cose necessarie e le somministri come devono essere somministrate. Si ammoniscano tuttavia i malati di non chiedere cibi lauti o troppo sontuosi, contenuti piuttosto di una sobrietà conveniente e sana.

17. (La cura degli ospiti, dei poveri e tutti i viandanti) sia affidata a un frate tra i più prudenti e benevoli, il quale li ascolti e, se ne sarà il caso, dia loro il conforto della carità. Chieda tuttavia a quelli che crede di dover accogliere, se sono disposti ad accontentarsi di quanto viene servito ai frati. Non è certo conveniente che qualcuno sia ammesso a pasti abbondanti e costosi. Ma quel che c’è da dare, lo sia dia con gioia, e a nessuno sia resa offesa per offesa. Se qualcuno, specialmente religioso, chiede ospitalità, sia accolto benevolmente e servito con carità, secondo le possibilità della casa.

Non si dia però agli ospiti né avena né altro al posto dell’avena, se essi si trovano in città o villaggi o dove essa possa trovarsi in vendita, a meno che gli ospiti non siano religiosi, o tali che non l’abbiano a portata di mano e non possono comperarla. Se

poi gli ospiti non l’avessero trovata in vendita e se ne trova nella casa in cui sono stati accolti, sia loro fornita a prezzo conveniente.

18. Nessun frate laico o chierico sia possibilmente senza una sua mansione. Ma se qualcuno non volesse lavorare pur essendone in grado, lo si obblighi a lasciare il suo posto, poiché l’Apostolo dice: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi!”.

19. Osservino il silenzio sempre nella loro chiesa, sempre nel refettorio, sempre nel dormitorio. È però loro permesso parlare di cose necessarie in altri luoghi, in tempi adatti, a bassa voce, con umiltà e decoro; fuori dai luoghi predetti, il loro parlare sia dunque onesto e senza scandalo. Così pure tutto il loro contegno, comportamento, vita, modo di agire e ogni altra cosa siano in essi trovati dignitosi.

20. Se è possibile, ogni domenica nelle singole case il Ministro tenga il capitolo con i suoi frati, e i frati al Ministro e il Ministro ai frati rendano conto fedelmente degli affari della casa e delle cose date alla casa e ai frati, affinché sia destinata la terza parte alla redenzione degli schiavi.

21. Similmente ogni domenica, se è possibile, si faccia una esortazione non solo ai frati, ma anche ai domestici della casa, secondo la loro capacità, e siano esortati con semplicità su quanto devono credere o fare.

22. Su tutte le cose e sugli alterchi i frati siano giudicati in capitolo.

23. Nessun frate accusi pubblicamente un suo confratello, se non può dare una prova sicura. Chi avrà fatto ciò, subisca la pena che avrebbe dovuto subire il reo nel caso che fosse stata provata la sua colpevolezza, a meno che per qualche motivo il Ministro non abbia voluto soprassedere. Quelli che eventualmente avessero dato scandalo o fatto qualche cosa di simile o, non sia mai, si fossero percossi a vicenda, soggiacciano a pena maggiore o minore, a discrezione del Ministro.

Se qualche frate avesse mancato nei confronti di un altro frate, cioè contro un altro frate e lo sappia solo chi ha ricevuto l’offesa, questi sopporti pazientemente anche se è innocente; e quando gli animi si saranno calmati, ammonisca e riprenda l’altro con dolcezza e in modo fraterno da solo a solo fino a tre volte, perché faccia penitenza di ciò che ha commesso, e si astenga in seguito da simili mancanze. Se non gli avrà dato ascolto, lo dica al Ministro e questi lo riprenda in segreto, secondo quello che vedrà conveniente al suo bene.

Se invece chi ha dato scandalo vuol riparare spontaneamente, si distenda con tutta la persona ai piedi dello scandalizzato chiedendo perdono, e se non basta una volta, lo ripeta fino a tre volte. Ma se il fatto avvenuto il pubblico, qualunque sia la penitenza che ne seguirà, questa sia la prima –la prostrazione, cioè di tutto il corpo ai piedi del Ministro con la richiesta del perdono- ; poi sia ripreso a giudizio del medesimo.

24. Il capitolo generale si celebri una volta all’anno, e lo si tenga nell’ottava di pentecoste.

25. Se per necessità della casa si dovesse contrarre qualche debito, questo sia prima proposto ai frati in capitolo, e sia fatto con il loro consiglio e consenso, per evitare così sospetti e mormorazioni.

26. Se qualcuno avesse arrecato danno ai beni della casa e fosse necessario ricorrere al giudica, non lo si faccia prima che egli venga ammonito con carità, in primo luogo dai frati e poi similmente da altri vicini.

27. L’elezione del Ministro sia fatta per comune deliberazione dei frati, e non lo si elegga secondo la dignità dei natali, ma secondo il merito della vita e la dottrina della sapienza. Chi viene eletto sia sacerdote o chierico idoneo agli ordini. Ma il Ministro, sia maggiore che minore, sia sacerdote.

28. Il Ministro maggiore può ascoltare le confessioni dei frati di tutte le comunità del medesimo Ordine. Il Ministro minore invece ascolti le confessioni dei frati della sua casa, purché la vergogna, per qualche ripetuta trasgressione, non offra l’occasione di confessarsi dai propri Superiori più raramente e con minore schiettezza di quanto convenga.

29. Il Ministro provveda con premura a osservare in tutto i precetti della Regola, come gli altri frati.

30. Se dopo essere stato eletto egli meritasse di essere deposto per qualche colpa, sia deposto dal Ministro maggiore, dopo aver convocato tre o quattro Ministri minori, e al suo posto sia messo un altro che ne sia degno. Se però per la distanza dei luoghi o per altra ragionevole causa il Ministro maggiore non potesse fra questo, affidi l’incarico a dei Ministri minori più timorati; e ciò che essi avranno fatto, sia ritenuto ratificato dall’autorità del maggiore.

Se poi per colpe gravi fosse da riprendere o da deporre il Ministro maggiore, ciò sia fatto da quattro o cinque Ministri del medesimo Ordine tra i più timorati, che però devono essere eletti a tale scopo dal capitolo generale.

31. Se qualcuno volesse essere frate di questo Ordine, all’inizio serva Dio nell’Ordine per un anno a spese proprie, tranne il vitto, ritenendo il suo vestiario e tutte le sue cose; e dopo un anno, se al Ministro della casa, ai frati e a lui sembrerà cosa buona e conveniente e vi sarà posto, sia ricevuto. Nulla tuttavia si esiga per la sua ammissione. Se però desse qualche cosa gratuitamente, la si accetti, purché sia tale che non sembri derivarne controversia alla Chiesa. Se sulla condotta di qualcuno vi fossero motivi di dubbio, si faccia, si faccia di lui prova più lunga. Se prima dell’ammissione qualcuno si fosse comportato con insubordinazione o insofferenza della disciplina e, a giudizio del Ministro, non avesse emendato i suoi costumi, gli si dia con semplicità licenza di andarsene con tutto ciò che aveva portato con sé. Nessuno sia ricevuto nell’Ordine se prima non risulta che ha compiuto venti anni. La professione sia rimessa al giudizio del Ministro.

32. Non accettino dalle mani di un laico pegni, decime, con licenza del proprio Vescovo.

33. Non facciano giuramenti, se non per grave necessità con il permesso del Ministro o per ordine del loro Vescovo o di altri che faccia le vece della Sede Apostolica, e ciò per causa onesta e giusta.

34. Se in una cosa messa in vendita è stato notato qualche difetto, lo si indichi al compratore.

35. Non è loro consentito accettare deposito di oro o di argento o di denaro.

36. Nello stesso giorno in cui arriva o viene portato un infermo, questi si confessi dei suoi peccati e si comunichi.

37. Ogni lunedì, eccetto nelle ottave di Pasqua, Pentecoste, Natività del Signore, Circoncisione ed Epifania e nelle festività che vengono proclamate da osservare, finita la messa per i fedeli, si faccia nel cimitero l’assoluzione dei fedeli defunti.

38. Ogni notte, almeno nell’ospizio alla presenza dei poveri, si pregi in comune per lo stato e la pace della Santa Romana Chiesa e di tutta la cristianità, per i benefattori e per coloro per i quali la Chiesa universale è solita pregare.

39. Nelle ore canoniche osservino la consuetudine del beato Vittore, a meno che pause, altre prolissità e uffici notturni non debbano essere tralasciati, su consiglio di uomini pii e devoti, per il lavoro e la scarsità di quelli che svolgono il servizio. Per il loro piccolo numero infatti, non sono tenuti a fare pause tanto lunghe nel salmeggiare, né ad alzarsi tanto presto.

40. Similmente nella rasatura i chierici seguano l’Ordine di San Vittore. I laici invece non radano la barba, ma la lascino crescere modestamente.

A nessuno (assolutamente, è lecito infrangere o contravvenire con temeraria presunzione a questo scritto) della nostra concessione e costituzione.

(Se qualcuno poi osasse tentare di fare ciò, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo).

Dato (nel Laterano, il 17 dicembre dell’anno dell’Incarnazione del Signore 1198, nel primo anno del Nostro Pontificato).

Capitolo I: LEGGI DELL’ORDINE

1. L’Ordine della Santissima Trinità è una famiglia religiosa, fondata con regola propria da san Giovanni de Matha. I suoi membri, vivendo in comunione di vita, per l’edificazione della Chiesa si consacrano con titolo speciale alla Trinità e seguono più da vicino Cristo Redentore. Si dedicano, nel servizio di carità e redenzione, alle persone afflitte da particolari difficoltà per aiutarle specialmente nella fede, e ai poveri.

La Regola di San Giovanni è principio e fondamento dello spirito dell’Ordine. Essa, aggiornata e arricchita nel corso dei secoli dalla tradizione e principalmente dallo spirito e dall’opera del Riformatore Giovanni Battista, viene spiegata secondo l’intendimento della Chiesa e secondo le vigenti costituzioni.

L’Ordine della Santissima Trinità è Ordine clericale di diritto pontificio.

2. Dio Padre ci ha voluti salvi solo per Cristo nello Spirito Santo. Cristo, poi, ha costituito la Chiesa come sacramento universale di salvezza. Chi, dunque, entra nell’Ordine della Santa Trinità si propone principalmente, aderendo in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero, di seguire Cristo con maggiore libertà, di imitarlo più fedelmente con la professione dei consigli evangelici e di tendere alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità [1]. Per raggiungere questa santità, mosso dallo Spirito Santo, si vale dei mezzi proposti nell’Ordine, per unirsi così più intimamente a Cristo, annunciatore del nome del vero Dio, glorificatore del Padre e Redentore del genere umano. Egli, pertanto, cerca con tutte le forze di attendere, coi fatti e nella verità, alla gloria della Trinità e alla redenzione dei fratelli.

3. È dovere dei frati attuare questo genere di vita non solo individualmente, ma anche comunitariamente [2]. Essi, nel loro stile di vita sia personale che comunitario, hanno il diritto dovere di sperimentare e manifestare la Trinità e la Redenzione di Cristo.

Conciliano la pratica della preghiera, la celebrazione dell’Eucarestia e della Liturgia delle Ore, i capitoli e le altre osservanze comuni dell’Ordine, con le opere di apostolato sia caritativo che ministeriale, in maniera tale che sia ritenuta la genuina fisionomia dell’Ordine [3].

Hanno ugualmente cura di conservare quanto è prescritto nella Regola ed è contenuto nelle sacre tradizioni, cioè: la semplicità, l’umiltà, l’uguaglianza fra i frati, la gioia della vita, l’ospitalità, il lavoro assiduo e la comunicazione dei beni, la pratica del silenzio e della preghiera, l’onestà, una certa austerità, la mutua correzione evangelica, e la caratteristica principale di tutta la vita religiosa trinitaria, vale a dire, lo spirito di carità e di servizio [4].

4. La spiritualità trinitaria è costituita da elementi teologici, ascetico-mistici ed apostolici della Chiesa, che l’Ordine però partecipa, vive ed esercita in un certo suo modo peculiare, conformemente al dono ricevuto da Dio.

La vita dedicata in modo speciale alla Santissima Trinità costituisce, sin dalle origini, un elemento essenziale e caratteristico del patrimonio dell’Ordine, arricchito, nel corso dei secoli, dalla tradizione.

Perciò i frati, in quanto incorporati all’Ordine, si consacrano per nuovo e speciale titolo alla Trinità, “avendo Dio, tra gli altri religiosi, fatto di noi dei vasi di elezione, perché portiamo per tutto il mondo il nome ammirabile della Santissima Trinità” [5].

Da questa coscienza trinitaria vivamente percepita, per la quale intendono progredire nell’intima comunione con il Padre per il Figlio nello Spirito Santo [6], fluisce costantemente tutta la loro vita spirituale e liturgica, religiosa, comunitaria e apostolica e il suo rinnovamento, in un continuo aumento della carità verso Dio e verso il prossimo.

5. Lo spirito dell’Ordine, il suo progetto e il suo stile di vita “derivano dalla radice della carità” [7]. I nostri Padri, infatti, preoccupati dei pericoli ai quali era esposta la fede, e mossi a pietà delle miserie umane, vollero apportare rimedi spirituali e sociali ai mali più urgenti del loro tempo, specialmente alla schiavitù dei cristiani.

È dunque compito e dovere dell’Ordine, considerati l’evoluzione e il progresso dell’odierna società, prestare il servizio di misericordia e redenzione, perché entrino “nella libertà della gloria dei figli di Dio” Rm 8, 21:

a) alle persone che soffrono persecuzione per Cristo, o la cui fede cristiana è in pericolo o viene impedita;

b) a coloro che sono privati dei diritti di libertà e di giustizia e sono sottoposti a dolori e tormenti nel corpo e nello spirito, ai poveri e ai derelitti, soccorrendoli con opere di misericordia e con altre iniziative di assistenza e di promozione;

c) ai popoli che ancora non credono in Cristo, assumendo l’impegno di propagare il Vangelo e di impiantare fra essi la Chiesa; cosa che l’Ordine adempirà secondo il proprio spirito e la propria indole, specialmente nelle regioni in cui si desidera che sia maggiormente promosso il progresso dei popoli;

d) ai fedeli per aiutarli o fortificarli nella fede con il servizio ministeriale, svolgendo l’azione apostolica, secondo il proprio spirito e la propria indole, nelle varie mansioni che la Chiesa ha affidato all’Ordine.

6. Tutta la vita dell’Ordine e il suo continuo rinnovamento dipendono massimamente dalla formazione dei membri. Tale formazione, tuttavia, deve essere compiuta in maniera che, nella fusione armonica dei vari elementi, favorisca l’unità di vita dei membri [8].

7. Cristo ha anche affidato alla Chiesa il ministero di governo [9], da esercitare per il bene delle anime. Pertanto il nostro Ordine, che per la sua indole clericale partecipa alla potestà ecclesiastica di governo [10], ordina e dirige la vita e l’attività dei frati verso la perfezione della carità, con l’aiuto di norme e col servizio della legittima autorità.

Le norme principali dell’Ordine sono contenute nelle costituzioni, nel direttorio generale e nei vari statuti.

L’autorità dell’Ordine è:

a) collegiale, e risiede nei vari capitoli, congregazioni e, talvolta, nei Consigli dell’Ordine, a norma di queste costituzioni;

b) personale, che solo può esercitare un frate sacerdote, che “è chiamato Ministro” [11]: Ministro maggiore generale, in tutto l’Ordine; Ministro provinciale, nelle singole province e giurisdizioni ad esse equiparate; Ministro locale, nelle case religiose.

8. Sin dall’inizio del nostro Ordine, i fedeli, anche riuniti nel corso dei secoli in istituti ed associazioni, partecipano dello spirito del primo Ordine e, in comunione di amore, nella cooperazione all’attività e alla vita dei frati, sono legati all’Ordine in vari modi e in gradi diversi.

Essi, insigni del medesimo titolo della Santissima Trinità e animati in diverse maniere dal medesimo spirito peculiare, ricercano la gloria della Santissima Trinità e la redenzione delle persone, e costituiscono insieme con noi, la famiglia trinitaria.

9. L’indole e la missione del nostro Ordine nella Chiesa vengono, per varie ragioni, convenientemente espresse nella forma simbolica di uno stemma.

Lo stemma dell’Ordine è quello usato fin dai primi tempi dell’Istituto, e che si vede rappresentato in mosaico sulla porta principale di San Tommaso in Formis a Roma, cioè: Cristo Redentore che tiene nelle sue mani due uomini con catene alle tibie, e intorno scritta la dicitura: “Signum Ordinis Sanctae Trinitatis et Captivorum”.

L’abito, segno della nostra consacrazione [12] e della nostra fraternità, consta, secondo la tradizione recepita nell’Ordine, di una tonaca bianca con cintura nera, scapolare bianco al quale è sovrapposta una croce di colore rosso e azzurro, e cappuccio ugualmente bianco [13].

Il nome o titolo dell’Istituto è: “Ordine della Santissima Trinità”, [14] la sua sigla: “O.SS.T.”.

10. Chi per misericordia di Dio Padre è chiamato alla vita religiosa e diviene partecipe del patrimonio dell’Ordine, con animo libero ringrazi per così gran beneficio l’augusta Trinità, e “si adoperi con tutte le forze a perseverare e maggiormente eccellere nella vocazione, a cui Dio l’ha chiamato, per una feconda santità della Chiesa, a maggior gloria della Trinità una e indivisa, che in Cristo e per mezzo di Cristo è la fonte e l’origine di ogni santità” [15].

Capitolo II: PROFESSIONE RELIGIOSA NELL’ORDINE

11. La professione religiosa è la libera e gioiosa risposta a Cristo, che invita a seguirlo più da vicino per mezzo della pratica del consigli evangelici [16]. Essa esprime più pienamente la consacrazione battesimale; unisce più intimamente quelli che fanno la professione al sacrificio Eucaristico di Cristo a lode della Trinità; manifesta i beni celesti, già presenti in questo mondo, e preannunzia la gioia del Regno [17].

La Chiesa accoglie, con azione liturgica, la donazione di quelli che professano, e li unisce in modo speciale a sé e al suo mistero, perché si dedichino alla santificazione personale e al bene della Chiesa [18].

12. La vita religiosa giova grandemente al vero progresso della persona umana e della società [19]; infatti, l’adesione all’invito di Cristo aiuta l’uomo a promuovere una solida maturità della persona [20] e a permanere la società dei valori umani e cristiani, come anche a collaborare validamente “perché l’edificazione della città terrena sia sempre fondata nel Signore e a Lui diretta” [21].

13. Il frate, in forza della professione religiosa con la quale assume l’obbligo di osservare i consigli evangelici con voto pubblico, viene incorporato all’Ordine e diviene partecipe della comunione dei beni, dei doveri e dei diritti secondo le norme dell’Istituto [22], e promette di seguire fedelmente la forma di vita propria dell’Ordine, secondo lo spirito del Fondatore e le sane tradizioni dell’Istituto: cose che conferiscono alla propria consacrazione un significato e una forma particolare [23].

Voto di castità

14. La castità perfetta per il Regno dei cieli è un prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni [24], con il quale lo Spirito consacra a Cristo in modo singolare coloro che la professano affinché, accesi di amore divino, si donino con il cuore indiviso alla santa Trinità.

Infatti, con il voto di castità il frate, secondo l’esempio di Cristo e fiducioso nel suo aiuto, si obbliga ad osservare la perfetta continenza nel celibato e a vivere, per nuovo titolo, castamente nel corpo e nello spirito, di modo che, particolarmente libero, serva con tutto l’ardore Dio e il prossimo [25].

15. La castità esprime in modo eccellente il mistero dell’unione della Chiesa con il suo Capo e, segno e stimolo della carità, diviene speciale sorgente di fecondità spirituale nel mondo [26]. Essa, infine, manifesta il senso della vita futura, nella quale si raggiunge, in maniera del tutto nuova, appagamento pieno di ogni bisogno affettivo [27].

16. Il frate, quindi, stimi molto la continenza perfetta, che “è sempre stata tenuta in singolare onore dalla Chiesa” [28], e realizzi ininterrottamente l’esigenza ispirategli dal Signore, amando in opere e verità Dio e tutti gli uomini [29].

17. Per conservare la continenza, il frate usa i mezzi sia naturali che soprannaturali “garantiti dall’esperienza della Chiesa” [30], specialmente l’intima familiarità con la divina Trinità, che abita in noi come in tempio, l’unione amichevole con Cristo nella vita sacramentale, la pietà filiale verso la beata Vergine Maria e , infine, il vero amore fraterno nella vita comune [31].

Voto di povertà

18. La povertà religiosa è una partecipazione alla povertà di Cristo, “il quale da ricco che era si è fatto povero per noi, per farci ricchi con la sua povertà” (Cfr. 2 Cor. 8, 9). Il Cristo crocifisso mostra il radicalismo e il fine della povertà [32].

Il religioso emettendo questo voto si unisce più strettamente a Cristo povero e che redime il mondo; sceglie Dio come suo unico bene, e attesta così, in modo eccellente, la superiorità dei beni del cielo su quelli della terra [33].

19. Con il voto di povertà il frate si obbliga a vivere “senza nulla di proprio”, e oltre ad una vita povera di fatto e di spirito, so obbliga alla dipendenza e alla limitazione nell’usare e nel disporre dei beni [34].

Pertanto, affidandosi alla provvidenza di Dio:

a) avanti la prima professione, pur conservando la proprietà dei suoi beni e la capacità di acquistarne altri, cede tuttavia l’amministrazione di essi a chi preferisce, e dispone liberamente del loro uso ed usufrutto per il tempo che durerà la sua professione temporanea [35];

b) poco prima della professione solenne, sotto condizione che poi essa sia emessa, rinuncia, a favore di chi vuole, a tutti i beni che attualmente possiede, possibilmente in forma valida anche secondo il diritto civile [36];

c) tutto ciò che il frate acquista con la propria industria o a motivo dell’Ordine, rimane acquistato dall’Ordine stesso. Ciò che riceve come pensione, sussidio, assicurazione, a qualunque titolo, rimane acquisito dall’Ordine, secondo le norme del direttorio generale [37].

20. Mosso da questa povertà evangelica, il frate compartecipa volentieri ai fratelli anche tutti i suoi beni intellettuali e spirituali e, aderendo allo spirito della Regola, come anche per l’onesto sostentamento suo e dei frati, si rende soggetto alla comune legge del lavoro [38].

Nell’Ordine la povertà riveste anche una forma di compartecipazione dei beni [39].

21. Poiché, però, alla povertà dell’Ordine è sempre unita una attiva carità redentiva, sospinti dallo spirito della “terza parte” di cui parla la Regola, i frati e le comunità provvedano con generosa sollecitudine perché i poveri e gli oppressi dalle diverse forme di schiavitù, come anche le iniziative dell’Ordine e le necessità della Chiesa siano compartecipi dei proventi del lavoro e degli altri beni “da qualsiasi parte essi lecitamente provengano” [40].

22. Le chiese dell’Ordine e gli altri edifici destinati all’uso dei frati siano costruiti in modo adeguato o, come si dice, in modo funzionale, conformi, però, alla sobrietà e povertà religiosa, perché si dia testimonianza collettiva di povertà [41].

23. La prudente e retta amministrazione dei beni temporali e le opportune supervisioni dell’autorità competente, di cui al capitolo VIII delle presenti costituzioni, sono inerenti alla povertà religiosa.

24. Tocca ai capitoli conventuali, provinciali e generali curare continuamente che il modo di vivere dei singoli frati, delle stesse comunità e delle provincie sia, di fatto e di spirito, consono alla povertà, che deve essere testimoniata, se necessario, anche con nuove forme [42].

Voto di obbedienza

25. L’obbedienza religiosa esige che tutta la comunità si impegni ad ascoltare la voce di Dio, e a ricreare e mettere in pratica la volontà divina. Il frate offre a Dio la propria volontà come sacrificio di se stesso, per aderire con più sicurezza e fermezza alla volontà salvifica del Padre, sull’esempio di Cristo, che si fece obbediente fino alla morte e diede la sua vita in riscatto per molti [43].

26. Il voto di obbedienza, emesso dal frate sotto la mozione dello Spirito Santo, obbliga alla sottomissione della volontà ai legittimi Superiori che fanno le veci di Dio, quando comandano secondo le proprie costituzioni [44].

I precetti, però, obbligano gravemente in forza del voto, solo se ingiunti dall’autorità competente che, nel caso, oltre al capitolo e alla congregazione generale e provinciale, è il Superiore maggiore da solo o con il suo consiglio su cose di grande importanza, secondo le costituzioni e in termini che significano chiaramente la volontà di obbligare in tale modo.

Detti precetti devono essere ingiunti in scritto o dinanzi a due testimoni.

I singoli membri dell’Ordine sono tenuti ad obbedire al Sommo Pontefice, come loro Superiore supremo, anche in forza del vincolo sacro di obbedienza [45].

27. I Ministri esercitino l’autorità in spirito di servizio verso i fratelli [46], e in tutto ciò comandano, non si propongono altro, che di guidare la volontà dei frati alla perfetta unione con la volontà di Dio, nella qual cosa si trova il bene della comunità e dei singoli [47].

Ma perché ogni cosa nella comunità proceda per il meglio, essi tessi osservino in tutto, come gli altri frati, i precetti della Chiesa e della Regola [48]; ferma restando, tuttavia, la legittima facoltà di decidere e di comandare ciò che va fatto, essi ascoltino volentieri i frati, chiedano il loro consenso o il loro consiglio secondo i casi, e promuovano la loro concorde collaborazione per il bene della Chiesa e dell’Ordine [49].

28. I frati, in spirito di fede e di amore, nell’eseguire gli ordini o nel compimento dei loro incarichi oppure nell’assumere iniziative, cooperino con obbedienza attiva e responsabile, mettendo a disposizione tanto le energie della mente e della volontà quanto i doni di natura e di grazia, sapendo di prestare la propria opera per l’edificazione della Chiesa e dell’Ordine [50].

Ogni frate può assumere iniziative, anche di una certa importanza, con il consenso della legittima autorità e senza imporre minimamente oneri alla comunità.

Voto di non ambire

29. Cristo Signore, pur essendo Dio, Spogliò se stesso, prendendo la natura di servo (Cfr. Fil 2, 6-7), per servire in carità e umiltà i fratelli e per “dare la vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45).

La Regola dell’Ordine appare profondamente impregnata di questa umiltà e carità; perciò i membri che la professano, seguono più da vicino l’umiliazione di Cristo e diventano maggiormente idonei a continuare l’opera di redenzione e a prestare il loro servizio agli umili.

Per questo motivo, sin dalla riforma dell’Ordine, i frati nella professione solenne, dopo i tre voti di castità, povertà e obbedienza, emettono il voto di non ambire, con il quale pubblicamente promettono di non aspirare mai, né direttamente né indirettamente, ad alcuna prelatura fuori dell’Ordine e ad uffici di governo nell’Ordine.

I frati, pervasi dello spirito di questo voto, evitano gli onori umani; così infatti non diventano “bramosi di vanagloria” (Gal 5, 26) [51], ma la loro vita “è nascosta con Cristo in Dio” (Col 3, 3).

30. FORMULE DELLA PROFESSONE [52]

a) Per la professione dei voi temporanei

Io, N.N...
Faccio la mia professione,
e davanti alla comunità e nelle tue mani, N.N. faccio voto alla Santissima Trinità
di castità povertà e obbedienza per un anno, secondo la Regola e le costituzioni

dell’Ordine della Santissima Trinità.

Le parole seguenti devono essere pronunziate dai singoli:

Così prometto con voto;
e per la grazia dello Spirito Santo,
per intercessione della beata Vergine Maria
e dei nostri santi Padri Giovanni e Felice,
mi aiuti a custodire fedelmente
quanto ora ho promesso.
b) Per la rinnovazione dei voti prescritta dal diritto Nel nome della Santissima Trinità:
Padre e Figlio e Spirito Santo.
Io, N.N.
Ripeto la mia professione
E prometto di nuovo per un anno
Castità, povertà e obbedienza,
secondo la Regola e le costituzioni
dell’Ordine della Santissima Trinità.
c) Per l’emissione dei voti solenni
Io, N.N.
Chiamato dal Padre nel suo disegno d’amore,
e mosso dallo Spirito Santo
a seguire più da vicino Cristo Redentore,
nella ferma volontà di consacrarmi più intimamente
alla Santissima Trinità con la professione solenne, davanti alla Chiesa e alla presenza della comunità,
nelle tue mani, N.N.
faccio voto di perpetua castità, povertà e obbedienza

secondo la Regola e le costituzioni
dell’Ordine della Santissima Trinità,
e mi dono con tutto il cuore a questa famiglia religiosa. INOLTRE, volendo in spirito di umiltà e di servizio Rinunziare a onori e privilegi,
faccio voto di non ambire direttamente
né indirettamente alcuna prelatura,
a norma delle costituzioni dell’Ordine
Così prometto solennemente con voto.
Con la grazia dello Spirito Santo
E l’aiuto della beata Vergine Maria
E dei nostri Santi Padri Giovanni e Felice,
prometto di adempiere fedelmente “fino alla morte” questi miei propositi,
per vivere nelle perfetta carità
al servizio di Dio e della Chiesa.

Capitolo III: VITA COMUNE NELLA FRATERNITÀ

31. La vita comune, ad esempio della Chiesa primitiva in cui la moltitudine dei cristiani era un cuor solo ed un’anima sola (Cfr. At 4, 32), consiste nell’unità della stessa consacrazione, spirito, amore, preghiera e attività. Essa infatti, di molti membri guidati dallo spirito del Padre, forma una sola famiglia raccolta nel nome Signore, che gode della sua presenza (Cfr. Mt 18, 20) e la manifesta, e rende più efficace l’azione apostolica alla quale i singoli membri si dedicano.

32. Così si presenta il nostro Ordine in quanto comunità ecclesiale, “come un popolo adunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”[53].

I frati si sforzino, perciò, per vivere nella vita comunitaria quella perfetta comunione che esiste tra le divine Persone, esprimendo l’unità nella pluralità e la pluralità nell’unità.

La comunità dei frati deve abitare in una casa legittimamente costituita, sotto l’autorità del Ministro designato a norma di diritto. Le singole case devono avere almeno un oratorio, in cui si celebri e si conservi l’Eucaristia, in modo che sia veramente il centro della comunità [54].

33. La vita comune progredisce nell’osservanza della stessa Regola e delle stesse costituzioni, per cui i membri intervengono agli atti conventuali e partecipano degli stessi diritti e doveri, anche se ai singoli vengono giustamente assegnati incarichi diversi, come a membra bene ordinate di un medesimo corpo.

34. La comunità trinitaria nasce e cresce nell’intima comunione con Dio il quale si manifesta specialmente nell’ascolto frequente della Parola, nel confronto con essa, e nella celebrazione della liturgia particolarmente dell’Eucaristia e della Penitenza.

Essa si rafforza e fiorisce nella sincera ed aperta conversazione tra i frati; conversazione che si manifesta nel frequente dialogo interpersonale e comunitario, nella reciproca sopportazione, nella gioiosa compartecipazione dei beni spirituali e nel mutuo servizio di carità, prestato di vero cuore [55].

Presiede i frati il Ministro che, in spirito di servizio, esercita la sua autorità soprattutto come animatore della comunità.

35. La vita comune esige dai frati l’accettazione di quanto la Chiesa e l’Ordine propongono da osservare.

Oltre a quanto contenuto altrove nella legislazione dell’Ordine, vi sono certe osservanze particolari che riguardano sia la vita della comunità locale, sia, fatti i debiti riferimenti, quella della comunità provinciale e dell’Ordine.

-I frati portino l’abito dell’ordine, fatto a norma del diritto proprio, quale segno della propria consacrazione e della nostra fraternità [56].

Il Ministro generale può permettere l’uso di altri vestiti, quando vi sono ragioni particolari e fino a quando esse perdurano.

-I frati “devono abitare nella propria casa religiosa osservando la vita comune e non possono assentarsene senza licenza del Superiore” [57].

Nel concedere la suddetta licenza, siano osservate le norme del diritto universale e proprio.

-In tutte le case, a differenza dell’intimità e del e del raccoglimento, del lavoro e del bene comune dei frati, si osservi la clausura, “in modo che vi sia sempre una parte della casa riservata esclusivamente ai religiosi” [58].

-“Nel fare uso degli strumenti di comunicazione si osservi la necessaria discrezione e si eviti tutto quanto può nuocere alla propria vocazione e mettere in pericolo la castità di una persona consacrata” [59].

-La mensa comune, la ricreazione, i capitoli e le altre riunioni della comunità, con le quali la vita comune si rafforza e si rende visibile, siano da tutti tenute in grande considerazione.

-La cura dei frati infermi, con la quale la comunità esercita un amore particolare per le sue membra più deboli, e l’accoglienza benevola e gioiosa degli ospiti, siano praticate in maniera tale che sempre di più si fomenti l’unione fra tutti i membri dell’Ordine.

-I frati che “passati da questa vita stanno purificandosi”, vengano suffragati secondo l’antichissimo uso della Chiesa e dell’Ordine, a norma del direttorio generale, specialmente con la celebrazione, in ogni casa dell’Ordine, del sacrificio della Messa nei giorni stabiliti.

Poiché simili osservanze esigono particolari disposizioni secondo le varie condizioni di tempi e luoghi, di esse si tratta nel direttorio generale e negli statuti delle province.

Capitolo IV: VITA SPIRITUALE

36. I dogmi principali della nostra fede: Trinità e Redenzione, sono il fondamento dottrinale della spiritualità dell’Ordine. Ma questa spiritualità si traduce nella vita e nell’azione quando i frati, mossi dallo Spirito Santo, cercano di conformarsi a Cristo:

-glorificatore della Triade augusta, in tutto il proprio comportamento, consacrandosi alla Santissima Trinità nella pratica dei consigli, della liturgia, della ascesi e della preghiera;

-Redentore del genere umano, operando fattivamente per il bene materiale e spirituale degli oppressi, dei derelitti, dei bisognosi e di coloro che, per qualsiasi ragione, si trovano nel pericolo di perdere la fede.

Il mistero della Trinità è considerato dai frati specialmente come Dio-Amore, e pertanto come fonte prima, esempio massimo e fine ultimo della carità redentiva verso il prossimo; bisogna quindi che i frati si impegnino e si diano senza risparmio all’opera della redenzione umana, che viene compiuta dal Padre per il Figlio nello Spirito Santo.

37. In questo modo i nostri religiosi progrediscono con animo alacre e gioioso nella santità, ricevuta nel battesimo, concordi e unanimi nella preghiera, nella penitenza e nell’operoso servizio fraterno, nella vigile attesa della venuta di Cristo [60].

Vita liturgica

38. I membri dell’Ordine incontrano Cristo innanzitutto nella sacra liturgia [61]. In essa infatti Cristo annuncia ancora il suo Vangelo, ci ristora con il suo Corpo e con il suo Sangue e, mediante i sacramenti della fede, nell’azione vivificante dello Spirito Santo, ci associa alla sua opera salvifica; così noi partecipiamo, pregustandola, alla eterna e celeste liturgia [62].

Essi, celebrando consapevolmente e attivamente la liturgia, veramente come “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo di acquisto” (1 Pt 2, 9), lodano Dio in mezzo alla Chiesa, e sono trascinati e infiammati dalla urgente carità di Cristo che si è fatto servo di tutti [63].

Santissima Eucarestia

39. Il sacrificio è il centro di tutto il culto liturgico e della vita della comunità. Con questa celebrazione, infatti, si ottiene la perfetta glorificazione della Santissima

Trinità, e “si attua l’opera della nostra redenzione”[64], si scopre così il vero senso della propria consacrazione.

I frati, infatti, nella comunione con Cristo, che è via, verità e vita, si confermano nella fede, nella speranza e nella carità e, partecipando alla gloria e alla gioia del mistero eucaristico e, nell’oblazione di sé, inerendo in modo comunitario all’azione redentrice di Cristo, si congiungono in fraterno vincolo nel realizzare le medesime finalità, che promuovono l’amore di Dio e il servizio del prossimo, così che la stessa comunità diventi una sola fraternità.

40. I frati si adoperino volentieri perché l’Eucarestia diventi realmente culmine e fonte di tutta la loro vita [65].

Si impegnino per celebrare o praticare ogni giorno al sacrificio eucaristico [66].

Nelle domeniche e nelle feste più grandi della Chiesa e dell’Ordine, celebrino l’Eucarestia con maggiore solennità e, per quanto possibile, comunitariamente.

41. Per fomentare sempre più la vita eucaristica, si raccomandano vivamente, in onore di così grande mistero, gli altri esercizi di pietà, recepiti dal venerando uso della Chiesa e della tradizione dell’Ordine.

I frati, inoltre, abbiano a cuore “il dialogo quotidiano con Cristo Signore nella visita e nel culto personale della Santissima Eucarestia” [67].

Liturgia delle ore

42. La Liturgia delle Ore è la preghiera pubblica che la Chiesa, unita al Cristo suo sposo, innalza ogni giorno a gloria di Dio Padre; così, in modo eccellente, continua senza interruzione il culto che viene reso a Dio per mezzo della celebrazione del mistero eucaristico [68].

Perciò l’ufficio divino, che sin dalle origini dell’Ordine è in vigore presso di noi, ordinato in modo da consacrare tutto il corso della giornata con la lode di Dio, deve essere assolto in maniera da diventare veramente sorgente di pietà, nutrimento della preghiera personale e incremento del ministero [69].

43. Nelle nostre comunità, d’ordinario nella chiesa o nell’oratorio, i religiosi celebrano in comune la Liturgia delle Ore, secondo il rito e la forma della Chiesa.

44. Fermo restando quanto disposto nel can. 276, & 2. 3, i frati professi solenni recitino da soli quelle Ore canoniche che non avessero assolto nella recitazione comune, salva, tuttavia, la facoltà dei frati cooperatori di commutare le Ore con altra preghiera o lettura, prevista nel Rituale dell’Ordine; gli altri frati cerchino di recitare in privato almeno le Lodi, Vespri e Compieta, in modo da compiere la preghiera pubblica della Chiesa.

Lettura divina e spirituale

45. I nostri religiosi “abbiano quotidianamente fra le mani la Sacra Scrittura” [70], affinché nella sua lettura assidua apprendano[19] la “sublime scienza di Gesù Cristo” (Fil 3, 8). In essa, infatti, il Padre celeste parla amorevolmente ai suoi figli e per mezzo di essa, ispirata dallo Spirito Santo, si instaura il colloquio con il Figlio di Dio, che è la sua Parola.

I frati, durante tutta la loro vita religiosa, abbiano in grandissima stima lo studio e la meditazione della Parola divina [71].

Si promuova con massima cura nelle nostre comunità la celebrazione della Parola di Dio, specialmente nei tempi di avvento e di quaresima e in altre occasioni più opportune per il profitto spirituale dei religiosi [72].

Salvo, però, il dispositivo del can. 764, per predicare abitualmente ai nostri religiosi nelle chiese o oratori dell’Ordine, si richiede la licenza del Superiore maggiore; in casi particolari è sufficiente il permesso del Ministro locale.

46. I nostri religiosi coltivino non solo la lettura e lo studio della Sacra Scrittura, ma anche della Regola e delle costituzioni, dei Santi Padri, dei documenti della Chiesa e dell’Ordine e di provati scrittori che trattano di dottrina spirituale.

Preghiera mentale e vocale

47. “La vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola sacra liturgia”; chi è tenuto a “pregare senza interruzione” è chiamato a pregare in comune e a parlare in segreto con il Padre [73].

48. Ma perché i frati possano penetrare più profondamente il mistero di Cristo, dedichino maggiore spazio all’orazione mentale invece che alla molteplicità delle preghiera [74].

La mediazione o orazione mentale comunitaria, il cui tempo, modo e luogo viene stabilito dal capitolo conventuale, sia fatta ogni giorno almeno per mezz’ora.

49. I nostri religiosi fomentino con zelo gli esercizi di pietà raccomandati dall’uso della Chiesa, ed abbiano in grande stima sia le orazioni che le funzioni solenni che, secondo l’uso, vengono celebrate nell’Ordine.

Nello spirito della Regola si preghi ogni giorno in comune per il Sommo Pontefice e per l’Episcopato della Chiesa, per le necessità del mondo, per il Popolo santo di Dio e per la nostra famiglia trinitaria, per gli schiavi e i poveri, per i genitori e i benefattori.

Culto della Santissima Trinità

50. I nostri frati onorino con tutte le forze e con speciale devozione la Santissima Trinità, e cerchino nella propria vita di “rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato, rinnovandosi e purificandosi continuamente sotto la guida dello Spirito Santo” [75].

Perché possano ottenere ciò che pienamente, tra gli altri esercizi ammessi nell’Ordine, cerchino di conservare i seguenti:

-intitolare case e chiese alla Santissima Trinità;

-celebrare solennemente ogni anno la festa dell’augusta Trinità, titolare dell’Ordine, solennità nella quale venga rinnovata la consacrazione a questo mistero;

-celebrare il giovedì, quando non lo vietano le rubriche, la Messa votiva e l’Ufficio della Trinità;

-recitare ogni giorno la corona del trisagio [76].

Si ricordino poi, che ogni cosa fatta a gloria della Trinità, li conduce a vivere una vita di amore e di comunione con le Tre Persone, e che in questa vita consiste la loro speciale vocazione.

Culto del Santissimo Redentore

51. Poiché Dio Padre ha voluto benignamente rivelarsi a noi per il Figlio nello Spirito Santo specialmente nell’economia della salvezza, un solo e medesimo vincolo lega i nostri frati sia alla Santissima Trinità che a Cristo Redentore. Per questo i nostri Padri si conformano a Cristo Redentore nell’esercizio delle opere di misericordia e, tributandogli venerazione e amore, esercitarono virtù eroiche nel redimere gli schiavi e nel soccorrere gli infermi talora colpiti anche dalla peste, con pericolo perfino della loro vita.

I nostri frati, quindi, si sforzino con impegno per rivestirsi dei sentimenti di misericordia di Cristo Redentore, meditino assiduamente il mistero della sua passione e, per rendere culto a Cristo legato e sofferente, celebrino con solennità la sua festa, sotto il titolo “Gesù Nazareno”.

Culto della Beata Maria Vergine, Madre di Dio

52. Come “Madre del Figlio di Dio”, Maria è “figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo”; ella “consacrò tutta se stessa al mistero della redenzione degli uomini”. Fu l’umile ancella del Signore “singolare membro” e madre della Chiesa, nonché segno ed esempio luminoso della consacrazione religiosa, poiché ci ha preceduti nella sequela di Cristo e, in modo eminente e singolare, ci ha dato ed è il modello di servizio alla Chiesa [77].

Perciò i frati, per crescere quotidianamente nella santità e portare frutti più abbondanti di apostolato, nutrano per la Vergine Maria sentimenti di pietà filiale e di vera devozione, e fomentino il suo culto, venerandola, secondo l’antichissima tradizione dell’Ordine, sotto il titolo di Beata Vergine del Buon Rimedio, patrona principale del nostro Ordine [78], recitando il rosario e celebrando il sabato, secondo le rubriche, la Messa votiva e la Liturgia delle Ore.

Culto dei Santi dell’Ordine

53. I frati venerano con amore filiale il santo Fondatore Giovanni de Matha che, risplendente di ardente carità verso la Santissima Trinità e verso i poveri e gli schiavi, costituisce per noi un esempio straordinario.

Così pure coltivano speciale devozione a San Felice, al santo Rifondatore Giovanni Battista della Concezione, e agli altri santi del nostro Ordine, i cui esempi di virtù cercano di imitare con tutte le loro forze.

Esame di coscienza

54. Per maggiormente fomentare la conversione e purificare lo spirito, giova molto l’esame di coscienza quotidiano, che nell’ascesi cristiana è sempre stato tenuto in grande stima.

I nostri religiosi lo facciano ogni giorno in comune per alcuni minuti [79] e, per quanto è possibile, durante la Compieta [80].

Rito spirituale

55. Si faccia in ogni casa una volta al mese il ritiro spirituale, nella maniera stabilita dal capitolo conventuale [81].

In occasione di questo ritiro, si tenga opportunamente il capitolo di rinnovazione di vita.

Esercizi spirituali

56. I nostri frati, per rinnovare la loro vita spirituale e nutrire la loro vocazione trinitaria, attendano per alcuni giorni durante l’anno gli esercizi spirituali, secondo gli statuti di ciascuna provincia [82].

Silenzio

57. La vita interiore richiede certi tempi di silenzio, perché il religioso “possa ascoltare Dio che parla al suo cuore e sperimentare l’intima comunione con Lui”. La fede, infatti, la speranza, l’amore di Dio e “l’affetto fraterno, aperto al mistero degli altri, comportano, quasi come postulato, necessità del silenzio” [83].

Pertanto, i nostri frati, secondo il precetto della Regola trinitaria, abbiano cura di osservare il silenzio.

Il direttorio e gli statuti provinciali stabiliscano quando e in quali luoghi il silenzio debba essere rigorosamente osservato.

Penitenza

58. La Chiesa, santa e pur sempre bisognosa di purificazione, pratica continuamente la penitenza e il rinnovamento.

Tra le tentazioni e le tribolazioni del cammino è sostenuta dalla forza della grazia di Dio, “affinché per l’umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà, ma permanga degna sposa del suo Signore e, sotto l’azione dello Spirito Santo, non cessi di rinnovare se stessa” [84].

a) Sacramento della Penitenza

59. La Chiesa, per adempiere fedelmente l’obbligo di purificarsi e rinnovarsi, ricevette dal suo sposo divino, come dono, il sacramento della Penitenza o riconciliazione, con il quale il dono primario della “metanoia” o conversione al regno di Cristo, ricevuto un giorno con il battesimo, viene restaurato e fortificato.

Con questo sacramento il frate che, per grazia di Dio misericordioso, intraprende il cammino della Penitenza, ritorna al Padre, che “ci ha amati per primo” (Gal 2, 26), e allo Spirito Santo che è stato effuso in noi abbondantemente.

Pertanto il religioso, spinto da tale spirito di conversione, perché possa tradurre in pratica la vera “metanoia” e possa raggiungere una unione più piena con il Corpo mistico di Cristo, si accosti con frequenza al sacramento della Penitenza [85].

b) Virtù della penitenza

60. La conversione comprende il rinnovamento di tutta la vita dell’uomo; perciò i religiosi, come membri di una comunità penitente, abbracciano la croce, che è prova dell’amore più grande, ed esprime un arcano rapporto di unione “tra la rinuncia e la gioia ... tra il sacrificio e la grandezza d’animo, tra la disciplina e la libertà spirituale” [86].

I frati, quindi, benché l’osservanza costante dei voti, l’adempimento degli obblighi, la gioiosa accettazione delle difficoltà, derivanti dal lavoro o dall’apostolato e dalla vita comune, siano da ritenere come vere forme di penitenza, non tralascino, tuttavia, quegli esercizi spirituali di penitenza, che la Chiesa universale o locale prescrive o che la Regola impone, adattati però alla mentalità e ai costumi dei popoli.

61. Nelle nostre comunità, con la liturgia e la Chiesa, sia strettamente osservato il tempo di quaresima, come particolare periodo di penitenza [87].

Tutti i venerdì dell’anno siano ritenuti, secondo le prescrizioni della Chiesa, come giorni penitenziali [88].

Il tempo di avvento, invece, sia celebrato, secondo l’uso della Chiesa e lo spirito dell’Ordine, nella vigile attesa di Cristo e nella risoluta conversione del cuore.

Oltre a quanto stabilito dalla Chiesa, gli statuti di ogni provincia determinino forme, anche nuove, di penitenza, la cui attivazione pratica è rimessa alle definizioni dei capitoli conventuali.

62. Inoltre i nostri religiosi pratichino, a testimonianza di povertà e di carità, tutte quelle forme penitenziali che comportano un certo risparmio, perché possano compiere opere di misericordia.

Esortazione

63. I frati, pertanto, seguendo l’esempio mirabile della Beata Maria Vergine e dei nostri Padre che fiorirono nella santità, specialmente del Fondatore e del Rifondatore, conducano una vita santa, conservando integra la fede, la speranza, sincera la carità [89].

Capitolo V: APOSTOLATO DELL’ORDINE

64. I frati, intimamente consacrati alla Chiesa al suo mistero, partecipano più pienamente alla missione redentrice che Cristo Signore ha ricevuto dal Padre per lo Spirito Santo, secondo le parole del Vangelo: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per risanare i contriti di cuore, per proclamare ai prigionieri la liberazione...” (Lc 4, 18).

La Santa Trinità, pertanto, è il principio movente e, per nuovo titolo, la ragione suprema del nostro apostolato, il cui compito è mettersi a servizio della Chiesa universale e particolare, nelle opere di carità e del sacro ministero, secondo il carisma proprio dell’Ordine.

I frati, per la carità redentiva, dalla quale è animato e informato tutto l’apostolato dell’Ordine, partecipano e testimoniano l’amore della Trinità nell’opera della salvezza umana.

65. Il nostro Ordine, quindi, cerca di partecipare alla missione della Chiesa e alla sua azione pastorale, sia presso il popolo cristiano che nel campo missionario ed ecumenico [90], per l’edificazione del Regno di Dio, nel ministero di fede e nel servizio di carità e di redenzione.

66. Nell’esercizio delle opere di apostolato, i frati sono soggetti anche alla potestà dei Vescovi, “ai quali devono rispetto devoto e riverenza” [91].

Nell’esercizio dell’apostolato, gli strumenti di comunicazione sociale vengano usati secondo l’opportunità, e osservando esattamente le prescrizioni del diritto universale.

Tutti i religiosi per poter pubblicare scritti che trattano questioni di religione o costumi, necessitano anche della licenza del proprio Superiore maggiore, a norma del can. 832. Questi, poi, non conceda detta licenza se almeno un religioso, esperto in materia che adempie l’ufficio di censore, non avrà dato, in scritto, parere favorevole.

Nell’organizzare le opere, i Vescovi e i Superiori procedano su un piano di reciproca intesa [92].

Apostolato caritativo-redentivo

67. I frati, aderendo al progetto del Fondatore e rivolgendo l’attenzione alle necessità della Chiesa, hanno il dovere di prestare la loro opera di redenzione e di misericordia per aiutare quelle persone la cui fede è in pericolo. E faranno ciò per coloro che sono gravati dal peso dell’odierna schiavitù [93].

Sono tenuti a promuovere, con assidua e solerte attività, queste opere di carità di redenzione anche con la collaborazione dei membri della famiglia trinitaria, dei benefattori e di altre persone di buona volontà.

Nel contesto della persecuzione per Cristo o di coloro la cui fede cristiana è in pericolo o impedita, l'Ordine promuoverà questa carità redentrice per mezzo dell'Ufficio del Procuratore Generale della Redenzione che, seguendo la tradizione dell'Ordine, promuove l'informazione e la consapevolezza, la preghiera per i perseguitati e i progetti concreti.

68. Inoltre, riservato quanto basta al loro parco sostentamento, nello spirito della condivisione dei beni secondo la Regola e la tradizione dell’Ordine, destinino i loro beni ad opere di misericordia e di redenzione, specialmente per quelli che soffrono a causa della fede [94].

69. Essendo però molto vasti i campi della carità redentiva, è compito del capitolo generale, considerati i segni dei tempi, stabilire quali opere, secondo le necessità più urgenti della Chiesa e la costante ispirazione dell’Ordine, i nostri devono scegliere ed esercitare.

70. Spetta anche al capitolo e alla congregazione decidere, se la gravità del caso lo richiede, in che misura le case e le provincie devono contribuire.

Tocca alle singole provincie definire come tale apostolato deve essere esercitato, considerate le condizioni dei luoghi e tenute presenti le norme dell’Ordine e delle Chiese locali.

Nelle varie comunità dell’Ordine è il capitolo conventuale ad assumersi l’onere, con l’approvazione della competente autorità, di ordinare e dirigere l’attività apostolica di carità, e di adeguarla alle circostanze dei luoghi e dei tempi.

Apostolato missionario

71. “Essendo tutta la Chiesa missionaria, ed essendo l’opera dell’evangelizzazione dovere fondamentale del Popolo di Dio” [95], il nostro Ordine adempie questo dovere anche in forma diretta nelle stesse terre di missione [96]; ciò che, per verità, risponde al nostro spirito, al nostro patrimonio e alla nostra tradizione.

Nelle missioni, infatti, l’Ordine promuove la redenzione delle persone, esercita opere di carità e di apostolato, edifica, mediante il battesimo, nuovi templi e santuari della Trinità.

Ministero parrocchiale

72. Il nostro Ordine è disponibile per la molteplice opera di apostolato e per le varie iniziative del compito pastorale della Chiesa.

Perciò i nostri religiosi, “con piena coscienza e impegno, lavorino” nelle chiese locali, e volentieri prendano parte al ministero pastorale, secondo le esigenze dei luoghi e del Popolo di Dio; in modo, tuttavia, “che nella famiglia diocesana, sappiano rappresentare ed esprimere la testimonianza specifica e la genuina missione dell’Ordine”, e “conservino fedelmente una sostanziale partecipazione alla vita della comunità” [97].

Nell’accettare, dirigere e lasciare parrocchie, cappellanie ed altro opere o incarichi, vengano osservate le prescrizioni della Chiesa e dell’Ordine [98].

La Trinità nell’attività apostolica dell’Ordine

73. I frati curino di promuovere assiduamente, con la parola e con l’azione, il culto e la devozione verso la Santissima Trinità, usando anche mezzi e sussidi adatti ai tempi odierni, affinché gli uomini siano aiutati a conoscere ad amare Dio uno e trino, specialmente nelle sue relazioni con il genere umano, e in quelle cose che testimoniano e rendono manifesta la sua vivificante presenza nelle anime e nel mondo.

74. Nell’apostolato sia proprio dell’Ordine che in quello comune della Chiesa, i nostri religiosi aiutino i fedeli ad acquistare una fede viva e matura che, presentando ogni cosa alla luce del mistero trinitario, porti lume e conforto nelle angustie della vita e sproni alla giustizia e alla carità, particolarmente versi i bisognosi [99].

Prestino, poi, un aiuto speciale ai fedeli ascritti alle nostre associazioni, perché professino un culto speciale nell’augusto mistero e cooperino nelle opere di apostolato dell’Ordine.

Capitolo VI: FORMAZIONE DEI FRATI

Vocazioni

75. Cristo Signore, che chiamò alcuni in modo speciale, anche oggi continuamente, con chiamata particolare, invita altri alla sua peculiare sequela nella vita religiosa.

I nostri religiosi, consapevoli che la vocazione è un dono dello Spirito, impieghino tutte le loro forze nel promuovere tali vocazioni, nel riconoscerle e nel coltivarle [100]; opera, questa, certamente di grandissima importanza e molto difficile che va, senza dubbio, a vantaggio della Chiesa e dell’Ordine.

76. In ogni provincia, quindi, sia promossa diligentemente l’opera delle vocazioni, e il Ministro provinciale con il suo consiglio disponga tutte le cose perché, mediante la formazione scientifica congiunta a quella umana, secondo i principi della Chiesa e della santa pedagogia, i candidati vengano meglio preparati ad accogliere il dono della vocazione con animo libero e gioioso.

77. Ricordino i nostri religiosi che l’esempio della propria vita e della propria attività apostolica vissute gioiosamente, costituiscono la propaganda migliore del nostro Ordine e il migliore invito ad abbracciare la vita religiosa trinitaria [101].

Pertanto, le nostre case, con il concorso di tutti i religiosi, diventino comunità ben disposte ad accogliere i chiamati tra di noi.

Formazione

78. La formazione dei nostri frati, dalla quale soprattutto dipende l’incremento e la fecondità dell’Ordine, è diretta a promuovere la maturità della persona sia nell’ordine della natura che della grazia, e a plasmare ed arricchire armoniosamente le disposizioni dell’animo e le doti morali, intellettuali, sociali, culturali, secondo lo spirito dell’Ordine, maggiormente idonei alla sequela di Cristo e al servizio del popolo di Dio.

Il processo formativo non mira solo alla perfezione della persona umana, ma anche a far sì che i candidati diventino strumenti idonei del mistero della salvezza.

Pertanto, devono essere messi in atto diligentemente tutti i principi dell’educazione cristiana e della formazione religiosa e trinitaria, e ricercati gli opportuni sussidi dalle varie scienze psicologiche e pedagogiche.

79. Le costituzioni danno le norme generali della formazione. Il direttorio generale, gli statuti provinciali e il piano di formazione e degli studi sia generale che provinciale, definiscono il resto, salva però l’indole e l’unità dei progetti.

La formazione è affidata in modo speciale ai Superiori e ai loro consigli, coadiuvati dai segretari di diverso grado o speciali commissioni per la formazione.

80. Gli elementi della formazione devono corrispondere sotto ogni aspetto alle esigenze della Chiesa universale e dell’Ordine, ma soprattutto occorre che siano adeguati alle varie circostanze di tempo e di luogo in cui i religiosi dovranno principalmente svolgere il ministero apostolico.

81. Tale formazione, da impartire gradualmente, prevede fasi e gradi diversi che, considerata e assodata l’idoneità di ciascun candidato, si accordano con il processo di maturazione degli studi.

Perciò la durata dei diversi gradi deve svolgersi tra un tempo minimo e massimo.

82. Il corso formativo che i nostri candidati devono compiere comprende due periodi:

1. il periodo di formazione che prevede la professione solenne e che comprende:

a) il noviziato, al quale viene premesso un tempo di esperimento o postulato;

b) il dopo noviziato, fino alla professione solenne. 2. Il periodo seguente alla professione solenne.

83. I candidati devono chiedere per iscritto l’ammissione ai vari gradi di formazione. Il Superiore maggiore li ammette a norma del direttorio generale

Noviziato

84. Terminato il periodo di esperimento, il candidato che risulta idoneo a norma del diritto sia della Chiesa che dell’Ordine, viene ammesso legittimamente al noviziato.

85. L’ammissione al noviziato spetta al Superiore maggiore con il voto deliberativo del suo consiglio, previo il voto consultivo del capitolo conventuale della casa, dove il candidato ha trascorso il postulato.

86. È ammesso invalidamente al noviziato:
1. chi non ha ancora compiuto 17 anni di età; 2. chi è sposato, durante il matrimonio;

3. chi è attualmente legato con un vincolo sacro a qualche istituto di vita consacrata, o è incorporato in una società di vita apostolica, salvo il dispositivo del canone 684;

4. chi entra nell’Istituto indotto da violenza, da grave timore o da inganno, e chi è accettato da un Superiore costretto allo stesso modo;

5. chi ha nascosto di essere stato incorporato in un istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica [102].

87. Il noviziato, con il quale si inizia la vita nell’Istituto “è ordinato a far sì che i novizi possano prendere meglio coscienza della vocazione divina, quale è propria dell’ordine, sperimentare lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo il suo spirito; e al tempo stesso siano verificate le loro intenzioni e la loro idoneità [103]”

È anche proprio del noviziato manifestare al novizio le cose che si esigono nella vita religiosa propria dell’ordine e, mirando ad una carità più perfetta, abituarlo alla pratica della vita teologica e dei consigli evangelici, secondo la dottrina del Signore proposta nel Vangelo.

Il novizio, quindi, deve essere istruito e gradualmente iniziato allo spirito e alle opere dell’Ordine, in modo che di giorno in giorno, nella sua condotta impari a condurre e a mettere insieme armoniosamente quella vita spirituale, comunitaria e apostolica, che in seguito dovrà vivere [104].

88. Il maestro dei novizi viene designato a norma degli statuti della provincia. Egli sia professo solenne nell’Ordine, cospicuo per carità, prudenza, osservanza religiosa, e costituito nel sacerdozio [105].

I novizi, con l’opera e la cura del maestro, siano formati a conoscere e a vivere convenientemente la vita spirituale; si nutrano della lettura divina, della partecipazione attiva alla sacra liturgia, e della preghiera personale, e si esercitino congruentemente nella mortificazione.

Il maestro rivolga la sua opera zelante principalmente a far sì che essi attendano allo studio assiduo della Regola e delle costituzioni, e vengano istruiti sulla vita del Fondatore, sulla storia e sulla spiritualità dell’Ordine.

89. Per integrare la formazione dei novizi e per sperimentare praticamente, in qualche modo, la loro attitudine allo stile di vita dell’Ordine, gli statuti di ogni provincia possano stabilire opportuni intervalli di tempo, secondo la mente e le norme della Chiesa [106].

90. Il noviziato è uno e identico per tutti i candidati e, per essere valido, deve essere trascorso in case debitamente designate dal Ministro generale con il consenso del suo consiglio, su proposta del consiglio provinciale, e deve comprendere dodici mesi, non computando i periodi di tempo di attività formativa, trascorsi fuori della casa del noviziato.

Il noviziato non sia prolungato oltre i due anni [107].

91. Salvo le disposizioni del diritto universale, un’assenza dalla casa del noviziato, durante l’anno canonico, che superi i tre mesi continui o discontinui, rende invalido il noviziato. Un’assenza che superi i quindici giorni deve essere recuperata [108].

92. Il novizio può liberamente lasciare l’Ordine; d’altra parte, la competente autorità può dimetterlo, a norma del direttorio generale [109].

Professione temporanea

93. Terminato il noviziato, il candidato si lega all’Ordine con la professione temporanea, con la quale si impegna con voto pubblico all’osservanza dei tre consigli evangelici per un anno, trascorso il quale, i voti vengono rinnovati annualmente per uno spazio di tre anni. Gli statuti di ciascuna provincia possono stabilire uno spazio di tempo più lungo per la professione temporanea, tuttavia non più di un altro triennio. Ma, per giusta causa, il Ministro provinciale con il consenso del suo consiglio può prorogare lo spazio di tempo stabilito per la professione temporanea, tuttavia non oltre i nove anni complessivi, o ridurlo ma non a meno di tre anni [110].

94. Per la validità della professione temporanea si richiede:

a) che sia stato compiuto almeno il diciottesimo anno di età;

b) che il noviziato sia stato portato a termine validamente;

c) l’ammissione da parte del Superiore maggiore con voto deliberato del suo consiglio, previo il voto consultivo del capitolo della casa di noviziato;

d) che sia espressa e libera;

e) che sia ricevuta dal Superiore maggiore personalmente o per mezzo di un solo delegato [111].

95. Questo spazio di tempo costituisce la preparazione alla professione solenne, con la quale la formazione religiosa trinitaria già iniziata, continua teoricamente e praticamente.

Professione solenne

96. Terminato il tempo per il quale è stata emessa la professione temporanea, il religioso che lo richiede spontaneamente in scritto e che è stato trovato idoneo, venga ammesso alla professione solenne dal Ministro provinciale, dopo aver ricevuto il voto consultivo del capitolo conventuale delle case nelle quali il candidato ha dimorato almeno per sei mesi continui, e il voto deliberativo del proprio consiglio; altrimenti torni al secolo, a meno che non vi sia ancora spazio per una proroga a norma del diritto.

Con la professione solenne, il religioso viene incorporato definitivamente all’Ordine.

97. Oltre a quanto detto nel numero 94 c), d), e), per la validità della professione solenne si richiedono almeno 21 anni compiuti e la previa professione temporanea

di tre anni, salva tuttavia la facoltà del Ministro provinciale di anticipare, per giusta causa, la professione solenne, non però di oltre tre mesi [112].

98. Dopo i voti solenni, la formazione dei frati sia protratta convenientemente, perché essi arricchiscano e perfezionino le doti personali e l’inserimento specifico nella vita comunitaria e apostolica dell’Ordine.

99. Coloro che sono chiamati al sacerdozio, tenuto conto delle norme della Chiesa e considerata l’indole dell’Ordine, devono tendere a divenire, attraverso gli studi ecclesiastici, veri pastori di anime, sull’esempio di Gesù Cristo maestro, sacerdote e pastore [113].

100. I frati non chierici, invece, secondo la capacità di ciascuno, siano educati non solo alle arti e agli studi, ma anche alla scienza teologica, liturgica e pastorale, perché possano cooperare più efficacemente all’apostolato ministeriale, per il bene della Chiesa e dell’Ordine [114].

Qualora le circostanze lo richiedessero, i nostri frati non chierici, premessa una congrua formazione, con il consenso del consiglio provinciale e osservate le norme della Chiesa, possono accedere al diaconato permanente ed esercitare il ministero annesso a questo ordine sacro.

Il Superiore maggiore, sentito il suo consiglio, può permettere che un frate non chierico passi allo stato clericale, se avrà constatato che egli ha le qualità richieste.

Comunità educativa

101. La formazione umana, religiosa, spirituale ed apostolica dei candidati esige che vi sia una comunità educatrice, che, in comunione di spirito e di azione, attenda assiduamente alla formazione dei candidati.

Formazione permanente

102. La formazione dei frati non termina con l’aver emesso la professione solenne, o con l’aver ricevuto il sacerdozio, o con l’aver espletato il corso sia ecclesiastico che stabilito dall’Ordine, ma deve essere proseguita per tutta la vita [115].

Pertanto, i nostri religiosi cerchino continuamente di perfezionare la loro cultura dottrinale, spirituale e tecnica, tenuto conto del progresso delle scienze nel campo psicologico, fisiologico, teologico-pastorale e sociale, di modo che possano rinnovare incessantemente e far crescere giorno per giorno la vita religiosa trinitaria.

103. A tale fine si tengano corso speciali e convegni, che i frati cercheranno di frequentare.

I ministri e le comunità siano disponibili verso i religiosi, procurando mezzi necessari e tempo, affinché essi possano realizzare il perfezionamento della propria persona, consentaneo alle esigenze dei tempi e all’esercizio dei propri incarichi.

104. Si abbia presente, in modo particolare, il rinnovamento della stessa vita religiosa nella testimonianza della povertà e del servizio verso i bisognosi e gli oppressi, nonché dell’obbedienza e della castità, per cui la comunità diviene segno di fraternità e di unità [116].

Capitolo VII: GOVERNO DELL’ORDINE

Parte prima: Governo in genere

105. L’Ordine della Santa Trinità è persona giuridica debitamente eretta nella Chiesa, e partecipe della potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria della Chiesa stessa [117].

Pertanto, con norme proprie e sotto la direzione della legittima autorità, ordina e dirige rettamente ed efficacemente la vita e l’azione di tutta la fraternità.

106. La forma di governo e di autorità, che procede dallo Spirito del Signore in connessione con la sacra Gerarchia, evidenzia l’unità dell’Ordine, tenuto conto dei principi di sussidiarietà e di corresponsabilità.

Struttura giuridica dell’Ordine

107. L’Ordine della Santa Trinità è costituito da frati che, per quanto concerne il regime, riuniti in più case, conducono vita comune sotto il Ministro della casa legittimamente designato. L’unione di più case legittimamente eretta sotto lo stesso Superiore è chiamata provincia. Nell’Ordine sono ammesse anche le viceprovince, i vicariati sia generali che provinciali, e le case immediatamente soggette al Ministro generale e al suo consiglio.

Tutte queste circoscrizioni o giurisdizioni possono essere ordinarie o missionarie. 108. Per erigere canonicamente una casa, si tenga presente:

-il bene della Chiesa e dell’Ordine;

-la possibilità di condurre regolarmente la vita religiosa, e le condizioni da essa richieste secondo le finalità e lo spirito dell’Ordine;

-l’opportunità del lavoro e delle opere secondo l’indole propria dell’Ordine.

La casa religiosa canonicamente eretta è riconosciuta come persona giuridica.

L’erezione di una casa spetta al Ministro provinciale con il consenso del suo consiglio, informatone il Ministro generale previo il consenso scritto del Vescovo diocesano; la soppressione, invece, spetta al Ministro generale. Sia nell’erezione che nella soppressione, devono essere osservate le prescrizioni del diritto universale e proprio [118].

109. Per costituire una provincia o una viceprovincia si richiedono i mezzi necessari per il sicuro adempimento degli obblighi dell’Ordine, ed inoltre il prestabilito numero di case e di frati, secondo il direttorio generale.

È di competenza del capitolo generale decidere della erezione, unione, divisione e soppressione delle province, viceprovince e vicariati generali.

Spetta al consiglio generale, sentiti gli interessati, preparare quanto è preventivamente richiesto, secondo le norme del diritto universale e proprio.

110. La provincia o la viceprovincia canonicamente eretta è persona giuridica, e le compete, osservate le dovute condizioni:

-partecipare al capitolo e alla congregazione generale; -celebrare il capitolo;
-redigere statuti;

-deliberare circa l’erezione, unione o soppressione di un vicariato provinciale, sia ordinario che missionario, secondo le norme del direttorio generale e degli statuti provinciali;

-erigere case nella propria giurisdizione e chiederne al Ministro generale la soppressione;

-ricevere religiosi e dimetterli, a norma del diritto universale e proprio.

111. Quando ve ne sono le condizioni, la missione può essere eretta in vicariato, viceprovincia o provincia missionaria, con statuto proprio.

Leggi e altre norme dell’Ordine

112. Le costituzioni generali, approvate dalla Sede Apostolica, costituiscono il codice fondamentale delle norme dell’Ordine, dalle quali è retta la fraternità trinitaria.

La loro interpretazione pratica spetta al capitolo generale; fuori dal capitolo e fino alla sua celebrazione, spetta alla congregazione e al capitolo generale. È anche di pertinenza di queste autorità dispensare temporaneamente, in casi particolari e per giusta causa, dalle prescrizioni disciplinari delle costituzioni.

L’interpretazione autentica delle costituzioni, e similmente l’aggiunta o la soppressione e l’innovazione di articoli spetta alla Santa Sede, previa petizione fatta collegialmente da due terzi dei vocali del capitolo generale.

113. Il direttorio generale dell’Ordine, redatto dall’autorità del capitolo generale, contiene altre norme vigenti in tutto l’Ordine, della cui interpretazione, cambiamento, soppressione e dispensa tratta lo stesso direttorio.

114. Per ciascuna provincia, regione, gruppo, segretariato, possono essere redatti statuti propri, che non siano contrari alle norme generali, e che devono essere approvati dalla legittima autorità.

115. Il frate, per la propria professione nell’Ordine, è tenuto non solo ad osservare integralmente e con fedeltà i consigli evangelici, ma anche a vivere secondo le costituzioni e le altre norme che costituiscono il diritto proprio dell’Ordine, e in tal modo tendere alla perfezione del proprio stato [119].

Autorità dell’Ordine e sua funzione

116. Nell’Ordine si distingue una duplice autorità:

a) l’autorità personale, che comporta potestà di giurisdizione e uffici di governo, comprende diversi gradi:

-Ministro generale,

-Ministro provinciale e a modo di provinciale, Ministro locale;

b) l’autorità collegiale, che è propria dei capitoli, delle congregazioni e talvolta dei consigli di diverso grado [120].

117. L’autorità, che riguarda soprattutto l’ambito della fraternità, è un vero servizio di ministero nell’Ordine, e ad essa, per analogia con l’ufficio ecclesiastico pastorale, è attribuita la triplice funzione di insegnare, santificare e governare [121].

118. Perciò, l’autorità nell’Ordine, entro i limiti della rispettiva competenza, e con la collaborazione della comunità che presiede, è tenuta:

a) a procurare che i frati conoscano bene e amino, in comunione con il magistero della Chiesa, la dottrina della vita consacrata, il carisma particolare, la spiritualità e il patrimonio dell’Ordine;

b) a promuovere continuamente la perfezione della carità, mediante la fedele osservanza dei voti, alla pratica della vita spirituale e l’esercizio assiduo dell’apostolato;

c) a regolare, secondo le norme dell’Ordine, la vita della comunità e dei singoli frati; a provvedere, con mezzi adatti, alle necessità spirituali e materiali dei frati e delle comunità; a fomentare la mutua edificazione e la testimonianza evangelica della vita.

119. Nell’Ordine sono ritenuti uffici di governo: a) il Ministro generale,
il Ministro provinciale,
il Ministro a modo di provinciale,

il Ministro locale,

i loro Vicari;
b) i consiglieri generali,
i consiglieri provinciali,
i consiglieri del Ministro a modo di provinciale.

I consiglieri, però, esercitano il loro ufficio non singolarmente, ma quando formano un gruppo di persone o talvolta un collegio [122].

120. Vi sono molti altri uffici che nell’Ordine non conferiscono giurisdizione, ma designano incarichi o compiti che in esso vengono svolti.

Provvisione e perdita degli uffici

121. La provvisione degli uffici di governo si effettua per elezione e conferma dell’eletto o, se si tratta di postulazione, per ammissione della medesima o, in caso particolare, per compromesso.

Qualsiasi provvisione di uffici deve essere fatta in modo legittimo e nella forma prescritta dal diritto universale, dalle costituzioni e dal direttorio generale.

La provvisione di uffici non di governo viene fatta nella forma stabilita nel direttorio generale.

122. Perché uno possa godere della voce attiva o passiva nella provvisione degli uffici, è necessario che sia professo solenne nell’Ordine, a meno che in qualche caso particolare non sia disposto altrimenti, ed abbia le qualità richieste dal diritto universale e proprio.

123. Per l’ufficio di Ministro generale, provinciale e a modo di provinciale si richiede, per la validità, che il religioso sia professo solenne da dieci anni [123]. Il Ministro della casa, invece, deve essere professo solenne dal tempo stabilito nel direttorio generale.

124. I frati, nel conferire gli uffici, procedano con retta intenzione, eleggendo o designando, senza preferenza di persone, quelli che riconoscono nel Signore veramente degni e adatti; e rifuggano dal procurare direttamente o indirettamente voti sia per sé che per altri [124].

125. Le elezioni siano fatte per un tempo determinato, trascorso il quale, quelli che hanno esercitato un ufficio possono essere confermati nel medesimo, ma dopo la seconda volta possono essere confermati soltanto secondo le norme stabilite nel direttorio generale.

I Ministri, prima di prendere possesso del proprio ufficio, devono emettere professione di fede, secondo la formula approvata dalla Sede Apostolica, dinanzi al presidente del collegio eleggente o suo delegato, a norma del canone 833, 8.

I religiosi designati ad altri uffici emettano la suddetta professione di fede a norma del direttorio generale.

126. Nell’Ordine nessun ufficio è inamovibile. L’ufficio si perde con lo scadere del tempo prestabilito, per rinunzia accettata, trasferimento, rimozione o anche per privazione [125].

Forma giuridica dell’esercizio dell’autorità

127. L’autorità collegiale, per agire validamente e lecitamente, deve procedere collegialmente e secondo le norme del diritto.

Anche l’autorità personale deve essere esercitata a norma del diritto.

128. Quando il diritto stabilisce che il Superiore ha bisogno, per agire, del consenso del consiglio di alcune persone singole o di un collegio, si richiede, per la validità, che sia ottenuto il consenso o richiesto il consiglio, a norma del diritto [126].

Funzione pastorale dei Superiori

129. I Superiori, per edificare una fraterna comunità in Cristo, nella quale i frati possano tendere alacremente alla perfezione della carità secondo lo spirito e l’indole dell’Ordine, devono vigilare perché non venga meno il fervore spirituale, ma che anzi si rinnovi e fiorisca sempre di più.

Per raggiungere tale scopo, oltre a quanto è contenuto nei diversi passi delle nostre leggi, giova molto la diligente osservanza del precetto evangelico della correzione fraterna.

130. I frati aiutino con evangelica carità il confratello che si trova in pericolo. Se poi sanno che egli ha mancato gravemente, per il bene suo e della comunità lo ammoniscano con dolcezza e fraternità e lo riprendano, come vuole la Regola, secondo le parole del Vangelo (Cfr. Mt 18, 15). Questo precetto obbliga tutti, ma in modo particolare quelli rivestiti di autorità (Cfr. Gal. 6, 1; 1 Tm 5, 20).

131. I ministri locali poi, in colloqui privati e nelle celebrazioni comunitarie, e i Superiori maggiori, specialmente nelle loro visite pastorali, correggano con esortazioni e avvertenze, oltre alle altre cose, le mancanze sia dei singoli che della comunità e gli abusi contro le prescrizioni delle leggi e contro le osservanze del nostro Ordine.

132. Chi, però, persevera con ostinazione nell’errore e nella colpa, sia ammonito e ripreso con rimedi adatti ed efficaci recepiti nell’Ordine [127].

Ma quando si tratta di applicare le pene ecclesiastiche, si devono osservare diligentemente, oltre al precetto della carità del Signore, le norme del diritto universale.

Parte seconda: Governo in specie

A) GOVERNO GENERALE

Capitolo generale

133. Il capitolo generale, autorità suprema e segno di comunione nella carità e di reciproca unione di forme e di cuori, è l’assemblea universale dell’Ordine, che esprime la partecipazione di tutti i frati, per effettuare le elezioni generali, per trattare e definire le cose che possono promuovere il bene dell’Ordine, e specialmente per custodire il proprio patrimonio e fomentare il rinnovamento aggiornato secondo il medesimo patrimonio, come anche per stabilire norme alle quali tutti devono obbedire.

134. Il capitolo generale ordinario sia celebrato ogni sei anni, nella solennità, se è possibile, della Santa Trinità, a norma del diritto universale e proprio.

  1. Nel capitolo generale hanno voce attiva: -il Ministro generale,
    -i consiglieri generali,
    -i Ministri provinciali,

    -i Ministri viceprovinciali,

    -altri vocali di voti solenni secondo le norme del direttorio generale, di maniera che, tuttavia, il numero dei designati per elezione non sia inferiore al numero dei partecipanti per ufficio.

  2. Nel capitolo generale vengono eletti: -il Ministro generale,
    -i quattro consiglieri generali,
    -il Vicario generale,

    -il Segretario generale,

    -il Procuratore generale.

137. Per l’elezione del Ministro generale sono ammessi cinque scrutini, e nei primi quattro si richiedono i due terzi dei suffragi.

Dopo il secondo scrutinio inefficace, viene escluso il candidato che per la terza volta successiva concorre all’ufficio di Ministro generale.

Dopo quattro scrutini inefficaci, la votazione si effettua sopra i due candidati che hanno ottenuto la maggior parte dei voti o, se sono di più, sopra i due più anziani di professione solenne, e se fossero pari di professione, sopra i due più anziani di età.

Se avessero riportato pari voti, è ritenuto eletto il più anziano di professione solenne e, se fossero uguali di professione, il più anziano di età.

Per le altre elezioni e per gli affari da risolvere in capitolo, si osservi quanto disposto nel canone 119, & 1, 2.

138. Il Ministro generale, consultati i consigli provinciali e con consenso del suo consiglio, può convocare il capitolo generale straordinario, per trattare affari di grande importanza concernenti la vita e l’attività dell’Ordine.

Quanto è detto del capitolo generale ordinario, vale anche per il capitolo straordinario, eccettuate le cose proprie del capitolo ordinario.

Congregazione generale

139. La congregazione generale è una riunione speciale dell’Ordine, alla quale compete:

a) esaminare i voti e i programmi stabiliti all’inizio del sessennio;

b) provvedere i mezzi adatti ai tempi per promuovere sempre più il bene dell’Ordine;

c) fomentare le relazioni delle province tra loro e con la Curia generalizia, e trattare fraternamente dello stato dell’Ordine;

d) interpretare le costituzioni durante il tempo della sua celebrazione, a norma del n. 112 delle presenti costituzioni;

e) accettare la rinunzia degli uffici generali e reintegrare gli stessi uffici con nuove elezioni, a norma del diritto;

f) trattare gli affari economici di maggior rilievo.

140. La congregazione generale sia celebrata una volta durante il sessennio, e inoltre tutte le volte che sembrerà opportuno al Ministro generale con il suo consiglio.

Detta congregazione ha potere deliberativo ed è retta dalle norme stabilite nel direttorio generale.

141. La congregazione generale è composta dal Ministro generale e dal suo consiglio, dal Segretario e dal Procuratore generale, dai Ministri provinciali «ad instar» e dall’Economo generale e dal Procuratore Generale della Redenzione.

Consiglio generale

142. Il consiglio generale è costituito dal Ministro generale e dai quattro consiglieri.

È suo compito, osservando diligentemente quanto avviene nella Chiesa e nell’Ordine, avere sollecita cura del bene comune di tutto l’Ordine, secondo le facoltà che gli sono attribuite.

Inoltre, il consiglio generale, con la sua assidua collaborazione specialmente prestando il suo consenso o il suo consiglio a norma del diritto, offre al Ministro generale un valido aiuto nel governo dell’Ordine.

Il consiglio generale, fuori del tempo del capitolo e della congregazione generale, ha la suprema potestà esecutiva e giudiziale nell’Ordine.

Per diritto universale e proprio dell’Ordine, competono al consiglio in quanto tale molte cose da compiere collegialmente. Oltre a quelle indicate nei rispettivi punti, si elencano le seguenti:

a) emanare decreti esecutivi per tutto l’Ordine o per una sua parte, e revocarli o mutarli;

b) interpretare le costituzioni fuori del capitolo e della congregazione a norma del n. 112 delle presenti costituzioni, e dispensare per gli atti singoli dai decreti del capitolo generale;

c) adempiere la funzione di supremo tribunale dell’Ordine;

d) accettare, fuori dal capitolo e della congregazione, le rinunzie agli uffici generali e provvedervi quando, per qualsiasi ragione, sono vacanti, fermo restando il disposto del n. 147 delle presenti costituzioni. Accetta, invece, la rinunzia del Ministro generale, a norma del n. 146 di queste costituzioni;

e) concedere le approvazioni e i diversi permessi richiesti dal diritto.

143. Il consiglio generale è retto da uno statuto proprio; per le elezioni e, a giudizio del presidente, per gli affari più importanti il consiglio sia pieno.

Ministro generale

144. Il Ministro maggiore e generale ha giurisdizione ordinaria su tutte le province, le case e i frati; giurisdizione che esercita a norma del diritto e delle costituzioni. I frati, pertanto, gli prestino rispettosa obbedienza, come a legittimo successore del Santo Padre Giovanni.

Egli, d’altra parte, facendosi sinceramente modello del gregge, provveda, con accurata sollecitudine, al bene, all’incremento e alla prosperità dell’Ordine, e vigili attentamente perché gli altri Ministri compiano fedelmente il compito loro affidato e, con la parola e l’esempio, facciano progredire in ogni opera buona i loro religiosi.

145. Il Ministro generale eserciti la sua missione pastorale con i mezzi più adatti alle circostanze dei tempi e, almeno una volta durante il sessennio, visiti personalmente, o tramite altro, le province, le viceprovince, i vicariati, le missioni e le loro case.

146. Fuori del capitolo e della congregazione generale, il consiglio generale pieno, consultati i consigli provinciali, può accettare la rinunzia del Ministro generale.

Prima di procedere ulteriormente, il documento della rinunzia insieme al giudizio del consiglio generale, espresso con voto segreto, sia rimesso alla Sante Sede per la conferma.

Per la rimozione del Ministro generale, oltre ai consiglieri generali, devono essere convocati i Ministri provinciali perché, esaminato il caso, deliberino collegialmente circa la rimozione, osservando le prescrizioni del diritto universale e proprio.

Il decreto, prima che sia mandato in esecuzione, insieme alle ragioni che hanno mosso ad emetterlo, sia rimesso alla Santa Sede per la conferma.

147. Quando l’ufficio di Ministro generale resta vacante entro il biennio dalla fine del sessennio, il Vicario generale assume il governo dell’Ordine fino al capitolo generale elettivo. L’elezione del Provicario generale, però, deve essere effettuata dalla congregazione generale entro cinque mesi. Se invece l’ufficio resta vacante più di due anni prima dalla fine del sessennio, il Vicario generale convochi la congregazione generale, perché elegga il nuovo Ministro generale, il cui mandato durerà sino alla fine del sessennio in corso.

Vicario generale

148. Il Vicario generale ha quelle facoltà, che il Ministro generale gli avrà opportunamente delegate, e fa le veci del Ministro generale assente o impedito.

In caso, però, di impedimento lungo o grave del Ministro generale, riconosciuto tale dal consiglio, egli governa l’Ordine usufruendo di tutte le facoltà.

149. Assente o impedito il Vicario generale, fanno le sue veci i consiglieri, secondo la priorità di elezione.

Ma se questo ufficio resta vacante, provveda la congregazione o, fuori della congregazione, il consiglio generale.

Segretario generale e Procuratore generale

150. Spetta al Segretario generale, oltre a ciò che gli viene affidato dal consiglio generale, registrare tutte le cose trattate dallo stesso consiglio generale, firmarne i documenti e gli atti.

Il Procuratore generale, invece, tratta gli affari dell’Ordine presso la Santa Sede.

Il Procuratore della Redenzione, seguendo la tradizione dell'Ordine, operi nel coordinamento della carità redentrice verso i perseguitati in ragione della loro fede in Cristo, contando anche sulla collaborazione dei membri della famiglia trinitaria, dei benefattori e di altre persone di buona volontà, secondo il n. 67 di queste Costituzioni.

151. Il capitolo o il consiglio generale possono istituire altri incarichi permanenti o temporanei, secondo le circostanze.

B) GOVERNO PROVINCIALE

Capitolo provinciale

152. Il capitolo provinciale è l’assemblea dei frati che rappresentano tutta la provincia, essi si riuniscono in comunione di spirito e di vita, per trattare del bene e del progresso prima di tutto della provincia, ma anche, poi, delle singole case e del loro incremento, dei mezzi adatti da usare a tal fine, e per effettuare le elezioni provinciali.

153. Il capitolo provinciale viene celebrato ogni tre anni, ed è retto dal diritto universale, dalle presenti costituzioni e da statuti particolari, dati dallo stesso capitolo provinciale ed approvati dal consiglio generale.

In esso vengono eletti:
-il Ministro provinciale,
-i consiglieri provinciali,
-il Vicario provinciale,
-il segretario provinciale,
-altri uffici secondo gli statuti di ciascuna provincia.

154. Quanto riguarda il tempo e il modo della celebrazione del capitolo provinciale e la sua preparazione, viene determinato dagli statuti della provincia secondo le norme del diritto generale.

155. Nel capitolo provinciale hanno voce attiva:

a) il Ministro generale o suo delegato,

b) il Ministro provinciale e i consiglieri provinciali,

c) il Ministro provinciale neoeletto,

d) il segretario provinciale,

e) il Ministro del vicariato provinciale o un delegato,

f) il Ministro del vicariato missionario o un delegato,

g) altri vocali, secondo gli statuti della provincia,

h) i delegati eletti secondo gli statuti di ciascuna provincia, in modo che, tuttavia, equiparino almeno il numero dei vocali designati dal diritto,

i) infine i neoeletti nello stesso capitolo, se vogliono.

156. Il capitolo provinciale straordinario può essere convocato dal Ministro provinciale, se così avrà deciso il consiglio provinciale, dopo aver sentito i Ministri delle case e averne informato il Ministro generale.

157. Può essere istituita la congregazione provinciale, se così è previsto negli statuti provinciali, ai quali spetta anche stabilire chi vi deve partecipare, quante volte e quando deve essere celebrata.

Consiglio provinciale

158. Il consiglio provinciale è costituito dal Ministro provinciale e da quattro consiglieri.

È suo compito esaminare con cura e diligenza, e provvedere opportunamente alle cose concernenti il bene spirituale e temporale di tutta la provincia e dei singoli conventi, alla vita religiosa e all’attività apostolica, e specialmente a quanto riguarda la formazione dei frati.

Per diritto universale e proprio dell’Ordine, competono al consiglio provinciale, in quanto tale, varie cose da esercitare collegialmente, come:

a) esaminare decreti esecutivi, mutarli e revocarli, per tutta la provincia o per una sua parte, ferma restando l’osservanza del diritto universale e dell’Ordine;

b) interpretare, fuori dal capitolo, gli statuti della provincia;

c) effettuare le elezioni che gli sono state demandate, e accettarne o ricusarne le rinunzie;

d) accettare, fuori dal capitolo e della congregazione, le rinunzie ad uffici ed incarichi provinciali, e provvedervi in qualunque modo essi restino vacanti, a meno che dal diritto non sia previsto altrimenti;

e) concedere le approvazioni e i permessi stabiliti dal diritto; f) svolgere la funzione di tribunale nella provincia;

g) infine, preavvisato il Ministro generale, convocare il capitolo provinciale, e fissare il tempo e il luogo della celebrazione.

159. Inoltre il consiglio presta assiduo aiuto al Ministro provinciale nel governo della provincia, con il consiglio e il consenso, a norma del diritto.

160. Il consiglio provinciale per le elezioni e per gli affari che, a giudizio del presidente, sono di maggiore importanza, sia pieno.

Ministro provinciale

161. Il Ministro provinciale gode di potestà ordinaria che esercita secondo le costituzioni, su tutte le case e i frati della provincia a lui affidata.

Egli, facendosi sinceramente modello del gregge, ha l’obbligo di curare con grande sollecitudine che in tutte le case della provincia siano in vigore e fioriscano lo spirito e la vita autentica dell’Ordine, e sia custodita l’osservanza delle leggi.

Ha inoltre il dovere di fomentare il bene dei singoli e di tutta la provincia e di promuovere con zelo le iniziative apostoliche.

162. Il Ministro provinciale è in primo luogo e per sé l’animatore della provincia, ed esercita il suo ufficio pastorale in spirito di fraternità e di servizio, facendo uso dei mezzi più adatti ai suoi luoghi e ai frati.

Personalmente, o per mezzo di un delegato, visiti le case della provincia almeno ogni anno, il vicariato provinciale invece e la missione affidata alla provincia, almeno una volta durante il triennio.

163. Fuori del capitolo, la rinunzia del Ministro provinciale può essere accettata dal Ministro generale con il consenso del suo consiglio, udito il consiglio provinciale.

164. Se l’ufficio di Ministro provinciale resta vacante entro il periodo di un anno dal termine del mandato, assume il governo della provincia il Vicari provinciale, fino al capitolo provinciale ordinario.

Se invece l’ufficio resta vacante a più di un anno dalla fine del mandato, il Vicario provinciale convochi la congregazione provinciale o, se questa non esiste, il capitolo straordinario, al quale spetterà di eleggere il nuovo Ministro provinciale, il cui incarico durerà sino alla fine del mandato in corso; e, se ne sarà il caso, eleggerà anche un altro Vicario o consigliere.

Vicario Provinciale e Segretario provinciale

165. Il Vicario provinciale gode delle facoltà che gli avrà opportunamente delegate il Ministro provinciale. E regge la provincia quando il Ministro provinciale è assente o impedito.

In caso, però, di impedimento lungo o grave, riconosciuto tale dal consiglio provinciale, gode di tutte le facoltà.

166. Assente o impedito il Vicario provinciale, gli succedono i consiglieri secondo la priorità di elezione.

167. Al Segretario provinciale spetta, oltre a ciò che gli viene affidato dal consiglio provinciale e dagli statuti della provincia, registrare le cose trattate, annotare tutto quello che riguarda le case o i frati della provincia, e sistemarlo ordinatamente nell’archivio.

168. Altri incarichi permanenti o temporanei possono essere istituiti, secondo le circostanze, dal capitolo o dal consiglio provinciale; ad essi si provveda opportunamente, a norma del direttorio generale e degli statuti di ciascuna provincia.

Viceprovincia e vicariato

169. Ciò che è stato detto del governo provinciale, si applica anche al governo della viceprovincia, eccetto quanto viene indicato a suo luogo.

170. Il vicariato generale o provinciale oppure la missione, presieduti da Ministri a modo di provinciali che hanno gli stessi diritti e doveri dei Ministri provinciali, hanno un proprio consiglio e sono retti dalle presenti costituzioni e dalle norme del direttorio generale e degli statuti particolari.

C) GOVERNO LOCALE

Capitolo conventuale

171. Il capitolo conventuale è la riunione dei frati della comunità trinitaria, che costituisce nella casa una sola famiglia. È suo compito trattare o deliberare le cose riguardanti la vita comune, spirituale e apostolica, e fomentare la concordia e l’attiva collaborazione dei singoli così che, mediante il dialogo fraterno, siano meglio portate avanti le iniziative della comunità e siano studiate in modo comunitario quelle nuove da intraprendere.

172. Spetta inoltre al capitolo conventuale:
a) eleggere, secondo le norme degli statuti della provincia:

-il Vicario,
-due consiglieri, -il segretario, -l’economo;

b) conferire altri incarichi necessari alla vita comunitaria e all’esercizio dell’apostolato.

173. Al capitolo intervengono con diritto di voto tutti i frati professi solenni, eccettuati gli ospiti. Siano però ascoltati gli altri frati tutte le volte che sembrerà conveniente.

Ministro della casa

174. Il Ministro, facendosi sinceramente modello del gregge, è l’anima della vita spirituale e apostolica. Egli, insieme con i frati, si adopera per costruire una comunità fraterna in Cristo, nella quale tutti i frati, solidali e compartecipi, nell’unità e nella carità, nello spirito e nelle opere, danno testimonianza della vita trinitaria.

Il Ministro viene eletto secondo le norme degli statuti di ciascuna provincia.

175. Il Ministro ha potestà ordinaria sui frati della comunità e, secondo la legislazione dell’Ordine, promuove la vita e l’attività dei frati che presiede con dottrina e l’esempio.

Vicario, consiglieri e segretario del convento

176. Il Vicario aiuta il Ministro nel governo del convento, e ne fa le veci quando questi è assente o impedito.

In assenza del Vicario, regge il convento il religioso più anziano di professione solenne, a meno che gli statuti provinciali non dispongano altrimenti.

177. I consiglieri prestano al Ministro la loro opera; trattano con lui frequentemente la vita e l’attività della comunità, rivedono accuratamente e firmano i registri della casa.

178. Mansione del segretario conventuale è di mettere agli atti gli affari della comunità, scrivere gli annali, ordinare l’archivio, fare il censimento o la statistica e l’inventario.

Governo delle case piccole

179. Spetta al direttorio generale e agli statuti della provincia stabilire una forma di vita particolare per le case nelle quali i religiosi sono molto pochi, così che, considerate le condizioni delle singole case, vi si possa condurre una vita conforme allo spirito e alle esigenze fondamentali della comunità trinitaria [128].

Il consiglio del Ministro in queste case è costituito da tutti i religiosi della comunità.

Capitolo VIII: BENI TEMPORALI

180. I frati del nostro Ordine, che secondo la Regola “devono vivere senza nulla di proprio”, possono possedere beni temporali soltanto in comunione. Pertanto, tutto ciò che essi acquistano, lo acquistano per l’Ordine, secondo le norme del diritto universale e proprio.

L’Ordine, infatti, le province e le case, in quanto persone giuridiche, per il diritto stesso hanno la capacità di acquistare, possedere, amministrare e alienare beni temporali mobili e immobili, in tutte le giuste forme del diritto naturale e positivo [129] , secondo i principi economici previsti dagli statuti della provincia; e possono ritenerli e amministrare per il loro conveniente sostentamento, per ordinare il culto divino ed esercitare opere di apostolato, di carità e di redenzione [130].

181. Il lavoro quotidiano, al quale i frati devono attendere in testimonianza di povertà e in spirito di fede e di servizio, è il modo ordinario e principale con cui i nostri religiosi procurano il necessario per sé e per le opere dell’Ordine [131]. Altri beni possono pervenire all’Ordine dalle elargizioni dei benefattori e dalle offerte dei fedeli.

Si deve, tuttavia, evitare ogni apparenza di lusso, di eccessivo guadagno e di accumulazione di beni [132].

182. Tutti i beni dell’Ordine, in quanto beni ecclesiastici, sono retti dalle norme del diritto patrimoniale universale della Chiesa, a meno che non sia espressamente disposto altro [133].

Il direttorio generale dell’Ordine e gli statuti di ciascuna provincia determinano quali beni appartengono alle singole persone giuridiche; inoltre, stabiliscono norme per rendere più efficace la comunicazione dei beni tra le diverse case e province.

Al direttorio generale e agli statuti provinciali, similmente, spetta determinare entro l’ambito del diritto universale, quali sono gli atti che eccedono tale limite e le modalità dell’amministrazione ordinaria, e stabilisce ciò che è necessario per porre validamente gli atti di amministrazione straordinaria [134]; determinare, inoltre, l’autorità alla quale spetta intervenire per l’alienazione dei beni, per contrarre mutui e debiti di altro genere, a seconda della diversa somma del contratto.

183. Siano perciò costituiti, a norma del diritto e sotto la direzione del Ministro competente, amministratori dei beni o economi, versati in diritto ecclesiastico e civile, specialmente riguardo ai contratti; essi svolgano diligentemente il loro incarico e prestino fedelmente il rendiconto dell’amministrazione nei tempi stabiliti dal direttorio, e ogni volta che l’autorità competente lo richieda [135].

Capitolo IX: SEPARAZIONE DEI FRATI DALL’ORDINE

184. La Chiesa, alla quale Cristo ha dato il potere di legare e di sciogliere, rescinde il vincolo della professione del frate dell’Ordine e gli stessi suoi voti, quando il bene comune o dello stesso frate lo richiedano (Cfr. Mt 16, 19; 18, 18).

Quando, tuttavia, si tratta della separazione dall’Ordine, si proceda con prudenza e carità.

185. La separazione dall’Ordine, che può essere parziale o totale, temporanea o definitiva, avviene in diversi modi [136].

1. Il religioso vincolato da voti temporanei, viene separato:

a) quando, terminato il tempo della professione, rifiuta di rinnovare i voti o di emettere la professione solenne, oppure quando dall’autorità competente dell’Ordine non viene ammesso a nessuna delle due cose;

b) quando, durante il tempo della professione, ha ottenuto dal Ministro generale l’indulto di lasciare l’Ordine o ne viene dimesso, con procedura istituita a norma del diritto.

2. Il professo di voti solenni nell’Ordine, viene da questo separato:

a) per legittimo passaggio ad altro istituto religioso o secolare, oppure a società di vita apostolica;

b) per indulto di esclaustrazione, che comporta una certa separazione parziale, definita dal diritto;

c) per indulto della Santa Sede di lasciare l’Ordine;

d) per dimissione dall’Ordine, sia in forza del diritto che a seguito di processo speciale, osservate tutte le condizioni richieste dal diritto.

186. I religiosi che lasciano l’Ordine o ne vengono legittimamente dimessi, non possono esigere nulla dal medesimo, per qualunque attività in esso compiuta.

L’Ordine, però, osservi verso quelli che se ne separano l’equità e la carità evangelica [137].

Capitolo X: RELAZIONE CON GLI ALTRI MEMBRI DELLA FAMIGLIA TRINITARIA

187. La nostra fraternità fomenta, per quanto è possibile, speciali rapporti con gli altri istituti della Famiglia trinitaria e con i loro membri. Pratica questo, conservando il primitivo spirito dell’Ordine, soprattutto nella compartecipazione dei beni spirituali e nella mutua assistenza e collaborazione.

188. Le monache del nostro Ordine esprimono l’aspetto contemplativo della Famiglia trinitaria, vivendo nella solitudine, nella preghiera, nella “metanoia” e nel lavoro, in intimo colloquio con il Padre per il Verbo nello Spirito Santo.

I nostri religiosi, assecondando i desideri della Chiesa, volentieri prestino loro aiuto, finché fioriscano ovunque in fervore e numero e, producendo frutti ricchissimi si santità, siano in onore e di esempio per il Popolo di Dio, al quale danno incremento con una misteriosa fecondità [138].

189. Le congregazioni di suore, partecipando del comune carisma dell’Ordine, ciascuna secondo il proprio stile di vita, lavorano nell’esercizio delle varie opere di misericordia e di redenzione a gloria e lode della Santa Trinità.

Il nostro Ordine instauri con loro una collaborazione, secondo le prescrizioni delle leggi, affinché l’uomo totale, creato ad immagine di Dio uno e trino, riceva in dono una copiosa redenzione dell’anima e del corpo.

190. Gli istituti secolari, l’ordine secolare e le altre associazioni trinitarie, fondati dall’Ordine o ad esso aggregati, compartecipano nel secolo del nostro carisma e, nella propria indole secolare e nella forma della loro peculiare vocazione, cercano di trasformare il mondo nello spirito delle beatitudini, come fermento dal di dentro.

I nostri religiosi si impegnino perché tali associazioni, aggiornate alle esigenze dei tempi, e altri “movimenti trinitari” vengano costituiti e fioriscano a gloria e onore della Chiesa.

191. Si prestino sensi di gratitudine, benevolenza e carità nei loro bisogni spirituali e temporali, ai benefattori e ai nostri collaboratori di qualsiasi genere.

I familiari, e in modo particolare i genitori dei nostri religiosi, sono ritenuti tra i benefattori distinti dell’Ordine, perciò si abbiano per essi speciali sentimenti di gratitudine e di affetto.

Capitolo XI: BIBLIOTECHE E ARCHIVI

Biblioteche

192. La forma di vita descritta in queste costituzioni richiede vari sussidi, tra i quali emerge la biblioteca.

Perciò in ogni casa vi sia la biblioteca, nelle quali si abbiano opere e libri di autori di sicuro valore e riviste recenti, più indicate per il progresso della scienza.

Vi si curi, inoltre, una sezione speciale di libri e di riviste riguardanti l’Ordine e il suo apostolato specifici.

Archivi

193. La Famiglia trinitaria si fonda su una particolare comunione di fede, di stile di vita religiosa e di progetti tra tutti i suoi membri, sia quelli dell’epoca primitiva e delle seguenti età fino alla nostra, sia quelli che in futuro si aggregheranno all’Ordine.

194. Il suo comune patrimonio, al quale devono partecipare tutti i membri, richiede che le vicende dell’Ordine, gli eventi più notevoli ed altri aspetti concernenti la vita religiosa e apostolica e fatti di vario genere, siano ricordati e registrati accuratamente, per essere collocati insieme con i documenti autentici negli archivi e tabulari dell’Ordine per la comune attività.

195. Bisogna, quindi, che nella Curia generalizia vi sia l’archivio dell’Ordine; nelle province quello provinciale; in ogni casa quello del convento. In essi siano custoditi diligentemente i documenti disposti ordinatamente, alcuni esemplari di libri pubblicati da frati o da altri riguardanti il nostro Ordine, e tutte le altre cose degne di memoria.

Inoltre, si faccia indice e inventario dei documenti conservati in archivio, e di essi venga redatto, con chiarezza e diligenza, un prospetto sintetico e, in più, si abbia un’attenzione speciale per la sezione segreta dell’archivio.

196. Anche ogni altro ufficio abbia registri, documenti e inventari che lo riguardano; essi, ordinati secondo le norme delle nostre leggi, siano custoditi in tabulari speciali e, al momento opportuno, siano trasferiti ai predetti archivi.

197. In tal modo, gli archivi sono fonte e segno luminoso di comunione in tutto l’Ordine; offrono una testimonianza di vita dedicata a Dio e all’uomo; divengono stimolo di amore per una vita impegnata per la redenzione dei fratelli, a gloria della Santa Trinità.

___________________

1  Cf. LG 43, 44; PC 1; ET 4

2  Cf. PC 15; ES II, 25

3  Cf. PC 8; ET 26

4  Cf. Reg. Trin.

5  JUAN BAUTISTA DE LA CONCEPCIÓN, Obras completas, III, Madrid 1999, 10-11

6  Cf. OT 8

7  INNOCENT III, Bulle Operante divine Dispositionis (17 décembre 1198)

8  Cf PC 18

9  CF. LG 20; 27

10 Cf. can. 596, § 2; MR 13

11 Reg. Trin. 1, 4

12 Cf PC 17; ET 22; Rituel de profession 13

13 Cf Reg. Trin.

14 Le titre aujourd’hui: Ordo Sanctissimae Trinitatis et Captivorum, par décision de la CIVCSVA du 23 juillet 2013

15  LG 47

16  Cf PC 1; ET 7

17  Cf LG 44; PC 5

18  Cf LG 45; PC 5

19  Cf LG 46

20  Cf PC 14

21  Cf LG 46

22  Cf can 654

23  Cf can 578

24  Cf LG 42; PO 16

25  Cf PC 12; LG 42; PO 16

26  Cf LG 42; PO 16; ET 14

27  Cf PC 12

28  LG 42; PO 16

29  Cf PC 12; ot 10

30  PO 16

31  Cf. PC 12

32  Cf LG 42; PC 13

33  Cf LG 44

34  Cf PC 13; ET 22; can. 600; Reg. Trin.

35  Cf can. 668, § 1

36  Cf can. 668, § 4

37  Cf can. 668, § 3

38  Cf PC 13; ET 20; Reg. Trin.

39  Cf. Reg. Trin.

40  Reg. Trin. 2

41  Cf. PC 13; ET 22; Reg. Trin. 3

42  Cf. PC 13

43  Cf. PC 14; ET 24-25

44  Cf. PC 14; ET 27, can. 601

45  Cf. can. 590 § 2

46  Cf. Reg. Trin. PC 14

47  Cf. ET 24, 25

48  Cf. Reg. Trin. 29

49  Cf. PC 14; ET 25; can. 618

50  Cf. PC 14

51  Cf. ET 54

52  Cf. SCRIS, Protocole N. T. 78-1/73

53  LG 4

54  Cf. can. 608

55  Cf. ET 39

56  Cf. can 669, § 1

57  Can. 665, § 1

58  Can 667, § 1

59  Can 666

60  Cf LG 42

61  Cf ET 47

62  Cf SC 7, 8

63  Cf SC 10

64  Cf SC 2; ET 48; can. 608

65  Cf. LG 11

66  Cf. can. 663 § 2

67  PO 18; cf. can. 663 § 2

68  Cf. SC 83-84

69  Cf. SC 86.90: PO 5; LH 14. 18.19

70  PC 6

71  Cf DV 25; PC 6

72  Cf. ES II, 16 § 1

73  Cf. SC 35, 4

74  SC 12

75  Cf. ES II, 21

76  GS 21; cf. OT 8

77  Cf. Reg. Trin.

78  Cf. LG 46.53.65; PO 18

79  Cf. AAS LIII (1961) 602

80  Cf. PO 18; can. 664

81  Cf. LH “ad completorium”

82  Cf. ET 35

83  Cf. can. 663, § 5

84  ET 46

85  LG 9

86  Cf. can. 664

87  ET 29

88  Cf. SC 109

89  Paen. III, 2

90  LG 64

91  Cf. PC 2; c; ET 50

92  Can. 678, § 2

93  Cf. can. 678, § 3

94  Cf. Const. n. 5

95  Cf. Reg. Trin. 2

96  AG 35

97  Cf. AG 27, 40; PC 20; EN 69; can. 783

98  MR 22, 46

99  Cf. can. 681

100 Cf. PC 24
101 Cf. PC 24; OT 2
102 Can. 643, § 1
103 Can. 646
104 Cf. can. 652, § 2
105 Cf. can. 651, § 1
106 Cf. can. 648, § 2
107 Cf. can. 648, § 1, 3
108 Cf. can. 649,§ 1
109 Cf. can. 653, § 1
110 Cf. can. 657, § 2
111 Cf. can.656
112 Cf. can. 658
113 Cf. OT 4; can. 659, § 3 114 Cf. PC 18
115 Cf. PC 18; can. 661

116  Cf. MR 27

117  Cf. can. 596

118  Cf. can. 609, 610, 616

119  Cf. can. 598, § 2

120  Cf. can. 631, 632

121  Cf. PC 14; ET 24; MR 13; Reg. Trin.

122  Cf. can. 127, § 2

123  Cf. can. 623

124  Cf. Reg. Trin. ; can. 626

125  Cf. can. 184

126  Cf. can. 127

127  Cf. Reg. Trin.

128  Cf. ET 40

129  Cf. can. 634

130  Cf. Reg. Trin.; PC 13; can 1254

131  Cf. PC 13; Reg. Trin.

132  Cf. PC 13; ET 22; can. 634 § 2

133  Cf. can. 635

134  Cf. can. 638 § 1

135  Cf. can. 636-2

136  Cf. can. 684-704

137  Cf. can. 702

138  Cf. PC 7

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Capitolo I: LEGGI DELL’ORDINE

1. Le costituzioni, approvate dalla Sede Apostolica, contengono leggi fondamentali e altre disposizioni per tutto l’Ordine, meno soggette a cambiamenti.

Il direttorio generale, invece, contiene norme che adattano le costituzioni al vigente direttorio della Chiesa e le completano con disposizioni confacenti alle ordinarie necessità. La vita dell’Ordine, infatti, deve adattasi alle condizioni del mondo che si evolve, secondo le leggi della Chiesa e lo spirito dell’Ordine[1].

Il direttorio, inoltre, riporta, per comodità dei frati, diverse leggi emanate dalla Chiesa per i religiosi e che sono presentemente in vigore.

2. Il direttorio viene redatto e approvato dal capitolo generale a maggioranza qualificata, e viene promulgato, per autorità del medesimo, in tutto l’Ordine.

L’aggiunta, la soppressione e l’innovazione degli articoli spetta al capitolo generale, ugualmente a maggioranza qualificata.

3. Spetta al capitolo generale anche l’interpretazione del direttorio generale; che, se si deve presentare sotto forma di legge,  richiede la maggioranza qualificata dei voti, e deve essere promulgata (Cfr. can 16,§ 2).

Fuori dal capitolo, invece, e fino alla sua celebrazione l’interpretazione che non sia estensiva o restrittiva, compete alla congregazione generale, a maggioranza assoluta.

4. Gli statuti, come legge particolare di una Provincia, Viceprovincia o Vicariato, che gode di una certa stabilità, vengono redatti dai rispettivi Capitoli e approvati a maggioranza qualificata e, perché abbiano forza di legge, devono essere approvati dal Consiglio generale.

Tutti gli altri Statuti, eccetto quelli del Capitolo generale, della Congregazione generale, del Vicariato generale e del Consiglio generale o provinciale, saranno approvati dai rispettivi Consigli.

4. bis. Quanto è stato detto nei numeri 2 e 3 riguardo all’aggiunta, soppressione e interpretazione del direttorio generale, si applica, con i dovuti riferimenti, ai singoli statuti della propria giurisdizione.

5. Le costituzioni, il direttorio e le altre norme vigenti, inducono la coscienza dei religiosi, in forza della professione religiosa, a vivere nella perfetta carità e a formare una vera comunità di fratelli, secondo lo spirito dell’Ordine[2].

Ma affinché i frati possano meglio conoscere il patrimonio spirituale dell’Istituto, i Superiori curino che nelle singole comunità vengano letti ogni anno, possibilmente in comune, la Regola, le Costituzioni, il direttorio, le norme e i documenti dell’Ordine.

6. La congregazione generale e il Consiglio generale possono, fuori dal Capitolo, per giusto motivo e in casi particolari, dispensare dalle prescrizioni disciplinari che non siano però della Chiesa, tutto l’Ordine, una Provincia, una Viceprovincia e un Vicariato, a maggioranza qualificata; una comunità locale, a maggioranza assoluta. Condizione necessaria per ogni caso di dispensa è che essa non sia espressamente proibita nel diritto o non riguardi la sostanza della vita religiosa o la costituzione ossia il regime dell’Ordine.

Alle stesse condizioni, godono della medesima facoltà i consigli provinciali circa gli statuti e i decreti emanati dai propri capitoli.

Perché il capitolo conventuale o il consiglio provinciale possano chiedere la dispensa da qualche cosa stabilita nelle costituzioni o nel direttorio generale, si richiede la maggioranza qualificata.

7. Il Ministro generale può dispensare i singoli religiosi in tutto l’Ordine, il Ministro provinciale nella propria provincia e il Ministro locale nella propria casa, a meno che non sia espressamente proibito dalle costituzioni o dal direttorio generale, o che la dispensa non sia riservata ad altra autorità.

****

NOTE:

1. Cfr. ES, II,14; can. 587.

2. Cfr. Costit. Ord. n.115

Capitolo II: PROFESSIONE RELIGIOSA NELL’ORDINE

PROFESSIONE RELIGIOSA NELL’ORDINE

8. La professione religiosa, per prudente disposizione della Chiesa, è compiuta gradualmente, così che il candidato, dopo un’accurata preparazione e la dovuta probazione, si vincoli prima con i voti temporanei per un congruo spazio di tempo, ed emetta, infine, i voti perpetui solenni.

9. I frati devono solo osservare integralmente e con fedeltà i consigli evangelici, ma anche vivere secondo il diritto proprio dell’Ordine, e in tal modo tendere alla perfezione religiosa[1].

Voto di castità

10. Con il consiglio di castità perfetta, raccomandato da Cristo (Cfr. Mt 19, 10-12), il frate “fattosi tutto a tutti”, nella testimonianza della propria gioia, nell’assidua preghiera a Dio e alacrità nel servizio divino e nelle opere di apostolato, rende gli uomini partecipi di una salutare redenzione. Così raggiunge in modo singolare la libertà dello spirito e, rinunciando alla formazione di una famiglia naturale, acquista per Cristo una famiglia più grande.

11. Ma “poiché la castità perfetta tocca intimamente le inclinazioni più   profonde della natura umana, i candidati alla professione di castità non abbraccino questo stato, né vi siano ammessi, se non dopo una prova veramente sufficiente e dopo che sia stata da essi raggiunta una debita maturità psicologica e affettiva[2]. I candidati, quindi, prima di emettere il voto di castità, abbiano una conveniente conoscenza dei doveri e delle dignità del matrimonio cristiano, e sappiano comprendere la superiorità della verginità consacrata a Cristo[3].

12. Il voto temporaneo di castità perfetta porta la proibizione grave di contrarre matrimonio; il voto solenne, inoltre, impedisce che venga contratto validamente[4]

Voto di povertà

13. Con il voto di povertà, il frate si obbliga a vivere secondo il consiglio evangelico della povertà e, affidandosi alla provvidenza di Dio, rinunzia, a norma del n. 19 delle nostre costituzioni, al libero uso dei beni, anzi anche al diritto di possedere e di rimettere i propri beni temporali[5].

Con la professione solenne, il religioso “perde la capacità di acquistare e di possedere, di conseguenza pone invalidamente ogni atto contrario al voto di povertà”. Tutto ciò, poi, che gli sopravviene dopo la professione solenne, passa all’Ordine secondo le norme di questo direttorio[6].

14. I frati, in forza della propria consacrazione, sono tenuti a dare agli uomini testimonianza individuale e collettiva di povertà, tenuto conto della condizione economica della società nella quale vivono. A tale scopo:

a) i religiosi siano debitamente formati allo spirito di laboriosità e di servizio, al senso della sobrietà e della responsabilità dell’amministrazione delle cose;

b) abbiano un lavoro loro assegnato dentro o fuori della casa, al quale attendano assiduamente per sovvenire al proprio sostentamento, alle iniziative dell’Ordine e ai poveri; evitino il lucro eccessivo e l’accumulazione di beni;

c) il loro modo di vivere rispecchi semplicità, povertà, così che escluda il lusso, la sontuosità e il superfluo nelle case, nella suppellettile, nel vitto, nel vestiario, nella qualità, frequenza e mezzi di viaggio[7];

d) i beni di qualsiasi genere, sia mobili che immobili o denaro, siano collocati non a nome proprio ma al nome indicato secondo gli statuti della provincia; che se la legge civile non permettesse questo, lo si faccia a nome di due o tre religiosi;

e) l’uso dei mezzi tecnici utili all’apostolato o allo svolgimento del proprio ufficio o incarico, come radio, televisione, macchina o veicoli a motore, lo si abbia soltanto a nome della comunità e alla dipendenza dell’autorità competente;

f) perché si provveda più speditamente alle necessità dei religiosi, gli statuti della provincia diano regole per stabilire la quantità di denaro che si può concedere ai singoli per le piccole spese ordinarie;

g) le comunità abbiano cura sia di riservare qualche cosa dei propri beni, come pure di raccoglierne opportunamente degli altri, con i quali possano esercitare le opere di carità proprie dell’Ordine, e venire incontro alle necessità della Chiesa, delle missioni e delle persone.

15. Tutti i frati, Superiori e sudditi, usino del denaro e dei beni loro affidati non come padroni, ma come amministratori responsabili verso la comunità, come si addice ai poveri.

Di tutte le cose loro concesse in uso abbiano attenta cura, e nel caso di trasferimento ad altra casa, gli statuti indichino quali cose possono portare con sé.

16. Senza il consenso del Ministro, nessun religioso chieda in proprio favore denaro o qualsiasi altra cosa ai genitori, benefattori ed amici.

Voto di obbedienza

17. La volontà divina, che i religiosi si sforzano di compiere in modo più perfetto, si manifesta non solo nelle leggi della Chiesa e dell’Ordine, ma anche in precetti e disposizioni dati dall’autorità dell’Ordine, collegialmente o singolarmente, secondo la propria competenza.

18. I Superiori, tuttavia, non impongano precetti formali, di cui nel n. 19 delle costituzioni, se non moderatamente e per vera necessità.

19. I precetti formali, le facoltà e i permessi di una certa importanza siano sempre dati in iscritto, e le loro copie firmate siano conservate nell’archivio.

20. Alla perfezione dell’obbedienza molto contribuisce l’aiuto vicendevole del Ministro e dei frati.

Il Ministro:

a) serva i frati come figli di Dio e li regga con rispetto della persona umana;

b) nell’affidare gli incarichi, dia ai frati, insieme con la fiducia, anche la necessaria libertà e lo spazio sufficiente per agire[8].

I frati però:

a) non accettino e adempiano volentieri qualunque incarico, anche umile, che sia loro affidato dal Ministro;

b) eseguano i lavori intrapresi in perfetta comunione con il Ministro e gli altri frati, e riferiscano ad essi fedelmente circa le proprie iniziative;

c) non tralascino di chiedere consiglio, specialmente ai loro Superiori.

Voto di non ambire

21. I frati, per imitare più perfettamente lo spirito di servizio e di umiltà a Cristo, non ricevano incarichi ad uffici fuori dell’Ordine, senza la licenza del legittimo Superiore[9], né accettino dignità ecclesiastiche senza una speciale dispensa del Romano Pontefice.

22. In questo modo si rendano più idonei a condurre una vita di comunione fraterna, nello spirito della propria vocazione.

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NOTE

1. Cfr. can. 598,§2

2. PC 12

3. Cfr. OT 10

4. Cfr. can. 1088

5. Cfr. can. 668

6. Cfr. 668,§5; DG. nn. 341-342

7. Cfr. Reg. Trin.

8. Can. 618

9. Cfr. can. 671

Capitolo III: VITA COMUNE NELLA FRATERNITÀ

OSSERVANZE PECULIARI DELLA VITA COMUNE

22. Il frate nella sua forma di vita, oltre ai consigli evangelici, assume l’impegno di osservare altre norme, in comunione con gli altri frati dell’Ordine, riuniti in comunità.

Se ne espongono qui alcune.

Abito e suppellettile dei frati

23. L’abito viene indossato nelle azioni liturgiche, nelle riunioni di comunità e in altre circostanze stabilite dagli statuti provinciali.

Il mantello o pallio con la croce dell’Ordine e il cappuccio di colore nero si possono usare sia in casa che fuori.

Per circostanze particolare provvedano gli statuti.

24. La licenza di usare altri vestiti può essere concessa a norma del n. 35 delle costituzioni. È conveniente, però, che sopra detti vestiti sia portata sempre la croce dell’Ordine, di colore rosso e azzurro.

25. I vestiti, le calzature e la suppellettile dei frati siano conformi alla povertà e alla semplicità[1].

Orario

26. Ogni casa, considerate le occupazioni dei religiosi, abbia uno svolgimento della vita quotidiana e un orario, legittimamente stabiliti, con l’approvazione del consiglio provinciale; in modo tale, però, che la vita comune si possa ben comporre con le iniziative e le opere sia comunitarie che dei singoli, e vi sia per ogni religioso la possibilità di dedicarsi alla preghiera personale e allo studio e di godere del giusto riposo.

Residenza - Clausura -Uscite e viaggi

27. I frati abitino regolarmente nella casa ad essi assegnata, dove, in comunione con gli altri membri, conducano la loro vita, né se ne allontanino senza licenza del loro Ministro[2].

Possono essere ammesse assenze dalla casa religiosa per varie ragioni, secondo le norme della Chiesa e dell’Ordine.

28, Se poi si tratta di assenza prolungata dalla casa, il Superiore maggiore, con il consenso del suo consiglio e per giusta causa, può concedere al religioso di vivere fuori dalla casa dell’Ordine, ma per non più di un anno, a meno che ciò non sia per motivi di salute, di studio o di apostolato da svolgere a nome dell’Ordine[3].

29. Nelle nostre case sia osservata la legge della clausura, a norma del diritto universale e proprio[4].

Spetta al Superiore maggiore, udito il capitolo conventuale, accuratamente stabilire o mutare i limiti della clausura.

Il Superiore maggiore può cambiare o togliere i limiti della clausura temporaneamente e per giuste ragioni; il Ministro locale, invece, per atti singoli, in circostanze urgenti.

30. I Ministri possono concedere il permesso di ammettere talvolta donne in clausura per giusti e ragionevoli motivi, e soltanto per atti singoli; anzi, con il consenso del capitolo conventuale e con l’approvazione del Ministro provinciale, possono ammettere, anche abitualmente, donne riservate e fidate, addette ai lavori di assistenza ai malati, alla cucina e alla pulizia.

31. Si possono concedere uscite e viaggi, per il bene dei frati e delle comunità.

Si conceda ai frati un periodo di ferie, a norma degli statuti della provincia, i quali stabiliscano anche le norme per determinare frequenza e condizioni per le visite ai parenti e viaggi con relative spese, che devono essere prima approvati dai Superiori.

32. Il Ministro generale può concedere la licenza di fare viaggi per qualsiasi luogo della terra, a tutti i religiosi dell’Ordine; il Ministro provinciale, entro i confini della sua provincia e nazione e, con il consenso del suo consiglio e informatone il Ministro generale, per qualunque parte della terra; il ministro locale, secondo gli statuti provinciali.

Tutto, però, si faccia nello spirito di povertà e di fraternità, secondo le norme della giustizia e della carità.

Mensa, ricreazione e altri incontri dei frati

33. Come prescrive la Regola, i frati “abbiano lo stesso vitto…lo stesso refettorio e la stessa mensa”, osservando, tuttavia, la massima carità verso tutti i malati e i bisognosi.

Alla mensa comune, tenute presenti le circostanze e le condizioni del luogo, possono essere ammessi benefattori e genitori dei religiosi.

Le preghiere che si devono recitare prima e dopo il pasto, siano fatte secondo il Rituale dell’Ordine; la lettura spirituale nella mensa comune, invece, viene regolata dagli statuti di ciascuna provincia.

34. La vita comune richiede che i religiosi fruiscano della ricreazione in comune, si scambino idee, si trattino tra loro familiarmente e, rimandate le preoccupazioni dell’incarico o dell’ufficio, rilassino gli spiriti nella fraternità e nella comune letizia.

Quando il genere di vita della comunità, per circostanze di luoghi e di tempi o per diversità di opere, eventualmente fosse ordinata in modo diverso, spetta al capitolo conventuale determinare spazio e modo della ricreazione, perché di proposito siano offerti sussidi adatti a favorire il rapporto familiare e a ristorare le forze.

35. Perché la vita della comunità e dei singoli proceda con armonia, oltre ai vari capitoli prescritti dal diritto, si tengano opportunamente altri incontri per esaminare, in fraterno dialogo, i vari problemi riguardanti la comunità o i singoli frati, di ordine spirituale o economico, pastorale e di altro genere[5].

In simili incontri, i frati si dispongano liberamente, a meno che la natura dell’atto e la consuetudine dei luoghi e dei tempi non richiedano un certo ordine.

36. Agli atti di comunità presiedono: il Ministro generale in tutto l’Ordine; il Ministro provinciale nella sua provincia; il Ministro conventuale nella propria casa, in loro assenza, i rispettivi Vicari; i consiglieri generali in tutto l’Ordine; i consiglieri provinciali nella propria provincia; i frati, se non è disposto altrimenti negli statuti provinciali, secondo l’anzianità di professione nella propria casa.

37. L’anzianità dei religiosi ha inizio dalla professione solenne; l’anzianità, invece, dei professi solenni viene computata dalla prima professione dopo il noviziato.

38. Il frate, elevato alla dignità episcopale, resta membro dell’Ordine, ma il forza del voto di obbedienza è soggetto al solo Romano Pontefice; gli altri suoi diritti e doveri sono retti dalle norme del diritto universale[6].

Ospiti

39. I frati che vengono come ospiti nelle nostre case, siano ricevuti benevolmente nella comunità, e il loro soggiorno sia ritenuto occasione di vicendevole gioia e arricchimento. Gli ospiti, però, cerchino di partecipare agli atti della vita comune.

Ai genitori, familiari, benefattori come anche ai poveri, si presti il conforto dell’ospitalità e della carità, secondo le possibilità della casa, in conformità al detto del Vangelo: “Ero ospite e mi avete accolto” (Mt 25, 35)[7].

Frati malati e anziani

40. Il Ministro e i frati siano solleciti per i religiosi malati e anziani, e prestino loro il sollievo della fraternità[8].

Si abbia anche sollecita cura dei frati più deboli, la cui salute ha bisogno di speciale assistenza.

Nelle province, in cui la cosa sembra utile, si istituisca un’infermeria provinciale, in luogo particolarmente adatto.

Defunti

41. La comunione di fraternità tra i nostri religiosi non si interrompe con la morte ma si rafforza, e continua nella verità dell’amore e della preghiera[9].

Perciò la comunità dell’Ordine, le province e i conventi, coltivando la memoria dei frati defunti, offrono per essi suffragi di carità.

42. Le anime dei nostri frati e di tutti i fedeli defunti, per le quali siano tenuti a pregare secondo il precetto della Regola, siano ricordate nelle preghiere quotidiane della comunità, e ogni mese in tutte le case si offra per esse il sacrificio della Messa.

Per i nostri fratelli e sorelle defunti, per i congiunti e i benefattori, ogni anno il 14 novembre vengano celebrati ufficio e Messa dei defunti, come è indicato nel calendario liturgico dell’Ordine.

43. Quando un religioso muore, venga sepolto secondo il Rituale; ma il rito delle esequie esprima in forma ben chiara l’indole pasquale della morte cristiana[10].

Il Ministro della casa in cui il religioso è morto, scriva al Ministro provinciale o al proprio Superiore maggiore, informandolo del tempo e della causa della morte, della vita e delle virtù del defunto; queste notizie riferite vengano conservate nell’archivio.

Il Ministro provinciale o Superiore maggiore scriva al Ministro generale, ai Ministri delle case della sua provincia, ai Ministri provinciali e a modo di provinciale, che a loro volta informeranno i Ministri delle case della propria provincia o della propria giurisdizione, perché si facciano i dovuti suffragi.

La casa, per quanto è possibile, abbia un luogo proprio per la sepoltura dei frati, e un libro in cui siano riportati i nomi con le notizie riguardanti i frati defunti, affinché si conservi la loro memoria e le loro anime siano raccomandate alle preghiere della comunità.

44. Nel convento in cui il religioso è morto, oltre all’ufficio di sepoltura, si celebri la Messa esequiale; i sacerdoti della comunità offrano tre Messe, i membri partecipino ugualmente a tre Messe per il defunto. Nelle altre case dell’Ordine, oltre alla Messa comunitaria, ogni sacerdote celebri una Messa e i frati non sacerdoti partecipino ad una Messa.

Per ogni postulante, un donato o oblato, viventi nel convento sotto l’obbedienza dei Superiori, si celebri una Messa nella casa in cui avviene la morte.

Per la madre o il padre, il fratello o la sorella dei religiosi, si offra una Messa nella casa della quale i rispettivi religiosi sono conventuali.

Per i benefattori defunti, i suffragi siano stabiliti negli statuti particolari.

45. I religiosi che sono sotto l’immediata autorità del Ministro generale, circa i suffragi attivi e passivi, sono retti dal diritto della provincia del vicariato di origine.

Ma se essi non avessero mai avuto provincia o vicariato, il Ministro generale provveda per il caso.

46. Se fosse scomparso il Ministro generale, oltre a quanto detto sopra, i singoli sacerdoti di tutto l’Ordine celebrino una Messa, e i non sacerdoti partecipino ugualmente ad una Messa. Lo stesso si faccia per il Ministro provinciale o a modo di provinciale nella giurisdizione propria di ciascuno, e per il Ministro locale nella propria casa.

Per il Sommo Pontefice si celebri una Messa in tutte le case dell’Ordine, e per il Vescovo nelle case della diocesi.

47. Gli statuti particolari, oltre ai suffragi qui prescritti, possono stabilirne degli altri.

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NOTE

1. Cfr. ET 22; Reg. Trin.

2. Cfr. can.665,§ 1.

3. Cfr. can. 665§ 1.

4. Cfr. can. 667,§1; Cost. Ord.n.35

5. Reg. Trin.

6. Canoni 705-707; AAS 1986, 1323-1324

7. Cfr. Reg.Trin.

8. Cfr. Reg. Trin.

9. Cfr. LG 49,50

10. Cfr. SC 81

Capitolo IV: VITA SPIRITUALE

OSSERVANZE DELLA VITA SPIRITUALE

Liturgia

48. La liturgia è un’azione sacra che viene compiuta nel nome di Cristo e della Chiesa. Perciò può essere svolta a piacere proprio del celebrante, ma deve essere adempiuta secondo le norme prescritte dalla Chiesa[1].

49. Perché i frati possano penetrare più profondamente il senso della liturgia, si sforzino per rinnovarsi continuamente nello spirito e nella virtù della liturgia, secondo le norme della Chiesa. Perciò, almeno alcuni frati delle varie comunità partecipino volentieri ai convegni liturgici della diocesi o della nazione, e a quelli promossi dall’Ordine.

50. Tutti poi abbiano a cuore di conoscere convenientemente le istruzioni della Chiesa, le norme e i riti concernenti la liturgia, di ritenerli religiosamente e di metterli in pratica nel modo dovuto e con decoro.

51. Il sacrificio eucaristico e la Liturgia delle Ore sono le azioni liturgiche principali nella comunità.

Eucaristia

52. Per rendere più evidente l’aspetto comunitario del convito eucaristico e perché meglio appaia l’unità del sacerdozio, si raccomanda ai sacerdoti, se l’utilità dei fedeli non richiede o suggerisce diversamente, concelebrino l’Eucaristia.

Tuttavia restando integra per i singoli la libertà di celebrare l’Eucaristia in modo individuale, ma non in quel tempo in cui nella medesima chiesa o oratorio si ha una concelebrazione.”[2].

La celebrazione sia fomentata specialmente nelle festività: della Santissima Trinità, del Corpo e Sangue di Cristo, della Beata Vergine del Rimedio, del Santissimo Redentore, dei Santi Fondatori, del Santo Riformatore, di tutti i Santi dell’Ordine, in occasione della Prima Messa, della professione, specialmente solenne, dell’onomastico del P. Ministro o di altri frati della comunità e nella Messa esequiale di un confratello defunto.

53. I frati che sono tenuti a celebrare per il bene pastorale dei fedeli, possono celebrare lo stesso giorno nelle festività indicate al numero precedente, e nella Messa di comunità, nei capitoli, congregazioni, convegni o in particolari raduni dei religiosi. Ma quando concelebrano così, possono percepire un solo stipendio[3].

54. I frati, come è consuetudine nell’Ordine, venerino assiduamente l’Eucaristia, sia in privato nelle varie circostanze della giornata, sia nelle azioni sacre che vengono opportunamente celebrate in onore di Cristo eucaristico, specialmente nella esposizione, adorazione, processione religiosa e benedizione eucaristica.

55. Affinché sempre più intima sia l’unione e più fervente la carità tra i Superiori e i religiosi ad essi affidati, il Ministro generale, il Ministro provinciale o a modo di provinciale e il Ministro conventuale celebrino per loro il santo sacrificio della Messa nelle festività: della Santissima Trinità, della Beata Vergine del Rimedio, dei nostri Santi Padri Giovanni e Felice e del Santo Riformatore. I religiosi sacerdoti facciano nel santo sacrificio un momento speciale per i loro Ministri, i non sacerdoti ricevano la santa comunione per i medesimi.

56. I frati sacerdoti applichino la Messa secondo l’intenzione ad essi assegnata dal Ministro.

Alcune volte all’anno, tuttavia, secondo gli statuti della provincia, si dia ai sacerdoti la possibilità di celebrare la Messa secondo la propria intenzione.

Per i frati professi solenni non sacerdoti, il Ministro provveda perché vengano celebrate alcune Messe secondo la loro intenzione.

Liturgia delle Ore

57. Per più rafforzare e più convenientemente esprimere la carità fraterna, i frati volentieri celebrino in comunione la Liturgia delle Ore a norma delle costituzioni, e nessuno si consideri esente da tale celebrazione comune, se non per il tempo in cui qualcuno è occupato nell’adempimento di un incarico a lui assegnato, con l’approvazione dell’autorità competente.

58. Nelle ore canoniche, tutto ciò che deve essere cantato o recitato, sia sempre e dovunque compiuto secondo le leggi e le rubriche della Chiesa, con grande pietà, attenzione e devozione.

59. Nelle principali festività della Chiesa e dell’Ordine, si abbia cura perché lo ore canoniche più importanti, specialmente i Vespri, vengano celebrate con particolare solennità, con la partecipazione, per quanto è possibile, anche dei fedeli.

60. Il consiglio generale, in circostanze particolari e per gravi ragioni, può, su proposta del Ministro provinciale con il consenso del suo consiglio, ridurre per qualche comunità la recita della Liturgia delle Ore alle ore principali, ossia alle Lodi e ai Vespri, che costituiscono i due cardini dell’ufficio quotidiano.

La Compieta è la preghiera comune dei frati al termine della giornata.

I Ministri, in qualche caso speciale e per giusta causa, possono dispensare, a modo di atto singolo, tutta la comunità dall’obbligo di recitare l’ufficio in comune.

61. I nostri religiosi recitino da soli, a norma del n. 44 delle costituzioni, quelle parti della Liturgia delle Ore che non hanno soddisfatte nella celebrazione comune.

62. In casi particolari e per giusta causa, i Superiori maggiori possono dispensare, in tutto o in parte, i propri sudditi dall’obbligo di recitare l’ufficio, oppure possono commutarlo[4].

Lettura spirituale, meditazione e altre preghiere

63. Nell’ordinare le celebrazioni della Parola di Dio, la lettura di libri spirituali, la meditazione ed altri esercizi, specialmente quelli da frasi in comune, si tenga conto dei tempi liturgici “in modo che siano in armonia con la sacra liturgia, derivino in qualche modo da essa e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano[5].

64. La contemplazione di Dio, la meditazione del suo disegno di salvezza, l’attenta considerazione dei segni dei tempi, siano il primo e il più importante dovere dei frati. Così la preghiera, aperta alle creature e alla storia umana, diviene ringraziamento, adorazione e lode perenne alla presenza divina nel mondo, e favorisce ed esprime la solidarietà dei frati con gli uomini, specialmente poveri e in vari modi oppressi[6].

65. Il frate assente all’atto comunitario della meditazione o di qualche pio esercizio, cerchi di supplirlo in privato.

66. Le chiese del nostro Ordine siano dedicate, secondo la prescrizione della Regola, alla Santissima Trinità o, per ragionevole motivo, al Santissimo Redentore, alla Beata Maria Vergine del Rimedio e ad altri Santi del nostro Ordine.

Questa dedicazione e le altre feste peculiari dell’Ordine, premessa, secondo la consuetudine dei luoghi, una congrua preparazione, siano celebrate solennemente, soprattutto con il culto ed altri esercizi di pietà, raccomandati dal venerando uso della Chiesa e dell’Ordine.

67. Secondo la tradizione dell’Ordine, in determinate ore della giornata e in alcune circostanze speciali, si recitino delle preghiere in comune, conforme al Rituale dell’Ordine.

Si ricordino principalmente le preghiere del mattino e della sera, quelle prima e dopo la mensa, il trisagio breve dopo l’ufficio divino, la Salve Regina nei giorni di sabato e nelle feste della Beata Maria Vergine, che nell’Ordine vengono celebrate solennemente.

Silenzio, ritiri, esercizi spirituali

68. Il capitolo conventuale stabilisca il tempo e il luogo della ricreazione comunitaria, dell’uso della radio, della televisione e di simili strumenti. Similmente designi il luogo per ricevere i visitatori e determini per questo i momenti più adatti.

Fuori di queste circostanze, nelle nostre case sia custodito il silenzio, perché i frati possano attendere alla lode divina, allo studio, alla preghiera, al lavoro o al riposo. È tuttavia permesso parlare di cose necessarie, ma “a voce bassa, con umiltà ed onestà[7].

69, In occasione del ritiro spirituale, che deve essere tenuto una volta al mese e per alcuni giorni durante l’anno, ciascuno esamini profondamente la propria vita, conformandosi con i principi della fede e con la dottrina della consacrazione religiosa come è permessa nella nostra legislazione, secondo il peculiare carisma dell’Ordine.

È bene, poi, che per i frati che si trovano in condizioni particolari, come gli studenti, i neosacerdoti, i parroci, i missionari ed altri, almeno di quando in quando, si propongano esercizi speciali ad essi maggiormente adatti.

70. Al noviziato e alla professione temporanea e solenne si permettano esercizi spirituali per cinque giorni interi; agli Ordine, invece, per i giorni stabiliti dal diritto[8].

Ai religiosi, prima che incomincino ad esercitare gli uffici e gli incarichi loro affidati, si dia la possibilità di dedicarsi più intensamente a Dio per alcuni giorni.

71. Consideratane l’utilità spirituale, è conveniente che i Superiori concedano al religioso, che ragionevolmente lo chieda, un congruo periodo di tempo, durante il quale, libero in tutto o in parte dai suoi impegni, abbia l’opportunità di riesaminare il senso genuino e più profondo della propria consacrazione e di rinnovare la propria consacrazione religiosa.

72. Per fare questi ritiri, esercizi o tempi di raccoglimento, vengano designati luoghi maggiormente adatti; anzi, se è possibile, si abbia nelle singole province una casa situata in un posto solitario, dove i religiosi possano pensare a Dio in maniera più particolare.

Esame di coscienza

73. La vita religiosa esige che i frati sottopongano ad un continuo esame la propria vita e attività alla luce del Vangelo e dello spirito dell’Ordine perché, emendati difetti ed errori quotidiani, proseguano alacremente nella via della perfezione[9].

Pertanto, se qualcuno fosse stato assente dall’atto comunitario dell’esame di coscienza, cechi di fare l’esame in privato.

Sacramento di penitenza

74. Il sacramento della Penitenza che, debitamente ricevuto, conferisce il perdono dell’offesa arrecata a Dio e in pari tempo riconcilia con la Chiesa, deve spingere i nostri cuori ad amare più ardentemente Dio, Padre di misericordia. Perciò i frati stimino grandemente il giusto e frequente uso di questo sacramento, ricevendolo secondo le prescrizioni della Chiesa, cioè ordinatamente, almeno ogni quindici giorni[10].

I Superiori curino che, specialmente nelle case di formazione e nelle grandi comunità, vi siano alcuni sacerdoti disponibili per ascoltare le confessioni dei religiosi[11].

75. Sia lasciata a tutti la dovuta libertà per ciò che riguarda il sacramento della Penitenza e la direzione della coscienza, salva tuttavia la disciplina della casa[12].

Ogni religioso può validamente e lecitamente confessarsi da qualsiasi confessore approvato dall’Ordinario del luogo.

Tutti i sacerdoti dell’Ordine, a meno che non abbiano l’espressa proibizione, hanno la facoltà di ascoltare le confessioni di tutti i membri dell’Ordine.

Virtù della penitenza

76. I frati, seguendo le orme del divino Redentore, devono rinnegare se stessi, prendere la propria croce e partecipare ai suoi patimenti[13].

Per adempiere più perfettamente questo dovere penitenziale, come si addice a religiosi, oltre le forme principali indicate dalla Chiesa, come preghiera, astinenza dalle carni, digiuno e opere di carità[14], cerchino di praticare altre forme in uso nell’Ordine o delle nuove che possono essere introdotte. Tali sono, per esempio, più stretto raccoglimento, maggiore tempo dedicato alla lettura divina e alla meditazione, riduzione della ricreazione, volontario castigo del corpo.

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NOTE

1. Cfr. SC 22

2. Can. 902  ;  Cfr. SC 57

3. Cfr. AAS 1972, p.561; cfr. can. 951,§2.

4. Cfr. SC 97

5. Cfr . SC 13

6. Cfr. can 663; DCVR 5.

7. Reg. Trin.

8. Cfr. can 1039

9. Cfr. can. 664.

10. Cfr. LG 11; PC 18; SCRIS: Act. Ord. vol. VIII, 1971, p.2

11. Cfr. can. 630.

12. Cfr. PC 14; can. 630

13. Cfr. Paenit. I, verso la fine.

14. Paenit. III

Capitolo V: APOSTOLATO DELL’ORDINE

APOSTOLATO NELL’ORDINE

Alcuni principi

77. Tutta la vita religiosa e apostolica; fondata, infatti, sulla carità, partecipa intimamente alla missione della Chiesa nel dilatare il Regno di Cristo, a gloria del Padre, su tutta la terra, e nell’instaurarlo fra tutti i popoli, perché gli uomini siano salvi[1].

78. “L’apostolato di tutti i religiosi consiste, in primo luogo, nella testimonianza della loro vita consacrata, che essi sono tenuti ad alimentare con l’azione e la penitenza[2].

79. Nel nostro Ordine, che è dedito alle opere di apostolato, “l’azione apostolica appartiene alla sua stessa natura. Perciò, l’intera vita dei membri sia permeata di spirito apostolico, e d’altra parte tutta l’azione apostolica sia animata dallo spirito religioso”. Pertanto, “l’azione apostolica deve sempre sgorgare dall’intima unione con Dio, e al tempo stesso consolidarla e favorirla[3].

80. Nello scegliere ed esercitare le opere di apostolato, secondo i tempi e i luoghi, si abbia presente quanto segue:

a) prima di intraprendere opere ed iniziative di apostolato, deve constatare che si tratti di opere consentanee all’indole e allo spirito dell’Ordine, e che l’esercizio della carità sia sempre il motivo principale nell’iniziare un apostolato sociale e ministeriale;

b) salve le condizioni indicate chiaramente nella licenza per fondare una casa, le singole comunità hanno la facoltà di esercitare nelle proprie case opere specifiche dell’Ordine. Per aprire un ospizio, una scuola o edificio separato di analoga finalità, si richiede una licenza speciale dell’Ordinario del luogo[4];

c) per le opere che vengono affidate all’Ordine, si stipuli una conversione scritta tra il consiglio provinciale e l’autorità religiosa o civile, nella quale, fra l’altro, sia definito espressamente e con esattezza, ogni particolare relativo all’opera da svolgere, alle persone che vi si devono impegnare e all’aspetto economico[5].

81. Per le opere, in qualunque modo accettate, si devono scegliere i religiosi veramente idonei, osservando quanto per diritto c’è da osservare, e a norma della convenzione pattuita.

Si deve quindi promuovere per le opere specifiche una solida formazione sia scientifica che pratica, in modo che, i membri scelti diventino veramente esperti nei vari campi dell’apostolato.

82. Gli statuti di ogni provincia definiscano l’autorità a cui compete l’onere di assumere le opere, e diano norme opportune circa gli obblighi e gli oneri da contrarre, e circa la preparazione specifica delle persone, i mezzi da usare, il metodo e la maniera di operare.

83. Nell’esercizio dell’apostolato esterno, i religiosi sono soggetti non solo alla potestà dei Vescovi, ma anche “ai propri Superiori, e devono mantenersi fedeli alla disciplina dell’istituto; i Vescovi stessi non tralascino di urgere, quando occorre un tale obbligo[6].

84. L’azione apostolica dei religiosi si svolga, nella misura del possibile, nell’interesse ed aiuto vicendevole e su un piano di reciproca intesa, e vi sia fra tutte le case una stretta ed efficace concordia o cooperazione.

Sarà inoltre molto opportuno fomentare reciproche relazioni con gli Ordinari dei luoghi nei quali viene esercitato l’apostolato, e con altre associazioni dedite alle stesse o simili opere[7].

È sommamente desiderabile che vengano istituiti specialmente dei, così detti, centri di formazione e informazione, sia internazionali che interprovinciali e provinciali, nei quali i religiosi ricevano una formazione specifica, e si procurino appropriati mezzi di comunicazione sociale, che possono tenere attenta l’opinione pubblica e suscitare comunione di intenti da parte dei laici, particolarmente di quelli iscritti alle associazioni trinitarie, per le iniziative e le opere dell’Ordine.

Segretariati

85. Affinché la sollecitudine apostolica proceda meglio e con più efficacia, i vari Segretariati e Segretari promuoveranno, stimoleranno e coordineranno le varie iniziative e opere apostoliche, nell'ambito di ciascuno.

Il Procuratore generale della Redenzione compirà la sua missione tramite un organismo dipendente dalla Curia Generale con propri statuti a norma del n. 114 delle Costituzioni [e che prende il nome di Solidarietà Internazionale Trinitaria] e a Lui compete il coordinamento della carità redentrice con le persone che soffrono persecuzione per Cristo e la cui fede è in pericolo o è impedita (cf. CC5).

Opere di redenzione e di misericordia

86. Varie sono le opere alle quali il nostro Ordine si dedica, dato che nella società odierna in molti e diversi modi gli uomini sono vessati con danno della fede e della libertà.

87. L’Ordine, animato dal carisma redentivo, si consacra a portare aiuto secondo le sue possibilità:

-a coloro che per la fede in Cristo, con una certa premeditata coercizione, sono oppressi e sottoposti ad ingiusta persecuzione[8];

-a coloro che per la propria azione sociale fedele ai principi evangelici, sono privati dei diritti civili, messi in carcere, condannati ai lavori forzati o cacciati in esilio.

Per prestare efficacemente tale aiuto, è necessario che consiglio generale, province, vicariati e singole comunità operino insieme con azione coordinata.

88. I frati, mossi dalla stessa carità redentiva e misericordiosa, conformandosi allo spirito dell’Ordine e come testimoni di speranza:

-soccorrono i poveri, i derelitti e i malati, che sono privi dei mezzi essenziali alla dignità umana e sono reietti dalla società;

-si dedicano alla liberazione di coloro che vengono spogliati dei diritti di libertà e di giustizia e che, afflitti da vari generi di schiavitù e oppressi dall’ingiustizia e dalla tirannide, hanno bisogno della liberazione del corpo e dell’anima;

-aiutano nella fede quelli che in vari modi sono in pericolo di perderla, per particolari circostanze del luogo e della società.

La scelta delle opere, considerata la gravità e la diffusione dei mali, sia fatta nelle province e nelle comunità, secondo le norme emanate dal capitolo, dalla congregazione o dal consiglio provinciale.

Apostolato missionario

89. L’opera della propagazione della fede e della impiantazione della Chiesa, che è il mandato primario ed essenziale di tutta la Chiesa, corrisponde pienamente allo spirito e alla tradizione dell’Ordine. Perciò i nostri religiosi, assecondando i desideri della Chiesa e spinti dall’ardore della carità, promuovono alacramente l’attività missionaria, affinché tutti gli uomini siano partecipi dei beni spirituali della vita presente e di quella futura[9].

Essi così, fedeli al carisma proprio dell’Ordine, nel servizio di fede e di carità, intendono liberare tanti uomini oppressi da schiavitù di vario genere, perché godano della pienezza della redenzione.

Per tale motivo i frati, sin dall’inizio della formazione, siano nutriti di spirito missionario e formati alla coscienza missionaria, e quanti più possibile di essi siano stimolati e aiutati perché assecondino la vocazione missionaria.

I Superiori, poi, abbiano cura perché quelli che sono destinati alle missioni possano acquisire un’adeguata coscienza della cultura dei popoli, presso i quali dovranno recarsi.

90.Le singole province, secondo gli statuti propri e delle missioni, prendano parte alla dilatazione del Regno di Cristo tra le genti e, per quanto è possibile, abbiano una propria missione.

Quelle che non hanno una propria missione, cerchino, secondo le possibilità, di inviare missionari alle missioni affidate ad altra provincia o allo stesso Ordine.

Compete al Ministro generale con il suo consiglio chiedere una missione alla Sede Apostolica, accettarla o rinunziarla, come anche affidarla a una provincia o viceprovincia che chieda o acconsenta ad averla.

91. L’attività missionaria non si limita alla sola predicazione del Vangelo, ma deve essere proseguita fino alla istituzione della comunità cristiana con gerarchia propria, numero sufficiente di clero e presenza di varie forme di vita religiosa, così che essa “possa provvedere da sola, per quanto è possibile, alle proprie necessità[10].

92. L’Ordine, le province e i frati attendano all’azione missionaria in modo che nei luoghi stessi delle missioni sia istituito il nostro Ordine, insieme con le contemplative e altri membri della famiglia trinitaria[11].

Le missioni che hanno religiosi autoctoni, sufficienti per numero e per doti, siano erette gradualmente, osservando le disposizioni del diritto, in vicariato, viceprovincia e provincia con statuti particolari vigenti in territorio di missione[12], e che prevedano, sia quanto alle cose spirituali che a quelle temporali, l’aiuto da parte dell’Ordine, in quanto necessario.

93. Siano sempre a portata di mano gli statuti missionari generali dell’Ordine, adatti alle recenti disposizioni della Chiesa.

In essi sia riferito quanto concerne:

- la stessa missione: accettazione, convenzione con diritti e doveri, e cose simili;

- le relazioni con la gerarchia ecclesiastica e con l’autorità dell’Ordine;

- la vita spirituale, apostolica, religiosa, missionaria;

- i viaggi in patria per  vacanze, malattia e formazione missionaria;

- l’evangelizzazione, le opere varie, e altre cose del genere.

            

94. Gli statuti missionari particolari, riguardanti le diverse giurisdizioni, siano congruenti alle norme degli statuti missionari generali.

Apostolato ministeriale

95. I frati esercitano l’apostolato principalmente nelle chiese dei loro conventi, sia con le celebrazioni della liturgia specialmente dell’Eucaristia, della Parola di Dio e della Penitenza, sia con le spiegazioni della catechesi, pii esercizi accettati dalla tradizione della Chiesa e dell’Ordine, ed altre iniziative apostoliche, concernenti particolarmente le associazioni trinitarie.

96. Inoltre “i religiosi… devono sentirsi realmente partecipi della famiglia diocesana[13]; assumono, perciò, altre opere di apostolato ministeriale, come cappellanie di carceri, di ospedali e altri centri, ed altri ministeri locali e diocesani.

Ma soprattutto assumono il governo di parrocchie affidate all’Ordine in perpetuo o per un certo tempo determinato, specialmente quelle costituite nelle Chiese dei loro conventi, per quanto è possibile, però, nelle regioni e nei luoghi economicamente meno progrediti e afflitti da povertà, e dove la teoria e la pratica della vita cristiana sono più difficili.

Tali parrocchie, però, siano centri dei zelo apostolico e di carità redentiva propria dell’Ordine, e risplenda sempre di più in esse la presenza trinitaria, che manifesti la testimonianza delle nostre associazioni secolari.

97. Per promuovere l’opera di evangelizzazione ed eliminare quell’ignoranza di Dio e della Chiesa che, quasi moderna schiavitù dello spirito, mette sempre più in pericolo la fede, i frati danno impulso, secondo l’indole dell’Ordine, all’educazione cristiana.

98. Il Vescovo diocesano nomina un religioso ad un ufficio ecclesiastico su presentazione o almeno il consenso del Superiore competente. Ma “il religioso può essere rimosso dall’ufficio conferito, sia a discrezione dell’autorità che glielo ha affidato, informatone il Superiore religioso, sia da parte del Superiore stesso, informatene l’autorità committente; nell’uno e nell’altro caso non si richiede il consenso dell’altra autorità[14]

99. Gli statuti provinciali definiscano il modo di procedere nell’accettazione delle parrocchie e di altre opere, nonché i requisiti per la presentazione dei candidati e tutto quanto li concerne.

Ecumenismo

100. I nostri religiosi partecipino con fervore anche all’azione ecumenica con la preghiera, la parola e altre iniziative, memori che Gesù ha pregato il Padre dei credenti, affinché formino un popolo solo, partecipando dell’unità della Trinità, che è il modello supremo e il principio dell’unità del popolo di Dio[15].

La Trinità nell’attività apostolica

101. Il mistero do Dio uno e trino è il principio, il fondamento e il fine dell’economia dell’umana salvezza[16].

Ogni apostolato, quindi, in modo peculiare quello del nostro Ordine, sia profondamente basato sul mistero della Santa Trinità.

Perché ciò si possa meglio realizzare, si istituiscano dei centri nell’Ordine e si promuovano corsi speciali di ricerca e di divulgazione di quanto, secondo i progressi più recenti, riguarda la dottrina di questo mistero fondamentale della nostra fede.

È peraltro necessario considerare e vivere il mistero della Trinità non separatamente, ma nella sua relazione con gli altri elementi della vita consacrata e dell’apostolato dell’Ordine.

****

NOTE

1.

  1. Cfr. LG 44; AA 2.
    2. Can. 673
    3. Can. 675,§1 e 2
    4. Cfr. Can. 611.
    5. Cfr. Can. 681,§ 1 e 2
    6. Can. 678,§1 e 2
    7. Cfr. PC 23; can. 678,§3
    8. Cfr. EN 39
    9. Cfr. PC 20;AG 7; can 783.
    10. Cfr. AG 15,18
    11. Cfr. AG 18,40
    12. Cfr. can. 790
    13. MR 18,b
    14. Cfr. Can 682,§ 1 e 2
    15. Cfr. UR 2.4.5.
    16. Cfr. LG 2; DV 2.

Capitolo VI: FORMAZIONE DEI FRATI

FORMAZIONE DEI FRATI

Vocazioni

102. Poiché la vitalità e il progresso dell’Ordine dipendono soprattutto dalle vocazioni, i frati abbiano a cuore di cercare e coltivare le vocazioni.

Essi, perciò, unendo la propria opera a quella dello Spirito Santo, aiutino gli adolescenti in modo che possa crescere in essi il germe della vocazione e, con adatte e apposite iniziative, promuovano con zelo anche le vocazioni di adulti, che richiedono una sollecitudine particolare.

103. Per conseguire questo più facilmente:

a) siano di esempio luminoso nella vita religiosa e sacerdotale, specialmente agli adolescenti;

b) quando parlano al popolo, espongano molto spesso la dignità, la bellezza, la necessità e le benevolenze della vita religiosa e sacerdotale;

c) offrano preghiere e sacrifici e li chiedano alle anime consacrate a Dio, ai malati, ai fanciulli e ad altre pie persone.

104. All’Ordine “è lecito, allo scopo di suscitare vocazioni, curare la propria propaganda e cercare candidati, purché ciò si faccia con la dovuta prudenza e nell’osservanza delle norme stabilite dalla Santa Sede e dall’Ordinario del luogo[1].

105. Perché tutto proceda per il meglio, si istituisca in ogni provincia l’Opera delle vocazioni, sotto la direzione del Ministro provinciale e del suo consiglio.

Tocca ad essa, con la collaborazione dei frati delle diverse comunità, stimolare genitori, educatori, famiglie e membri di altre associazioni a cooperare, e poi disporre e coordinare tutto ciò che concerne la promozione delle vocazioni.

In questo lavoro bisogna però procedere d’accordo con il Vescovo diocesano, al quale spetta dirigere, per il bene della Chiesa, l’opera pastorale delle diverse vocazioni[2].

Formazione

106, Il direttorio generale detta le norme, specialmente giuridiche, relative alla formazione.

Il piano generale della formazione, redatto a norma dei documenti della Chiesa e approvato dalla congregazione generale, espone accuratamente i principi della formazione e li ordina armonicamente sotto ogni punto di vista della formazione stessa, e dà norme circa gli educatori, gli alunni, il metodo e cose del genere.

Osservati gli ordinamenti del piano generale della formazione, ossia di quello valido per tutto l’Ordine e anzitutto le cose giudicate necessarie per l’unità e la stabilità della medesima, può essere redatto un piano particolare per le varie regioni e province.

107. Spetta al piano della formazione definire opportunamente in che modo i vari elementi di istruzione, riguardanti principalmente la formazione spirituale, biblica, liturgica, ecclesiale, trinitaria, pastorale e missionaria, tenute presenti le circostanze dello spazio di ciascuna formazione nonché le necessità dei tempi e dei luoghi, debbano essere ordinati, così che la formazione, da acquisire gradatamente, sia compiuta in maniera armonica e completa.

La dottrina scientifica da proporre corrisponde alle norme della Santa Sede e agli ordinamenti di ciascuna regione o nazione.

È data facoltà ai religiosi chierici e non chierici, secondo i casi, di frequentare scuole sia di ordine teologico che filosofico, scientifico, tecnico o magistrale, con il consenso del Ministro provinciale o del suo consiglio.

A tutti i frati, però, sia impartita un’istruzione più accurata circa il mistero della Santissima Trinità e il suo eterno disegno per la salvezza umana.

108. Perché sia meglio coordinata la formazione dei religiosi e sia confortata dall’aiuto dell’autorità, dai rispettivi consigli venga costituito per tutto l’Ordine e per ogni provincia il segretariato della formazione o sia nominato un segretario, che siano loro immediatamente soggetti, secondo gli statuti particolari.

Questo segretariato o segretario provveda a tutto ciò che riguarda la formazione dei religiosi.

109. Perché la formazione sia iniziale che permanente dei nostri religiosi diventi più completa, gli altri segretariati dell’Ordine, cioè quelli della Trinità e dell’apostolato, come anche l’istituto storico e la commissione di spiritualità trinitaria, prestino valido aiuto al segretariato della formazione.

Scuole apostoliche

110. Per conoscere bene le vocazioni e coltivarle più adeguatamente, i Ministri provinciali con i loro consigli, con il consenso del capitolo provinciale, conservino e incrementino le scuole apostoliche o altre istituzioni simili se esistono, anzi provvedano ad erigerle dove se ne veda l’utilità[3].

Le scuole apostoliche sono rette da un proprio statuto, approvato dal consiglio provinciale.

In esse gli alunni frequentino quegli studi che, secondo il piano di formazione della provincia o della regione, sono necessari per iniziare il noviziato, e ogni cosa sia debitamente ordinata, affinché gli alunni, in vista della vita religiosa, a contatto con la società e con la famiglia “vivano e realizzino ogni giorno più pienamente la loro consacrazione battesimale” convenientemente alla loro età, e possano compiere nella sua propria natura il dono della vocazione e liberamente abbracciarlo[4].

Postulato o preparazione al noviziato

111. Nell’Ordine “può essere ammesso ogni cattolico che abbia retta intenzione, che possegga le qualità richieste dal diritto universale e da quello proprio, e non sia vincolato da impedimento alcuno.

 Nessuno può essere ammesso senza adeguata preparazione[5].

112. Il postulato è la preparazione al noviziato.

Il candidato, prima di essere ammesso al postulato, deve essere sottoposto ad esame con l’aiuto di documenti e di colloqui personali perché, tenuto conto dell’età, si cerchi di verificare se egli è mosso da sincero desiderio di vita religiosa e se vi sono indizi contrari alla sua accettazione. Nessuno, infatti, può essere ammesso al postulato se non offre sufficienti segni di idoneità, con i quali dimostri che sarà in grado di vivere degnamente la vita religiosa.

113. “I Superiori ammettano la più attenta cura soltanto coloro che, oltre all’età richiesta, abbiano salute, indole adatta e sufficienti doti di maturità per abbracciare la vita propria dell’Ordine; la salute, l’indole e maturità siano verificate anche, all’occorrenza, da esperti, salvo il diritto inviolabile della persona a difendere la propria intimità”[6].

114. Prima che i postulanti siano ammessi, si abbiano presenti le altre cose richieste dal diritto universale e particolare per la validità e la liceità dell’ammissione nell’Ordine.

115. Al postulato ammette il Superiore maggiore o un suo delegato; la forma dell’ammissione è indicata nel Rituale dell’Ordine.

116. Durante il postulato, il candidato intende prepararsi all’adempimento dei doveri religiosi, acquisisce, nel caso che gli manchi, la conveniente cultura religiosa, viene iniziato congruentemente allo spirito dell’Ordine e alla vita di comunità, e si dispone a dare a Dio che lo chiama, una risposta libera e cosciente, così che i Superiori abbiano la possibilità di giudicare della sua attitudine e vocazione trinitaria.

Durante questo tempo, può frequentare le scuole apostoliche o corsi di studi superiori.

117. Il postulato nelle province sia ordinato come segue:

a) non sia troppo breve e, di consueto, non oltrepassi il biennio, a norma degli statuti provinciali;

b) sia fatto ordinariamente fuori della casa di noviziato e in parte, se alle province sembrerà opportuno, anche fuori della casa religiosa, sempre, tuttavia, sotto la direzione di un religioso esperto, il quale cooperi assiduamente con il maestro dei novizi, perché venga assicurata la continuità della formazione.

118. La dimissione del postulante spetta al Superiore maggiore; nei casi più urgenti, si proceda a norma del proprio statuto.

Noviziato

119. Il candidato non sia ammesso al noviziato prima che, fatta un’accurata investigazione, non consti che egli sia immune da impedimenti canonici[7].

120. Inoltre “i Superiori non ammettano al noviziato chierici secolari senza consultare il loro Ordinario, né persone gravate di debiti e incapaci di estinguerli[8].

121. “I candidati, prima di essere ammessi al noviziato, devono produrre attestato di battesimo, di confermazione di stato libero.

Se si tratta di ammettere chierici o persone che furono ammesse in altro istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica o in seminario, si richiede inoltre l’attestato rilasciato rispettivamente dall’Ordinario del luogo o dal Superiore maggiore dell’istituto o della società, oppure dal rettore del seminario.

I Superiori, se loro pare necessario, possono chiedere altre informazioni, anche sotto segreto[9].

122. Il candidato chieda per iscritto al Ministro provinciale l’ammissione al noviziato, dichiarando:

a) di entrare nell’Ordine di sua libera volontà;

b) di voler essere iniziato alla vita religiosa, e perciò, secondo le disposizioni dei Superiori, di prestare gratuitamente la sua opera, così da non poter esigere dall’Ordine nessuna retribuzione pecuniaria o di altro genere, qualora egli lasciasse l’Ordine o ne fosse dimesso dai Superiori;

c) di non essere affetto da nessuna malattia grave o cronica, e di sapere che, se egli tenesse ciò nascosto dolosamente, la sua accettazione e la sua professione sarebbero ritenute invalide[10].

Queste dichiarazioni, firmate dal Ministro della casa e da due testimoni oltre che dallo stesso candidato, devono essere conservate nell’archivio della provincia. Se si tratta di candidato minorenne, tali dichiarazioni devono essere firmate dai genitori e dai tutori.

123. I candidati, prima di iniziare il noviziato, facciano gli esercizi spirituali, secondo le norme di questo direttorio e degli statuti provinciali.

124. L’ammissione al noviziato si faccia secondo il Rituale dell’Ordine. Il documento di ammissione sia riportato su un libro a ciò destinato, e lo firmino chi ha ammesso al noviziato, lo stesso novizio, il maestro dei novizi e un altro religioso. Il documento così redatto sia custodito nell’archivio conventuale, e una sua copia sia mandata all’archivio della provincia.

125. I novizi godono di tutti i privilegi e grazie spirituali concesse all’Ordine, e qualora fossero prevenuti dalla morte, hanno diritto agli stessi suffragi che sono prescritti per i professi.

126. L’erezione della casa di noviziato, il trasferimento e la sua soppressione siano fatte mediante decreto scritto del Ministro generale, con il consenso del suo consiglio[11].

127. Oltre alla casa di noviziato legittimamente designata, se la necessità lo richiede, il Ministro generale con il suo consiglio, udito il consiglio provinciale interessato, può permettere anche l’istituzione di più noviziati nella medesima provincia.

128. Il noviziato, per essere valido, deve essere compiuto nella casa a ciò designata. In casi particolari e per eccezione, su concessione del Ministro generale con il consenso del suo consiglio, un candidato può fare il noviziato in altra casa dell’Ordine, sotto la guida di un sacerdote approvato, che faccia le veci del maestro dei novizi[12].

129. Il Superiore maggiore può permettere che il gruppo dei novizi, per determinati periodi di tempo, dimori il altra casa dell’Ordine da lui stesso designata[13].

130. Poiché la vita comune ha grandissima importanza per la formazione dei novizi, occorre che il noviziato sia posto in una casa, dove i novizi possano ricevere il vantaggio e l’utilità di una più larga ed intensa vita comune.

131. Lo scopo del noviziato esige che i novizi siano formati sotto la direzione del maestro, secondo il piano di formazione legittimamente stabilito nell’Ordine.

La direzione dei novizi, sotto l’autorità dei Superiori maggiori, è riservata unicamente al maestro[14].

132. Per l’incarico del maestro dei novizi, oltre a quanto detto nel n. 88 delle costituzioni, si richiede che il designato sia almeno da cinque anni professo solenne nell’Ordine.

Al maestro si possono assegnare, se ci sarà bisogno, degli aiutanti i quali devono a lui sottostare per quanto riguarda la direzione del noviziato e il piano di formazione.

Alla formazione dei novizi devono essere preposti religiosi accuratamente preparati i quali, senza essere distolti da altri impegni, possano assolvere il proprio compito in modo efficace e stabile.

I membri dell’Ordine si adoperino nel cooperare alla formazione dei novizi per la parte che loro spetta, con l’esempio della vita e con la preghiera[15].

133. “Spetta al maestro e ai suoi aiutanti discernere e verificare la vocazione dei novizi, e gradatamente formarli a vivere la vita di perfezione propria dell’Ordine.

I novizi devono essere: aiutati a coltivare le virtù umane; introdotti in un impegnativo cammino di perfezione mediante l’orazione e il rinnegamento di sé; guidati alla contemplazione del mistero della salvezza e alla lettura e mediazione delle sacre Scritture; preparati a rendere culto a Dio nella sacra liturgia; formati alle esigenze della vita consacrata a Dio e agli uomini in Cristo, attraverso la pratica dei consigli evangelici; informati, infine, sull’indole e lo spirito, le finalità e la disciplina, la storia e la vita dell’Ordine, ed educati all’amore verso la Chiesa e i suoi sacri Pastori”[16].

134. Suprema legge del noviziato è la buona formazione religiosa dei novizi, che nello stesso tempo li disponga alla contemplazione e li prepari ad esercitare l’apostolato proprio, quando sarà il momento, in unione con Cristo.

Questa formazione, considerate sia la natura e lo scopo del noviziato che l’indole e la missione dell’Ordine, esige una certa separazione dei novizi dagli altri. Il maestro può tuttavia permettere ai novizi rapporti con altri religiosi, quando ciò gli sembri contribuire a un conveniente sollievo o alla formazione.

135. Uno o più intervalli di tempo da trascorrere fuori della comunità del noviziato[17], stabiliti dagli statuti della provincia, sia per una più perfetta formazione dei novizi sia, in certi casi, per poter meglio conoscere la loro idoneità alla vita religiosa dell’Ordine, non si concedano prima che i novizi non abbiano passato tre mesi nello stesso noviziato; detti intervalli siano distribuiti in modo che i novizi vivano in noviziato per sei mesi continui come minimo, e vi ritornino almeno un mese prima di vincolarsi con la professione temporanea.

136. Tre volte durante l’anno, i novizi siano posti all’esame e al giudizio del capitolo conventuale da manifestare con voti segreti, premessa un’informazione del maestro sui singoli; e di tutto ciò venga trasmessa una relazione scritta al consiglio provinciale.

Il primo giudizio si abbia dopo il terzo mese di noviziato, l’ultimo un mese prima della fine.

Delle cose dette nell’esame e nel giudizio, il maestro parli con il novizio o anche con tutti i novizi se così gli sembrerà opportuno, perché emendino la loro condotta e meglio tendano alla perfezione religiosa.

137. Il noviziato, perché sia valido, deve essere ordinato a norma del diritto universale e proprio[18], fermo restando il dispositivo del n. 129 del presente direttorio.

138. Salvo il dispositivo del n. 129 circa il soggiorno del gruppo dei novizi in altra casa, e del n. 135 circa gli intervalli di tempo per l’attività formativa, le assenze dalla casa del noviziato sono regolate dal diritto universale e da quanto disposto nel n. 91 delle costituzioni[19].

139. Il novizio può liberamente lasciare l’Ordine. Il Superiore maggiore, udito il maestro dei novizi e consultato il proprio consiglio, può dimettere il novizio che avrà conosciuto dannoso agli altri o chiaramente inetto per la vita nell’Ordine. In caso urgente, quando non si può facilmente ricorrere al Ministro provinciale o al suo Vicario, il Ministro della casa, consultati il maestro e il capitolo conventuale, può dimettere il novizio[20].

140. L’esito del terzo giudizio, espresso con voti segreti dalla comunità circa il novizio, favorevole o contrario che gli sia, insieme con le informazioni del maestro dei novizi, sia mandato al Ministro provinciale, il quale, con il consenso del suo consiglio, o lo ammetta alla professione come idoneo, o lo rimandi al secolo perché non idoneo. Se però rimane qualche dubbio sulla sua idoneità, può prolungare il periodo di prova, ma non oltre sei mesi[21].

141. Il Superiore maggiore, per giusta causa, può permettere che la prima professione sia anticipata, ma non oltre quindici giorni, e che sia emessa fuori della casa di noviziato[22].

Periodo della professione temporanea

142. Il novizio, per accedere alla professione, ne chieda l’ammissione per iscritto al Superiore maggiore.

143. La cessione e disposizione dei beni, di cui al n. 19 delle costituzioni, se per qualsiasi ragione fosse stata omessa, sia fatta o ripetuta, nonostante sia stata emessa la professione.

Tutto ciò che il religioso acquista con la propria industria o a motivo dell’Ordine, rimane acquistato per l’Ordine stesso. Ciò che egli riceve come pensione, sussidio o assicurazione, rimane acquistato dall’Ordine a norma del n. 341 del presente direttorio generale[23].

144. La professione temporanea nel nostro Ordine è valida per un anno, e la si deve rinnovare annualmente per lo spazio di tempo stabilito dagli statuti di ciascuna provincia[24].

145. Il rito della professione temporanea viene compiuto durante la Messa. Venga redatto il documento della professione emessa, e siano osservate tutte le cose dette nel n. 124 di questo direttorio.

146. Per rinnovare la professione temporanea si richiedono le medesime condizioni che nella prima professione, cioè: la domanda scritta del candidato, l’ammissione e l’accettazione, fattane menzione nel libro a ciò destinato.

La rinnovazione della professione si può fare durante la Messa, ma si svolga con la massima sobrietà[25].

147. Se il religioso, terminato il tempo della professione annuale, non vuole rinnovarla o non vi è ammesso, si ritiri dall’Ordine.

148. Nel periodo di prova che segue il noviziato, gli alunni, insieme con la formazione scientifica e tecnica ad essi conveniente, con amore e sollecitudine siano più profondamente preparati nella dottrina della vita religiosa, specialmente nella teologia della Regola, nella storia e spiritualità dell’Ordine, affinché apprendano rettamente la vita evangelica nella comunione fraterna e la partecipazione all’azione apostolica, secondo lo spirito dell’Ordine.

149. Durante il tempo di questa formazione, si possono introdurre, se così sarà previsto negli statuti della provincia, uno o più periodi di attività formativa, per uno o più membri, sotto la guida di qualche sacerdote dell’Ordine, da trascorrere anche fuori della casa religiosa, per conseguire una solida maturità della persona umana e maggiormente consolidare la coscienza della propria vocazione e, in taluni casi, per poter meglio giudicare della loro idoneità al genere di vita proprio dell’Ordine[26].

150. Nei casi più difficili, quando non bastassero i periodi dell’attività formativa a dissipare il dubbio su qualche candidato, i Superiori maggiori possono allora esortarlo a tornare al secolo[27].

151. Il Ministro generale, con il consenso del suo consiglio, può riammettere nell’Ordine, con facoltà di dispensarlo dall’obbligo di ripetere il noviziato, il frate che avrà lasciato l’Ordine legittimamente, sia dopo aver terminato il tempo della professione temporanea, sia dopo che è stato sciolto dai voti, imponendogli, tuttavia, un congruo tempo di prova.

Spetterà inoltre al Moderatore stesso “stabilire un conveniente periodo di prova prima della professione temporanea e la durata dei voti temporanei prima della professione perpetua, a norma dei canoni 655 e 657”[28].

152. I religiosi di professione temporanea dimorino in una casa dove vige l’osservanza regolare, sotto la disciplina del maestro, che abbia le stesse qualità del maestro dei novizi. Il maestro, al quale possono essere aggiunti uno o più religiosi, se sembrerà opportuno, viene designato secondo gli statuti di ciascuna provincia.

153. Sia il Ministro della casa che il maestro e i suoi aiutanti, siano sacerdoti esemplari nella vita religiosa, dotti specialmente in teologia spirituale e pastorale, forniti di esperienza nel ministero delle anime, di preparazione pedagogica, di prudenza e di perspicacia circa le anime dei giovani.

154. La formazione dei religiosi che si preparano agli Ordini sacri è regolata dal “piano di studi” proprio dell’Ordine e dal diritto universale[29], che esigono un ordinamento diverso quando i candidati compiono gli studi ecclesiastici in una casa religiosa dell’Ordine e quando, invece, sono mandati a centri di studi o università.

155. Una volta all’anno, gli alunni vincolati da professione temporanea siano sottoposti all’esame e al giudizio del capitolo conventuale, premessa un’informazione del maestro sui singoli; e di essi deve essere mandata una relazione scritta al consiglio provinciale.

Nel giudicare l’idoneità degli alunni, si deve considerare la loro maturità umana, psicologica e affettiva, l’attitudine al lavoro e la loro speciale disposizione a vivere la vita religiosa, che esige una giusta severità nella selezione.

Se il Ministro provinciale e il suo consiglio lo ritengono opportuno, possono chiedere convenienti informazioni, oltre che al Ministro e al maestro, anche ad altri religiosi, prima che i candidati siano promossi alla professione solenne e agli Ordini.

Professione solenne

156 La preparazione da premettere immediatamente alla professione solenne sia ordinata in modo tale da poterla ritenere quasi un secondo noviziato.

Perciò, sotto la direzione del maestro di spirito o di un istruttore speciale, i candidati, almeno per sei mesi, si preparino convenientemente con apposite riflessioni, studio più intenso delle cose divine, particolari istruzioni ed esercizi. Benché durante quel periodo di tempo non debbano necessariamente essere interrotti gli studi, o le opere apostoliche o i lavori manuali, nell’ultimo mese di preparazione, i candidati si predispongano direttamente alla professione solenne con maggiore diligenza.

Si deve fare in modo che la professione religiosa abbia luogo nel tempo più adatto, opportunamente conosciuto in anticipo; non conviene che sia quello che immediatamente precede o segue la fine dell’anno scolastico.

157. Prima che si tenga il capitolo conventuale nella casa o nelle case, per dare il voto consultivo a norma del n. 96 delle costituzioni per l’ammissione alla professione solenne, è molto conveniente che il Superiore maggiore ascolti in segreto tutti i religiosi delle case, nelle quali il candidato ha dimorato per almeno sei mesi.

158. La dispensa su quanto disposto nel can. 659, $ 1 e 2, non venga richiesta, a meno che non vi sia una grave causa, riconosciuta dal Superiore competente.

159. Spetta al Ministro provinciale o a un suo delegato ricevere il candidato alla professione solenne, che deve essere emessa, per quanto è possibile, durante la Messa, secondo il rito che propone il “Rito della professione religiosa O.SS.T”.

160. Fatta la professione solenne, se ne scriva l’atto nel libro delle professioni, che deve essere conservato nell’archivio della casa. In esso si annoti il giorno, il mese e l’anno dell’avvenuta professione, il nome del professo e di chi ne ha ricevuto la professione; venga scritta anche la formula della professione, se è possibile, dallo stesso professo.

Questo documento dell’avvenuta professione sia sottoscritto dal professo, dal Ministro della casa e da altri due religiosi che hanno fatto da testimoni nella professione, e da chi l’ha ricevuta.

Una copia sia inviata all’archivio della provincia.

Il Superiore maggiore deve avvertire della professione il parroco del luogo del battesimo del professo[30].

160. bis. Un professo di voti perpetui di un istituto religioso può passare dal proprio istituto al nostro Ordine per concessione dei Superiori Generali dell’uno e dell’altro istituto, previo consenso dei rispettivi consigli (Cfr. 684,§ 1).
Il Ministro generale, dopo aver ottenuto l’autorizzazione scritta di raccomandazione dell’altro Superiore Generale, invii il candidato alla Provincia o alla casa per realizzare la prova prescritta dal diritto (Cfr. can. 684). Questa prova verrà eseguita sotto la direzione del Ministro della casa o di un altro religioso virtuoso, per almeno tre anni; con la possibilità, se fosse conveniente, di prolungarla per un altro triennio. Durante questo periodo, sia il candidato che il Superiore o il moderatore, come gli altri membri della comunità, cerchino di discernere e comprovare la vocazione divina, propria dell’Ordine.
Ugualmente, quindi, il candidato deve essere istruito sull’indole e lo spirito dell’Ordine come anche in tutto ciò che riguarda i fini e la disciplina, la storia, la vita e le attività apostoliche. Terminato il tempo di prova, il candidato può essere ammesso alla professione solenne dal Ministro provinciale, osservando le norme del diritto, salvo che il Ministro generale le abbia riservate per sé. (Cfr. Cost. Ord. 97; DG 157-160).

Ordini sacri

161. I frati professi solenni, fino al sacerdozio e al termine del corso teologico, restino sotto la disciplina del maestro.

I frati cooperatori professi solenni, che si preparano al diaconato permanente, stiano o con gli altri studenti sotto la disciplina del maestro o sotto la direzione di qualche sacerdote designato dal Ministro provinciale.

162. Compete al Superiore maggiore, osservato quanto è disposto dal diritto, ammettere i candidati agli Ordini e concedere loro le lettere dimissorie per il diaconato e il presbiterato.

Le lettere dimissorie possono essere inviate a qualsiasi Vescovo in comunione con la Sede Apostolica, eccettuato soltanto –tranne che per indulto apostolico– un Vescovo di rito diverso dal rito del promovendo[31].

Non può però concederle se non a religiosi professi solenni, della sua giurisdizione, che non siano trattenuti da irregolarità o impedimenti canonici[32].

163. “Prima che uno venga promosso al diaconato sia permanente sia transeunte, si richiede che abbia ricevuto i ministeri di lettore e di accolito e li abbia esercitati per un tempo conveniente.

Tra il conferimento dell’accolitato e del diaconato intercorra un periodo di almeno sei mesi[33].

164. Il presbiterato sia conferito solo a quelli che hanno compiuto i 25 anni di età e possiedano una sufficiente maturità, osservato inoltre l’intervallo di almeno sei mesi tra il diaconato e il presbiterato; coloro che sono destinati al presbiterato, vengano ammessi all’Ordine del diaconato soltanto dopo aver compiuto i 23 anni di età.

I nostri candidati al diaconato permanente non vi siano ammessi se non dopo aver compiuto almeno 25 anni di età.

La dispensa dall’età richiesta che superi l’anno, è riservata alla Sede Apostolica[34].

165. Il candidato al presbiterato può essere promosso al diaconato soltanto dopo aver terminato il quinto anno del curricolo degli studi filosofico-teologici.

Compiuto il curricolo degli studi, il diacono, per un tempo congruente da definirsi dal Superiore maggiore, partecipi alla cura pastorale esercitando l’ordine diaconale, prima di essere promosso al presbiterato.

L’aspirante al diaconato permanente non sia promosso a questo ordine, se non dopo aver espletato il tempo della formazione[35].

Circa gli intervalli prescritti dal diritto tra l’accolitato e il diaconato (Cfr. can. 1035,§ 2) tra il diaconato e il presbiterato (Cfr. can. 1031), il nostro Ordine gode del privilegio, non revocato, quindi ancora in uso, di poter dispensare dagli interstizi. Comunque, il Superiore Maggiore non dispensi da essi i suoi sudditi, senza osservare, tra le altre cose, ciò che si prescrive circa l’età e il tempo conveniente  nell’esercizio della cura pastorale.

165. bis. Per quanto riguarda lo scrutinio circa le qualità richieste per ricevere l’ordine, il Maestro degli studenti e il Ministro della casa  di   formazione, devono verificare che il candidato possegga: la retta dottrina, la  pietà genuina, i buoni costumi e l’attitudine ad esercitare il ministero; ed inoltre, dopo una diligente indagine, vi sia l’attestato sul suo stato di salute fisica e psichica.[36].

166. Il Superiore maggiore, prima di ammettere a ricevere gli ordini, deve avere:

a) se si tratta di ordinandi al presbiterato, certificato di diaconato ricevuto;

b) se si tratta di promovendo al diaconato, certificato di battesimo e di confermazione e dell’avvenuta ricezione dei ministeri; ugualmente il certificato della dichiarazione, di cui al numero seguente;

c) in entrambi i casi, certificato degli studi compiuti a norme del diritto, ed inoltre il voto consultivo delle case in cui, dopo la professione solenne il candidato al diaconato e dopo il diaconato il candidato al presbiterato, abbia dimorato almeno per tre mesi, e il voto deliberativo del suo consiglio[37].

167. Il candidato, per poter essere promosso all’ordine del diaconato e del presbiterato, deve consegnare al Superiore maggiore una dichiarazione, redatta e firmata di suo pugno, nella quale attesta che intende ricevere il sacro ordine spontaneamente e liberamente, e che si dichiarerà per sempre al ministro ecclesiastico, e nella quale chiede simultaneamente di essere ammesso all’ordine da ricevere[38].

168. Tutti coloro che devono essere promossi a qualche ordine, facciano gli esercizi spirituali per almeno cinque giorni, nel luogo e nel modo stabiliti dal Superiore maggiore; e il Vescovo, prima di procedere all’ordinazione, deve essere informato che i candidati hanno compiuto i medesimi esercizi[39].

169. Il Superiore maggiore comunichi la notizia dell’ordinazione celebrata del suo religioso al parroco del luogo del battesimo, il quale la annoterà nel suo libro dei battezzati[40].

Anche nel libro dei professi solenni siano registrate esplicitamente le avvenute ordinazioni, diaconale e presbiterale.

Formazione permanente

170. Per rinnovare la vita e fomentare ogni giorno di più l’attività apostolica dei religiosi, si tenga presente, tra le altre cose, quanto segue:

a) i chierici proseguano gli studi sacri, anche dopo il sacerdozio, e seguano la solida dottrina, fondata sulla sacra Scrittura, tramandata dal passato e comunemente accolta dalla Chiesa, secondo quanto viene determinato particolarmente nei documenti dei concili e dei Romani Pontefici, evitando le vane novità e falsa scienza[41];

b) i sacerdoti frequentino le lezioni di carattere pastorale che devono essere programmate dopo l’ordinazione sacerdotale e inoltre, nei tempi stabiliti dal diritto particolare, partecipino anche ad altre lezioni, convegni teologici e conferenze, con i quali si offra l’occasione di acquistare una conoscenza più approfondita delle scienze sacre e delle metodologie pastorali[42];

c) proseguano anche nell’apprendimento di altre scienze, quelle soprattutto che hanno un rapporto con le scienze sacre, particolarmente in quanto possono essere utili nell’esercizio del ministero pastorale[43];

d) i neosacerdoti, dotati di qualità fisiche, intellettuali, morali e religiose, siano destinati a studi speciali, particolarmente filosofici, teologici, canonici e di sacra Scrittura, di storia ecclesiastica, di spiritualità, di missionologia, di pastorale e di liturgia, così da poter avere nell’Ordine membri ben preparati nelle diverse scienze.

Con particolare cura si fomenti lo studio della storia dell’Ordine e della spiritualità trinitaria, e di quelle discipline che riguardano il nostro apostolato specifico.

Similmente si promuova l’istruzione dei frati non chierici, in discipline adatte alle loro capacità;

e) i frati, nei primi anni di apostolato sia ministeriale che caritativo e redentivo, non siano lasciati soli, ma esercitino il lavoro sotto la direzione di religiosi esperti, che insegnino loro a risolvere i problemi più difficili e li ammoniscano con carità circa i pericoli da evitare;

f) le comunità provvedano che nelle biblioteche dei conventi vi siano, non soltanto libri di specializzazione in alcune discipline, ma anche periodici, nei quali sono esposti sommariamente i progressi delle diverse discipline e le novità più recenti riguardanti la vita ecclesiale e religiosa;

g) si promuovano convegni di frati, nei quali, anche con l’aiuto di esperti, siano trattati i principali argomenti teorici e pratici, del rinnovamento della vita religiosa, specialmente della famiglia trinitaria.

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NOTE

1. PC 24.

2. MR 39

3. Cfr. can 234§1.

4.Cfr. Ratio Fund.11.

5. Can. 597,§1 e 2

6. Can 642 e 220

7. Cfr. Can. 643,§ 1

8.   Can. 644.

9.   Can. 645,§ 1.2.  e 4.

10. Cfr. can. 643,§ 2

11. Cfr. can. 647,§ 1.

12.  Cfr. can. 647, § 2.

13.  Cfr. can. 647,§ 3.

14. Cfr. can.  650.

15. Cfr. can.651; can. 652,§ 4

16. Can. 652,§ 1 e 2.

17. Cfr. can. 648§ 2.

18. Cfr. can. 648§ 3; Cost. ord. n. 90

19.Cfr. 649,§ 1

20. Cfr. can 653,§ 1

21. Cfr. can. 653,§ 2

22. Cfr. can. 649,§ 2

23. Cfr. can. 668

24. Cfr. Cost. ord. n. 93.

25. Cfr. OPR. n. 79

26.Cfr. RC 25.

27. Cfr. RC 38.

28. cfr. can. 690.

29. Cfr. can. 659.

30. Cfr. can. 535,§ 2.

31. Cfr. can. 1021.

32. Cfr. can. 1019; can. 1040 ss.

33. Can. 1035,§ 1.2 e 4

34. Cfr. can. 1031,§ 1.2 e 4

35. Cfr. can. 1032

36. Cfr. can. 1051

37. Cfr. can. 1050

38. Cfr. can. 1036

39. Cfr. can. 1039

40. Cfr. can.  1054

41. Cfr. can. 279,§ 1.

42. Cfr. can. 279,§ 2

43. Can. 279,§ 3

Capitolo VII: GOVERNO DELL’ORDINE

GOVERNO DELL’ORDINE

PARTE I – GOVERNO IN GENERE

STRUTTURA GIURIDICA

Casa

171. Poiché la comunità religiosa deve abitare nella casa legittimamente costituita, e deve avere la chiesa o almeno l’oratorio che sia veramente centro della comunità, è necessario che quando si tratta con il Vescovo per fondare una nuova casa, si tratti insieme anche della licenza per edificare la chiesa in un determinato luogo, secondo il dispositivo del can. 1215, & 3[1].

172. Non venga eretta una nuova casa, se non:

a) risulta che vi sia utilità della Chiesa e dell’Ordine;

b) vi sono almeno tre religiosi da potervi mandare;

c) si può prudentemente giudicare che sarà possibile provvedere in modo adeguato alle necessità dei religiosi;

d) vi è stato prima il consenso del capitolo o almeno del consiglio provinciale, e sia stato impetrato il nulla osta dal consiglio generale;

e) vi è il previo consenso scritto del Vescovo diocesano.

Adempiute queste condizioni, il Ministro provinciale emetta il decreto di erezione della casa.

Il Ministro generale, con il consenso del suo consiglio e osservate le altre disposizioni, può erigere una casa in qualsiasi parte del mondo, alle dipendenze del consiglio generale.

173. Per l’erezione di una casa nel territorio di un’altra provincia, viceprovincia o vicariato, si richiede la licenza del consiglio generale, consultata la giurisdizione interessata.

Per l’erezione di una casa in territorio non assegnato ad altra provincia, viceprovincia o vicariato, basta l’autorizzazione del consiglio generale.

174. Prima di dare inizio alla costruzione di un collegio o convento, o al restauro importante di un edificio, si abbia la descrizione o progetto eseguito da periti, esaminato e approvato dalla competente autorità, ossia dal consiglio generale per gli edifici soggetti alla curia generalizia, dal consiglio provinciale per gli edifici della sua provincia.

175. Il consenso del Vescovo diocesano per l’erezione di una casa religiosa, comporta il diritto:

a) di condurre la vita conforme all’indole propria dell’Ordine e alle sue specifiche finalità;

b) di esercitare le opere proprie dell’Ordine a norma del diritto, salve restando le condizioni apposte nell’atto del consenso;

c) di avere una chiesa e di esercitarvi il ministero sacro, osservate le disposizioni del diritto[2].

176. “Per destinare una casa religiosa ad opere apostoliche differenti da quelle per cui fu costruita, si richiede il consenso del Vescovo diocesano; questo non è necessario se si tratta di un cambiamento che, salve sempre le leggi di fondazione, si riferisca soltanto al regime interno e alla disciplina[3].

177. Il Ministro generale e provinciale possono erigere, con il consenso del proprio consiglio, una casa filiale alle dipendenze di un’altra casa canonicamente eretta, salve le disposizioni del diritto comune.

I medesimi possono aprire residenze per i frati, a motivo di studio, apostolato, ritiro e salute, sotto la diretta dipendenza del proprio consiglio, salve le disposizioni del diritto comune, per quanto concerne l’esercizio dell’apostolato e del culto pubblico.

178. Gli statuti provinciali e i decreti del consiglio generale o provinciale secondo la diversità dei casi, stabiliscano per le case piccole e residenze, quelle osservanze della vita religiosa trinitaria che, come minimo, devono essere praticate.

Ma perché si conservi integralmente in esse il fervore religioso, anzi perché cresca ogni giorno di più, i Superiori maggiori vedano di mandare i frati di queste case, per diversi periodi di tempo, in altre case, nelle quali sia in vigore una più piena osservanza religiosa.

179. Perché la casa di una provincia possa essere ascritta ad altra provincia, si richiedano il voto deliberativo dei capitoli delle due province interessate, la consultazione della stessa casa e il permesso del consiglio generale.

Perché poi le case costituite sotto la dipendenza immediata del consiglio generale possano essere ascritte a provincia, viceprovincia o vicariato, è necessario il voto deliberativo del consiglio generale e del capitolo provinciale interessato, udito il capitolo delle stesse case.

180. Una casa religiosa canonicamente eretta può essere soppressa dal Ministro generale, con il consenso del suo consiglio, previo voto consultivo del consiglio provinciale e dopo aver consultato il Vescovo diocesano[4].

Una casa non canonicamente eretta e una residenza di frati possono essere soppresse dal consiglio generale o provinciale, secondo i casi.

Provincia

181. Osservate le disposizioni del diritto, per costruire una nuova provincia, sono necessari 45 religiosi professi solenni, dei quali 30 sacerdoti, e almeno cinque case, computate quelle di noviziato e di formazione.

182. Non venga costituita una viceprovincia se non vi sono 30 religiosi professi solenni, di cui almeno 20 sacerdoti, e non si hanno quattro case, incluse quelle di noviziato e di formazione.

183. Il vicariato generale o provinciale viene istituito per contingenze di luogo o di cultura; deve avere almeno 15 religiosi professi solenni, di cui almeno 8 sacerdoti, riuniti in una o più case, esso gode di facoltà speciali ed è immediatamente soggetto all’autorità generale o provinciale.

Le condizioni per l’istituzione di un vicariato missionario provinciale o interprovinciale, siano stabilite negli statuti provinciali.

184. Se una provincia si riduce al numero di 30 frati, senza speranza di tornare nello stato pristino, sia ridotta a viceprovincia o venga unita ad altra provincia dall’autorità del capitolo generale, uditi gli interessati e osservate le disposizioni del diritto.

Così pure, una viceprovincia che scende al numero di 15 frati, sia ridotta a vicariato generale o venga unita ad un’altra provincia.

185. Spetta al capitolo provinciale decidere circa l’erezione, l’unione, la divisione e la soppressione del vicariato provinciale. Spetta invece al consiglio provinciale predisporre per tempo tutto ciò che riguarda tali casi. Compete al consiglio generale, tutte le volte che capitano casi di erezione, divisione e soppressione, indicare norme pratiche per la distribuzione dei religiosi, delle case, dei beni e di tutto il resto, osservate le disposizioni del diritto e tenuto conto dei principi di equità e di carità.

186. Possono chiedere l’erezione, la divisione o la soppressione di una provincia, vicariato generale o provinciale, la metà circa dei frati, o il consiglio, la congregazione o il capitolo della rispettiva giurisdizione.

Incorporazione dei frati all’Ordine, ascrizione alla provincia e assegnazione al convento

187. Il frate sin dalla prima professione viene incorporato temporaneamente all’Ordine, in perpetuo, invece, dalla professione solenne. Dall’inizio del noviziato viene detto membro dell’Ordine per estensione.

188. Con lo stesso atto della professione religiosa, e a motivo della medesima, il frate viene ascritto alla provincia, viceprovincia o vicariato cui egli è stato legittimamente ammesso.

189. L’ascrizione del frate alla provincia può essere cambiata per giusta ragione, dietro sua richiesta o accettazione, con il consenso dei consiglieri delle due province.

Il Ministro generale, ascoltati i Ministri provinciali e gli stessi interessati, può ascrivere i frati a qualunque provincia.

190. L’assegnazione ad una determinata casa avviene o per conferimento di ufficio o incarico da ricoprirvi, o per ordine del Superiore maggiore; detto ordine deve essere dato con ponderazione e, nella misura del possibile, dopo aver ascoltato gli interessati.  Un’assegnazione si perde per altra assegnazione.

191. Il frate che risiede per un tempo piuttosto lungo in una casa religiosa di altra provincia, è soggetto sia al Ministro locale che provinciale nella cui giurisdizione si trova. Ritiene tuttavia diritti e doveri della propria provincia, o acquista quelli dell’altra, a seconda di quanto convenuto tra le due province. Se invece abita fuori della casa religiosa, spetta al Ministro provinciale nella cui giurisdizione si trova l’abitazione, aver cura di lui, secondo le istruzioni del proprio provinciale.

Incarichi dell’Ordine

192. Oltre agli uffici di governo ricordati nelle costituzioni[5], ve ne sono altri nell’Ordine, detti incarichi o ministeri, che vanno svolti sotto l’autorità competente, per un retto ed efficace ordinamento della vita e dell’attività. Possono essere personali o collegiali, secondo che costino di uno o più religiosi.

193. Per Tutto l’Ordine, tra gli incarichi personali, vi sono quelli: di Procuratore generale, di Segretario generale, di Postulatore delle case di beatificazione e canonizzazione, di Economo generale e di Procuratore Generale della Redenzione.

Tra i collegiali, quelli: del segretario per il culto della Santissima Trinità, dell’Apostolato con le diverse sezioni, della Formazione, dell’Economia, e delle Commissioni per la Storia e la Spiritualità dell’Ordine.

Tali segretariati però possono, secondo l’opportunità, essere sostituiti dall’incarico di segretario.

194. Nella provincia, viceprovincia e vicariato, oltre al segretario e all’economo, vi siano i segretariati o i segretari per la Formazione, l’Apostolato, il Culto e le Missioni. Per le singole case si provveda a norma delle costituzioni[6].

195. Alcuni incarichi possono essere abbinati o possono esserne costituiti altri nuovi, se così sembrerà opportuno all’autorità competente.

Voce attiva e passiva

196. Nell’Ordine hanno voce attiva e passiva tutti i frati professi solenni, a meno che non consti diversamente dal diritto universale, dalle costituzioni, da questo direttorio o da statuti particolari. Tutti i religiosi professi solenni hanno voce passiva per l’incarico di delegato al Capitolo generale o provinciale, tranne coloro che vi partecipano per ufficio nel Capitolo, e anche coloro che siano privati di voce passiva. Tuttavia almeno due dei tre delegati di ogni giurisdizione siano sacerdoti; nel Capitolo provinciale, invece, almeno la metà dei delegati siano sacerdoti.

Nei consigli provinciali e conventuali può essere eletto un solo consigliere non chierico.

I frati non chierici possono essere ammessi ad esercitare incarichi soltanto amministrativi in qualsiasi grado, come quello di economo, e altri che non abbiano rapporto diretto con il ministero propriamente sacerdotale[7].

197. È privo di voce attiva e passiva non solo il frate che gode dell’indulto di esclaustrazione, ma anche chi ha chiesto tale indulto e chi ha ottenuto dalla competente autorità l’assenza dalla casa religiosa per oltre un anno; anzi, in questi casi, detti religiosi devono essere considerati, per il fatto stesso, come abdicatari dall’ufficio o incarico che ricoprono.

Non è privato di questo diritto, invece, chi vive fuori della casa religiosa, con il permesso del legittimo Superiore, per esercitare l’apostolato a nome dell’Ordine, o per ragioni di studio o di salute.

198. Il frate che dimora nella curia generalizia o in una casa immediatamente soggetta al Ministro generale, o in una missione che non sia vicariato generale, ha voce attiva e passiva nella provincia, viceprovincia o vicariato d’origine. Il frate che esercita un incarico generale di governo, o l’ufficio di Segretario, Procuratore o Economo generale, gode di voce attiva nella giurisdizione di origine, ma non di voce passiva, senza il consenso previo del Consiglio generale.

Gli statuti della provincia stabiliscano le norme che determinino le relazioni vicendevoli tra provincia e vicariato provinciale o interprovinciale, relative alle elezioni.

Il frate, invece, che dimora il altra provincia, viceprovincia o vicariato, ha ivi voce attiva e passiva, o nella giurisdizione di origine, secondo la convenzione, redatta in scritto, tra i rispettivi consigli, dopo aver ascoltato il frate interessato.

199. Eccettuati gli uffici di Superiore maggiore, di cui nelle costituzioni[8], per il conferimento degli altri uffici e incarichi generali e provinciali, per il maestro dei novizi e il Ministro locale si richiede, per la validità, che essi siano professi solenni almeno da cinque anni. Si dispensa da questi impedimenti, stabiliti dal diritto proprio, a norma del n. 229 di questo direttorio.

Modo di provvedere agli uffici e agli incarichi

200. Agli uffici e incarichi assegnati per un tempo determinato, quando questo è trascorso, si deve provvedere nella forma prescritta.

201. Nelle elezioni, sessennio triennio vanno intesi da capitolo a capitolo, o da consiglio elettivo a consiglio ugualmente elettivo.

202. Gli uffici e incarichi che ordinariamente vengono conferiti per elezione, non possono assolutamente restare vacanti per più di tre mesi utili, da computarsi dalla ricezione della notizia della vacanza, a meno che non sia esplicitamente disposto altrimenti.

Se la nuova elezione non fosse stata fatta nel tempo prescritto, il collegio immediatamente superiore avvisi l’autorità competente e, se l’avviso non avesse esito, provveda agli uffici o incarichi.

203. Gli uffici o gli incarichi dell’Ordine vengono conferiti o per elezione, o per postulazione, o per nomina cioè su proposta del presidente, o per libero conferimento o, in casi particolari, per compromesso.

204. Il conferimento degli uffici in senso stretto o degli incarichi che vanno conferiti nei capitoli, o sono spettanti ai capitoli, ma che per qualunque motivo devono essere legittimamente attribuiti da altro collegio, sia fatto sempre per elezione a mezzo di schede: la nomina per presentazione, invece, che avviene per palline o per sassolini, per conferire altri incarichi, è permessa solo quando viene espressamente indicato nelle costituzioni o nel direttorio generale o negli statuti particolari.    Il libero conferimento avviene per decisione del Superiore competente.

205. L’elezione dei delegati al capitolo generale o provinciale, e la designazione dei candidati all’ufficio di Ministro provinciale, sono regolate da norme proprie, secondo le costituzioni, il direttorio generale e gli statuti della provincia.

Nel procedere all’elezione o designazione mediante voto trasmesso per lettera, occorre usare mazzi affinché:

a) non sia vanificato il diritto di voto di alcuni, per il fatto che le lettere non arrivano in tempo al luogo designato, senza loro colpa;

b) consti l’autenticità di ogni voto;

c) si eviti il pericolo di violare il segreto.

206. Nessun frate può avere insieme due uffici:

a) che sono assolutamente incompatibili per loro natura o per legge espressa della Chiesa;

b) che sono relativamente incompatibili per prescrizione del diritto proprio; da tale legge, per giusta causa, può dispensare l’autorità competente.

Ma si eviti l’accumulo di uffici o di incarichi, perché non corrisponde allo spirito della legge.

207. Perché uno possa essere eletto per tre volte di seguito al medesimo ufficio di governo o incarico, è necessario che ottenga nel primo e nel secondo scrutinio i due terzi dei voti dei vocali presenti.

Non è mai ammessa la postulazione, dopo il secondo scrutinio inefficace, perché uno possa essere eletto tre volte di seguito allo stesso ufficio strettamente detto.

Quando si tratta di Ministri locali, si dice medesimo ufficio allorché lo stesso Ministro viene preposto successivamente alla stessa comunità.

Chi per la terza volta di seguito concorre all’ufficio di consigliere generale o provinciale e non avesse ottenuto al primo o secondo scrutinio la maggioranza qualificata richiesta, può ancora concorrere per i rimanenti successivi uffici di consigliere.

ELEZIONE

Convocazione dei vocali

208. Alle elezioni devono essere convocati tutti quelli che hanno diritto di voto. Non è tuttavia necessaria la convocazione personale, a meno che non si tratta del capitolo generale o provinciale, ma è sufficiente la convocazione fatta in forma generale per mezzo di lettera circolare e altri modi consueti.

209. “Se qualcuno di quelli che devono essere chiamati fu trascurato e perciò è stato assente, l’elezione vale; ma dietro istanza del medesimo, una volta provata l’omissione e l’assenza, l’elezione anche se ne è seguita la conferma, deve essere rescissa dal Superiore competente, purché consti giuridicamente che il ricorso è stato trasmesso almeno entro tre giorni dalla ricezione della notizia dell’elezione. Che se fosse stata trascurata più della terza parte degli elettori, l’elezione è nulla per diritto stesso[1]”. La mancata convocazione non è un ostacolo se, ciononostante, i non convocati sono intervenuti.

Votazione

210. Il diritto di eleggere spetta a coloro che sono presenti nell’ora e nel luogo stabiliti nella convocazione, esclusa la facoltà di dare il voto sia per procuratore sia per lettera, tranne i casi previsti dal diritto[2]. Per procedere ad una elezione, in forza del presente direttorio, si richiede che siano presenti due terze parti di quelli che devono essere convocati.     Nel caso, tuttavia, che parecchi dei vocali siano impediti dalla forza ad essere presenti all’elezione, o che ostinatamente non vogliano partecipare, gli altri presenti, purché costituiscano la maggior parte degli elettori, decidano a maggioranza qualificata dei voti segreti, se si debba procedere alla elezione o elezioni nel caso, con la maggior parte degli elettori che devono essere convocati[3]. Ma resta fermo il dispositivo dei numeri 143 e 160 delle costituzioni.

211. “Se qualcuno degli elettori è presente nella casa in cui si tiene l’elezione, ma non può partecipare all’elezione per malferma salute, sia richiesto il suo voto scritto da parte degli scrutatori[4]

212. “Sebbene qualcuno abbia per più titoli il diritto di dare il voto a nome proprio, non può darne che uno solo[5]

213. Nessun estraneo al collegio può essere ammesso alla votazione, altrimenti l’elezione è per il fatto stesso nulla[6].

214. I vocali, sapendo che il bene dell’Ordine dipende soprattutto dalla responsabilità e dalla competenza dei Superiori, si comportino nelle elezioni con molta diligenza e prudenza. Per l’assunzione a uffici e incarichi preferiscano religiosi che emergono tra gli altri per meriti di vita e dottrina di sapienza, serietà, prudenza, integrità di vita, osservanza regolare, e sembrano maggiormente adatti nel sostenere e promuovere le opere dell’Ordine[7].

215. Benché tutti debbano rifuggire dal procurare, direttamente o indirettamente, voti per sé e per altri[8], si può tuttavia fare qualche discorso consultivo circa i meriti, i costumi, le virtù, la scienza e le altre qualità dei religiosi.

216. Prima di procedere all’elezione, per palline o per schede, tutti e singoli vocali promettano con giuramento di eleggere quelli che secondo Dio credono debbano essere eletti.

217. Ogni elezione deve essere sicuramente canonica e deve svolgersi in modo regolare e nella forma prescritta, secondo le norme del diritto, delle costituzioni e del direttorio generale. È canonica quella fatta debitamente con la maggioranza dei voti validi stabilita nelle costituzioni, nel direttorio generale e negli statuti particolari.

Fatta in modo regolare s’intende quella compiuta senza frode, liberamente e osservando la forma.

La forma prescritta è quella che, sia per schede che per palline, viene effettuata in maniera segreta, di modo che mai si possa scoprire a quale candidato i singoli elettori siano stati favorevoli o contrari.

218. Sono invalidi a dare il voto:

a) chi è incapace di atto umano;

b) colui che manca di voce attiva;

c) chi è legato dalla pena della scomunica sia per sentenza giudiziale sia per decreto con il quale la pena viene inflitta o dichiarata;

d) colui che si è staccato notoriamente dalla comunione della Chiesa.

Se uno dei predetti viene ammesso, il suo voto è nullo, ma l’elezione vale, a meno che non consti che, tolto quel voto, l’eletto non ha riportato il numero dei voti richiesto[9]

219. “Perché il voto sia valido, deve essere:

a) libero; perciò è invalido il voto di colui che per timore grave o con dolo, direttamente o indirettamente, fu indotto ad eleggere una determinata persona o diverse persone disgiuntamente;

b) segreto, certo, assoluto, determinato.

Le condizioni poste al voto prima dell’elezione si ritengono come aggiunte[10]”.

Scrutinio

220. Prima di procedere alle elezioni per voti segreti, a meno che non sia già provveduto dagli statuti propri o dalla consuetudine, siano designati tra i membri del collegio due scrutatori, i quali insieme con il presidente emettano il giuramento di compiere fedelmente il loro dovere e di mantenere il segreto, anche finita l’elezione, circa quanto è avvenuto nell’assemblea.

Gli scrutatori curino che i voti siano dati da ogni elettore segretamente, con diligenza, individualmente e secondo l’ordine[11].

221. Terminato lo scrutinio, il segretario legge a chiara voce il numero dei voti validi riportati da ciascun candidato ed è ritenuto eletto chi ha ottenuto la maggioranza richiesta dal diritto per l’elezione.

222. I due terzi dei vocali presenti costituiscono la maggioranza qualificata; mentre, qualunque eccedenza oltre la metà dei vocali presenti costituisce la maggioranza assoluta.

223. Fatto lo scrutinio, a meno che non sia espressamente disposto altro, ha forza di diritto ciò che, presente il richiesto numero di elettori, è piaciuto alla maggioranza assoluta di coloro che sono presenti; dopo due scrutini inefficaci, la votazione verta sopra i due candidati che hanno ottenuto la maggior parte dei voti o, se sono di più, sopra i due più anziani di professione solenne, o, a parità di professione, sopra i due più anziani di età[12].

I due predetti candidati non prendono parte alla terza votazione.       Dopo il terzo scrutinio, se rimane ancora la parità dei suffragi, si ritenga eletto il più anziano di professione.

223 bis.  Tuttavia, se succedesse che l’ultimo scrutinio previsto fino a questo momento (il terzo o quinto, secondo i casi), fosse inefficace per i due candidati, per mancanza di maggioranza o per uguaglianza di voti, il Capitolo decida se conviene  ripetere (e quante volte) l’ultimo scrutinio, o piuttosto realizzarne un altro più risolutivo, in cui si ritenga eletto il candidato che prende un maggior numero di voti rispetto all’altro; e se i voti di entrambi fossero uguali, il più anziano di professione solenne e, se fossero uguali gli anni di professione, il più anziano d’età; ma con la seguente condizione per entrambi i casi, che la somma di tutti i voti validi di questo scrutinio raggiunga i due terzi dei vocali presenti in aula.

Nomina, compromesso e postulazione

224. Quanto è stato detto della elezione, cioè: convocazione, presenza, maggioranza e altro di simile, si applica, secondo la natura delle cose, ad altri modi di designare a uffici e incarichi.

Nomina

225. La provvisione per nomina, previa presentazione, si fa come segue: dopo la discussione sui meriti e le qualità dei candidati, il presidente ne propone uno e, senza più discutere, ciascuno dei vocali mette segretamente nell’urna una pallina bianca, se intende dare al candidato voto affermativo, o nera, se negativo.

Se la maggior parte delle palline è affermativa, viene ritenuto eletto il candidato proposto; se negativa, il presidente ne proponga altri uno dopo l’altro, fino a che qualcuno non ottiene la maggioranza.

Se i voti affermativi e negativi per il medesimo candidato risultano uguali, si ripete la votazione, e se sono ancora uguali, si faccia una terza votazione, e se ancora nel terzo scrutinio risultano uguali, il presidente può usare del voto decisivo e dirimere la parità; ma se il presidente non vuole usare questa fac9oltà, proponga un altro candidato.

Nella libera collazione, il Superiore, nella sua giurisdizione, può affidare un incarico, senza previa presentazione, dopo aver consultato gli interessati.

Compromesso

226. In casi speciali, tanto l’elezione propriamente detta quanto la nomina, possono essere fatte per compromesso; questo si ha quando coloro che hanno diritto di eleggere o di nominare, con consenso unanime e scritto, trasferiscono per quella volta il diritto di eleggere e nominare ad una o più persone idonee sia membri che estranee, perché eleggano o nominino, a nome di tutti in forza della facoltà ricevuta, osservate le altre disposizioni del diritto[13].

I compromissari non possono postulare, se ciò è stato espresso nel mandato o compromesso[14].

Postulazione

227. Se all’elezione di colui che gli elettori stimano più adatto e preferiscono si frappone un impedimento del quale si possa e si sia soliti concedere la dispensa, essi stessi con i propri voti lo possono postulare alla competente autorità, a meno che non sia disposto altro dal diritto, anche se si tratta di ufficio per il quale l’eletto non ha bisogno di conferma[15].

La forma di elezione per postulazione può essere ammessa solo in caso straordinario.

Il voto però deve essere espresso con la formula POSTULO, o almeno con la formula ELEGGO o POSTULO[16].

228. “Perché la postulazione abbia valore, si richiedono almeno i due terzi dei voti[17].

229. Fatta la postulazione, se il presidente ha la facoltà di dispensare dall’impedimento, decida lui secondo la sua prudenza e coscienza, se la dispensa sia o no da concedere.

Se invece il presidente non ha la facoltà di dispensare, la postulazione deve essere trasmessa almeno entro otto giorni al Superiore competente[18], e ogni cosa deve essere fatta a norma del diritto.

Se il capitolo o la congregazione generale e, fuori della loro celebrazione, il consiglio generale postulano legittimamente un candidato che ha un impedimento proprio del direttorio generale, la postulazione, per il fatto stesso, si ritiene accordata.

Se il capitolo o la congregazione provinciale e , fuori del tempo della loro celebrazione, il consiglio provinciale postulano legittimamente un candidato che ha un impedimento proprio degli statuti provinciali, la postulazione, per il fatto stesso, si ritiene accolta.

Le suddette autorità possono, osservate le disposizioni del diritto, concedere entro i limiti della propria competenza, che il presidente di un collegio possa accettare, secondo la sua prudenza, la postulazione legittimamente interposta dagli elettori.

Conferma dell’elezione e presa di possesso dell’ufficio e dell’incarico

230. Per legittima consuetudine ammessa nell’Ordine, il consenso dell’eletto o del postulato non si esige né è necessario, né l’eletto deve chiedere conferma dell’elezione.

Tutte le elezioni, eccetto quella del Ministro generale, hanno bisogno di conferma, che deve essere concessa per iscritto dal presidente del collegio eleggente, dopo aver verificato che il designato è idoneo e che l’elezione è stata fatta a norma del diritto.

231. La provvisione di un ufficio fatta a colui che manca delle qualità richieste, è nulla soltanto se le qualità sono espressamente richieste per la validità della provvisione dal diritto universale o particolare; altrimenti è valida, ma può essere rescissa per mezzo di un decreto dell’autorità competente[19], cioè dall’autorità a cui appartiene il diritto di rivedere gli atti dell’elezione.

232. L’elezione o la postulazione, ricevuta la conferma, subito deve essere comunicata all’eletto, con un documento munito di sigillo e regolarmente sottoscritto dal presidente e dal segretario.

233. Il nuovo eletto prenda possesso quanto prima dell’ufficio o incarico, premessa debitamente la professione di fede[20], secondo la formula approvata dalla Sede Apostolica, e dopo aver inoltre emesso il giuramento, con il quale si obbliga alla fedeltà nel trattare gli affari e alla promessa di esercitare gli uffici ed incarichi affidatogli con esattezza e diligenza, per il bene della Chiesa e dell’Ordine.

La professione di fede e il giuramento siano emessi dinanzi al presidente del collegio eleggente o di uno che ne fa le veci, o davanti al Superiore nominante.

Perdita degli uffici e degli incarichi

234. Gli uffici e gli incarichi si perdono quando è trascorso il tempo per il quale furono affidati, ossia quando è arrivato il momento della celebrazione del capitolo elettivo, della congregazione o del consiglio elettivo. In queste occasioni sono da rinnovare o confermare anche gli uffici provvisti nel periodo di tempo intermedio.

235. La rinunzia agli uffici e agli incarichi deve essere fatta soltanto per causa grave e per iscritto.

La rinunzia non ha nessun effetto canonico se non è stata accettata dall’autorità, alla quale compete di per sé l’elezione, o da altra autorità prevista nelle costituzioni o negli statuti particolari, o, osservato l’ordine, dall’autorità immediatamente superiore.

236. Accettare o respingere la rinunzia agli uffici e agli incarichi spetta all’autorità che ne ha fatto la provvisione, o alla quale è stato ciò devoluto dal diritto.       La rinunzia ad uffici ed incarichi conferiti dal capitolo può accettarla la congregazione durante la sua celebrazione; fuori della congregazione spetta al consiglio, generale e provinciale, accettare la rinunzia ad uffici e incarichi conferiti dal capitolo o nella congregazione, a meno che la congregazione o il capitolo non debbano essere celebrati entro breve termine, cioè entro sei mesi[21].

237. Tuttavia l’autorità competente non accetti la rinunzia senza una causa giusta e proporzionata.

Una volta legittimamente fatta ed accettata la rinunzia, l’ufficio o l’incarico restano vacanti dopo che al rinunziante è stata notificata l’accettazione; il rinunziatario resti nell’ufficio o incarico fino a che non abbia ricevuto notizia ufficiale dell’accettazione da parte dell’autorità competente.

238. Con il legittimo trasferimento ad altro ufficio si perde l’ufficio precedente.        L’autorità competente può trasferire qualsiasi religioso da qualunque ufficio o incarico ad altro ufficio o incarico che viene conferito nel capitolo generale.

239. La rimozione di un frate dall’ufficio o dall’incarico conferitogli può essere fatta senza processo giudiziario per qualche motivo che, anche senza colpa, ne renda l’esercizio dannoso o inefficace, con grave pregiudizio del bene comune.

I motivi principali sono:

a) imperizia o infermità fisica o mentale che rendano il religioso inetto ad esercitare utilmente l’ufficio;

b) quando uno è talmente impegnato in altri affari, da non poter attendere sufficientemente al suo incarico o ufficio, con grave danno della vita comune;

c) la perdita della buona reputazione presso presone oneste religiose e secolari, la quale perdita comunque essa sia sorta, impedisca di fatto il fruttuoso esercizio del proprio ufficio;

d) la cattiva amministrazione dei beni temporali, dalla quale derivi o sovrasti alla provincia o all’Ordine un danno, cui non si possa rimediare in altro modo;

e) quando l’ufficio fosse per qualche religioso occasione provata per deviare notevolmente dall’osservanza dei gravi obblighi della vita religiosa e sacerdotale, o costituisce pericolo grave di rovina spirituale, senza speranza di poterlo evitare.

240. L’autorità competente in questi casi, previo attento esame della causa della rimozione, decida a voti segreti se convenga procedere alla rimozione; se la risposta è affermativa, invita oralmente o per iscritto il religioso a lasciare l’ufficio entro un determinato tempo, notificandogli la causa della decisione e gli argomenti sui quali si basa.

Se il religioso contesta la causa, si devono di nuovo esaminare collegialmente le ragioni addotte; se queste sono collegialmente respinte, il presidente emette il decreto scritto di rimozione dall’ufficio o incarico.

Se il religioso rinunzia all’ufficio o non fa ricorso entro dieci giorni all’autorità superiore, l’ufficio resta completamente vacante.

Se invece entro dieci giorni interpone ricorso al consiglio generale, l’ufficio non resta vacante fino a che il decreto non sia stato confermato dall’autorità competente; il religioso frattanto non può esercitare l’ufficio, a meno che il decreto non viene dichiarato nullo[22].

È possibile un ulteriore ricorso alla Santa Sede, ma solo in devolutivo.

241. L’autorità competente per la rimozione dagli uffici e dagli incarichi è la stessa che li ha conferiti, o quella a cui ciò è demandato dal diritto.       La rimozione da uffici e incarichi locali spetta al consiglio provinciale.

Il consiglio generale o provinciale può rimuovere da uffici e incarichi conferiti dal rispettivo capitolo o congregazione, in caso urgente e quando sia prevista entro sei mesi la celebrazione del rispettivo capitolo e congregazione.

242. Per la rimozione del Ministro generale, oltre ai consiglieri generali, devono essere convocati tutti i Ministri provinciali perché, esaminato il caso, deliberino collegialmente circa la rimozione. È dato ricorso entro dieci giorni alla Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari; nel frattempo egli non eserciti l’ufficio.

243. Gli statuti della provincia possono prescrivere che per la rimozione del Ministro provinciale intervengano, con i consiglieri, anche i Ministri delle case designati negli stessi statuti. È dato ricorso, entro dieci giorni, al consiglio generale; nel frattempo egli non eserciti l’ufficio.

244. Il consiglio generale può rimuovere da qualsiasi ufficio o incarico in tutto l’Ordine, non lo faccia però, se non in caso straordinario o immediatamente dopo la visita pastorale generale, ma lo rimetta ai consiglieri delle province.

La rimozione da un incarico liberamente conferito viene fatta, dopo aver ascoltato chi deve essere rimosso, dalla autorità che ha conferito l’incarico o dal suo successore.

245. La privazione dell’ufficio, essendo una pena canonica per colpa grave, viene inflitta o dichiarata, osservate precisamente le norme del vigente diritto della Chiesa. Lo stesso si dica della pena si sospensione dall’ufficio.

La sospensione, purché la colpa sia certa, può essere inflitta anche a modo di precetto, fuori del giudizio.

Alcune norme da osservare negli atti giuridici delle persone

246. Quando dal diritto è stabilito che il Superiore per porre degli atti necessiti del convento o del consiglio di un collegio o di un gruppo di persone, il collegio o il gruppo di persone deve essere convocato a norma del can. 166; perché poi l’atto valga, si richiede che sia ottenuto il consenso della maggioranza assoluta di quelli che sono presenti, o che sia richiesto il consiglio di tutti. In questi casi, seguendo una consuetudine vigente nell’Ordine fino al presente, e ammessa oggi da insigni autori, il Ministro o il Presidente del Consiglio può votare insieme con i suoi Consiglieri (Cfr. Informationes, anno 1988, n. II, pp. 277-281).

Quando poi è stabilito che necessiti del consenso o del consiglio di alcune persone come singole:

a) se si esige il consenso, è invalido l’atto del Superiore che non richiede il consenso di quelle persone, o che agisce contro il loro voto o contro il voto di una persona;

b) se si esige il consiglio, è invalido l’atto del Superiore che non ascolta le persone medesime; il Superiore, sebbene non sia tenuto ad alcun obbligo ad accedere al loro voto, benché concorde, tuttavia, senza una ragione prevalente, da valutarsi a suo giudizio, non si discosti dal voto delle stesse, specialmente se concorde.

Quelli a cui è richiesto il consenso o il consiglio, espongano il proprio parere con lealtà e sincerità. Il Superiore, secondo la sua prudenza e l’importanza degli affari, può obbligarli a prestare giuramento di mantenere il segreto[23].

Tutti coloro che esercitano qualche ufficio o incarico, ricordino sempre di essere tenuti al segreto naturale o commesso.

247. Le cose che devono essere decise in comune, dopo che l’autorità competente ha debitamente convocato tutti quelli che godono di voce attiva, siano discusse e ponderate con attenzione.

A meno che non sia disposto altro dal diritto o dagli statuti sia quanto alla presenza che alla maggioranza, ha forza di diritto ciò che, presente la maggior parte di quelli che devono essere convocati, è piaciuto alla maggioranza assoluta di coloro che sono presenti; che se, dopo due scrutini, i suffragi sono uguali, il presidente può dirimere la parità con un suo voto[24], o rimandare la soluzione ad una nuova sessione.

Ciò che poi tocca tutti come singoli, da tutti deve essere approvato[25]

Funzione pastorale dei Superiori

248. Il dovere principale dei Superiori è di provvedere continuamente alla perfezione spirituale della fraternità ad essi affidata. Perché ciò possa attuarsi con più efficacia e facilità, attendano sollecitamente al proprio ufficio e insieme ai religiosi loro affidati, si adoperino per costruire in Cristo una comunità fraterna, nella quale si ricerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa.

Diano perciò essi stessi con frequenza ai religiosi il nutrimento della Parola di Dio e li indirizzino alla celebrazione della sacra liturgia. Siano loro esempio nel coltivare le virtù e nell’osservare le leggi e le tradizioni dell’Ordine; provvedano in modo conveniente a quanto loro personalmente occorre; visitino gli ammalati procurando loro con sollecitudine le cure necessarie[26], e usino altri mezzi prescritti dal diritto, tra i quali si raccomandano, secondo l’uso costante della Chiesa e dell’Ordine, la correzione fraterna e la visita pastorale.

A) Correzione fraterna

249. Se qualche frate avrà mancato contro un altro frate o contro la fraternità, per il bene comune e di ciascuno, sia ammonito e ripreso benevolmente e fraternamente.

Se la mancanza è occulta e se ne spera l’emendazione, il frate sia ripreso in segreto, secondo il precetto evangelico, e la colpa non sia rivelata a nessuno, neanche al visitatore.

250. Se però la riprensione fatta non giovasse, o si giudica prudentemente che non gioverà, il frate sia deferito al Superiore come a padre, affinché secondo il suo prudente giudizio provveda al colpevole.

Ma se si trattasse di qualche danno grave per la comunità o per la religione, allora, sia denunziato al Ministro come a padre, o anche come a giudice, se la qualità della colpa o altre circostanze lo richiedono.

251. I Ministri esercitino il dovere che ad essi compete di riprendere i frati, con carità, prudenza e delicatezza, a norma tuttavia del diritto universale e delle costituzioni.

Coloro che avessero trasgredito leggi della Chiesa o dell’Ordine in maniera grave, siano prima ascoltati fraternamente e, valutata con ponderazione la loro colpa, siano ammoniti e opportunamente ripresi.

Essi, d’altra parte, accettino con serenità la riprensione e la pena salutare, che l’autorità competente avrà creduto necessario di imporre.

252. Tra le altre pene si possono numerare queste, che sono tutte ferendae sententiae: esercizi spirituali, più stretta clausura, privazione della voce attiva e passiva, sospensione e rimozione dall’incarico o dall’ufficio.

253. I Ministri locali, se la necessità lo esige, non infliggano pene ai trasgressori delle leggi se non fraternamente; mentre i Superiori maggiori possono infliggere anche pene canoniche, a norma del diritto, qualora vi siano costretti da manifesta necessità.

Nell’infliggere le pene canoniche, però, si osservino le norme del diritto universale.

B) Visita pastorale

254. La visita è istituita principalmente perché il Superiore competente, di persona o per mezzo di un delegato, conosca lo stato della provincia o delle comunità, confermi nella vita e nell’attività i frati e fomenti la carità e l’unione tra i religiosi.

255. Il visitatore esorti ad esporgli quali opere ed iniziative apostoliche sono attuate dalla comunità e dai singoli, quali cose hanno bisogno di maggiore incremento e impegno dei frati, e, con franchezza e sincerità, per amore della comunità e profitto dei frati, manifestino tutto ciò che necessita promozione, riforma o correzione nell’osservanza regolare e nella vita liturgica e apostolica.

256. Esamini i registri delle Messe sia manuali che fondate, l’amministrazione economica della provincia, delle case, delle opere e delle parrocchie.

Parimenti ispezioni, con cura particolare, lo stato della chiesa, della casa, della biblioteca, dell’archivio e degli uffici.

257. Il visitatore abbia colloqui con tutta la comunità, con i singoli religiosi, con i gruppi ai quali sono state affidate mansioni speciali e con le associazioni, specialmente dell’Ordine.

258. Ascoltati i frati, il visitatore manifesti a ciascuno, con spirito fermo e con carità ma chiaramente, che cosa nella propria condotta di vita, nei suoi lavori e nell’apostolato vi sia da perfezionare o da correggere.

Si guardi anche dal manifestare direttamente o indirettamente da chi ha ricevuto informazioni; anzi, conservi il segreto anche dopo aver terminato il suo compito.

259. Il Visitatore, in tutto ciò che concerne l’oggetto e lo scopo della visita, proceda in modo paterno. Finita la visita, riunisca i frati e dia loro consigli, avvertimenti e anche ordini sulle cose che nella loro vita e nelle opere apostoliche devono fare, tralasciare o correggere per un maggiore progresso.

260. Il visitatore scriva in un apposito libro l’attestato della visita compiuta e i decreti circa ciò che i frati devono osservare.

Il libro della visita sia conservato nell’archivio e venga esibito ai visitatori futuri, ai quali spetta esaminare se le prescrizioni date precedentemente, sono state messe in pratica.

261. Oltre alle visite ordinarie stabilite dalle costituzioni, i Superiori maggiori, con il consenso del loro consiglio, possono, per grave causa, disporre la visita straordinaria di una provincia o di una casa, da fare personalmente o per mezzo di loro delegati.

Il visitatore straordinario viene nominato dal Superiore maggiore con il consiglio, e compie la visita secondo le istruzioni ricevute.

262. Di qualunque visita pastorale, ordinaria o straordinaria, deve essere fatta una relazione rispettivamente al consiglio generale o provinciale, che va conservata in archivio.

PARTE II – GOVERNO IN SPECIE

  A) GOVERNO GENERALE

Capitolo generale ordinario

263. Il capitolo generale è retto dal diritto universale, dalle costituzioni, dal direttorio generale e da statuti particolari, approvati dallo stesso capitolo. Detti statuti descrivono il modo della convocazione, l’ordine da seguire, l’elenco degli eleggenti e altre cose ritenute opportune o utili.

264. Il consiglio generale ha la facoltà di anticipare o differire, per giusta causa, il tempo della celebrazione, stabilito dalle costituzioni, entro lo spazio di tre mesi. Allo stesso consiglio spetta anche fissare il giorno e il luogo della sua celebrazione, nonché nominare la commissione preparatoria e istituire il collegio giudiziale.

264 bis.   Hanno voce attiva nel Capitolo generale, oltre ai vocali designati per ufficio nel n.° 135 delle Costituzioni:

1. Vocali per ufficio:

a) Il Segretario generale,

b) il Procuratore generale,

c) i Vicari dei Vicariati generali,

d) i Vicari dei Vicariati provinciali,

e) l’Economo generale

f) Il Procuratore Generale della Redenzione.

2. Delegati designati per elezione:

a) Tre delegati per ogni Provincia;

b) due delegati di ogni Viceprovincia;

c) un delegato di ogni Vicariato che abbia almeno venti religiosi professi solenni;

d) un delegato eletto dai religiosi di voti solenni  delle case immediatamente soggette al Ministro generale e al suo Consiglio, eccettuata la Curia generale, che insieme formino un gruppo formato da sei a quindici religiosi;

e) un delegato tra i religiosi autoctoni che, senza formare una giurisdizione indipendente, costituiscano un gruppo che comprende da sei a 15 religiosi professi solenni.

265. Il Ministro provinciale o a modo di provinciale, se non può partecipare al capitolo perché impedito da forza maggiore, è obbligato a mandare il suo Vicario con attestato autentico dell’impedimento, dato per lettera.     Se anche il Vicario fosse impedito, il Ministro provinciale con il suo consiglio designi un suo delegato.

266. Per l’elezione dei delegati, hanno voce attiva  tutti i frati che il giorno in cui si annuncia l’elezione sono già professi solenni, eccetto coloro che sono vocali del Capitolo per ufficio e che mancano di voce attiva nell’Ordine.

Modo di eleggere i delegati

267. I delegati al capitolo generale vengono designati per elezione tra i presenti o per voto inviato per lettera, a giudizio del Consiglio della propria giurisdizione.

I. Elezione per voto inviato per lettera

Nel sistema di elezione che si realizza mediante voto inviato per lettera, ci si attenga alle norme stabilite nel DG n. 205 a) b) c). In questo sistema, dopo il secondo scrutinio, se non si ottiene la maggioranza assoluta, si ne realizzi un terzo, in cui:

1. Quando riguarda una giurisdizione che deve inviare tre delegati,

a) e ancora mancano da eleggere tre delegati e altrettanti sostituti, si faccia la votazione sui sei candidati che abbiano ottenuto la maggioranza dei voti nel secondo scrutinio; cosicché , realizzato lo scrutinio, si considerino eletti quei tre che abbiano ottenuto la maggior parte dei voti e gli altri tre saranno i sostituti;

b) e ancora mancano da eleggere due delegati e tre sostituti, si faccia la votazione sui cinque candidati che abbiano ottenuto la maggioranza dei voti nel secondo scrutinio; di modo che, realizzato lo scrutinio, saranno proclamati delegati i due che abbiano ottenuto la maggior parte dei voti e gli altri tre saranno sostituti;

c) e ancora manchi da eleggere un delegato e tre sostituti, si faccia la votazione sui quattro che nell’ultimo scrutinio abbiano ottenuto la maggioranza dei voti; cosicché, realizzato lo scrutinio, sarà proclamato delegato chi abbia ottenuto la maggior parte dei voti e gli altri tre si considerino come sostituti.

2. Quando riguarda una giurisdizione che invia due delegati al Capitolo,

a) e ancora se vi sono da eleggere due delegati e due sostituti, si faccia la votazione sui quattro candidati che nell’ultimo scrutinio abbiano ottenuto la maggior parte dei voti; cosicché , realizzato lo scrutinio, si considerino eletti quei due abbiano ottenuto più voti e degli altri due saranno i sostituti;

b) e ancora se resta da eleggere un delegato  e due sostituti, si faccia la votazione sui tre candidati che nel secondo scrutinio abbiano ottenuto la maggior parte dei voti; cosicché , realizzato lo scrutinio, si consideri eletto come delegato chi abbia ottenuto la maggioranza dei voti e gli altri due saranno i sostituti;

3.  Quando si tratta di una giurisdizione che manda un solo delegato al Capitolo,
a) la votazione si faccia sui due candidati che nel secondo scrutinio abbiano ottenuto la maggioranza dei suffragi; cosicché, realizzato lo scrutinio, sarà eletto colui che abbia ottenuto la maggior parte dei voti e l’altro sarà il suo sostituto.

II.  Elezioni tra i presenti

Nel sistema delle elezioni che si realizzano tra i presenti, si proceda nella forma abituale, osservando le norme del diritto (Cfr. soprattutto il  DG nn.208-223); si possono anche utilizzare, parzialmente o totalmente, le norme esposte precedentemente nel I,1°, 2° e 3°,  riguardo il sistema di elezione che si fa con voto inviato per lettera.
In entrambi i sistemi, I e II, se il delegato o i delegati, secondo il caso, siano stati eletti nel primo o nel secondo scrutinio,  se ne faccia un altro per eleggere il sostituto o i sostituti, rispettivamente, che si effettuerà in un’unica votazione sopra i sei, quattro o due candidati, rispettivamente, che abbiano riportato la maggioranza dei voti nell’ultimo scrutinio; sicché, realizzato lo scrutinio saranno da ritenersi eletto o eletti quelli che avranno riportato la maggioranza dei suffragi.

268. Il candidato che, per causa grave, intende rinunciare all’ufficio di delegato al Capitolo generale, lo manifesterà per iscritto al Consiglio della propria giurisdizione, per informarne gli elettori prima che si proceda alla votazione.  La sorte della rinuncia dipende dal risultato della votazione; così, dunque, la rinuncia di colui, che in qualsiasi scrutinio, abbia ottenuto i voti sufficienti per l’elezione di delegato, o per concorrere allo scrutinio seguente, si considera legittimamente respinta (Cfr. DG 236).

269. Una volta espletate le elezioni, il posto vacante del delegato  e del suo sostituto, se non si può realizzare con tempo e senza inconvenienti gravi una nuova votazione, sia supplito prendendo tra i candidati della medesima giurisdizione colui che, dopo di coloro che sono stati eletti, abbia riportato la maggioranza dei voti nell’ultimo scrutinio[35]

270. Al capitolo generale possono essere chiamati anche dei religiosi esperti, le cui mansioni da svolgere nel capitolo siano precisate accuratamente dagli statuti dello stesso capitolo generale.

271. I nomi dei delegati eletti dalle province e viceprovince, siano inviati per tempo al consiglio generale affinché, prima della convocazione del capitolo generale, sia già pronto l’elenco dei vocali.

272. Fatta la convocazione del capitolo mediante lettera del Ministro generale a tutti i frati dell’Ordine, le singole province, viceprovince e vicariati costituiscano speciali commissioni, che raccolgano problemi e questioni da rimettere alla commissione preparatoria, almeno sei mesi prima dell’inizio del capitolo generale.

A questa commissione si devono mandare anche gli altri documenti indicati dagli statuti del capitolo generale.

273. Le elezioni e tutte le altre cose trattate nel capitolo siano riportate negli Atti dei capitoli, e alla fine della celebrazione siano firmate da tutti i capitolari.

Capitolo generale straordinario

274. Quanto è stato detto del capitolo generale ordinario circa:

a) il modo di eleggere i delegati della provincia e viceprovincia, i cui nomi devono essere inviati al Ministro generale almeno sei mesi prima dell’inizio del capitolo;

b) il tempo e il luogo della celebrazione del capitolo;

c) la convocazione;

d) il programma di lavoro che il consiglio generale deve preparare;

e) il contributo economico per le spese del capitolo,

tutto si osservi anche per il capitolo generale straordinario.

275. Il consiglio generale, almeno sei mesi prima del capitolo, nomina la commissione preparatoria e il collegio giudiziale, gli officiali di segreteria e gli esperti, se li crederà opportuni.

276. Quanto alla presidenza e agli altri incarichi da svolgere nel capitolo straordinario, e quanto alla sua celebrazione e al modo di procedere nella trattazione degli argomenti, si osservi ciò che è stato detto del capitolo generale ordinario.

277. Se il capitolo straordinario emana dei decreti, questi restano in vigore soltanto fino al prossimo capitolo generale ordinario.

Congregazione generale

278. Il Ministro generale con il consenso del suo consiglio e consultati i consigli delle province, viceprovince e vicariati, fissi e il giorno della celebrazione della congregazione, e lo notifichi nella sua lettera a tutto l’Ordine, insieme con l’elenco delle cose che in essa devono essere trattate.

279. Se il Ministro della provincia, viceprovincia o vicariato è impedito, si mandi alla congregazione generale il suo sostituto, designato dai rispettivi consigli.

280. Il Ministro generale presiede la congregazione insieme con due moderatori eletti dalla stessa congregazione, i quali svolgono anche l’ufficio di scrutatori.         Il segretario generale adempie la funzione di segretario e il consiglio generale quella di collegio giudiziale.

Consiglio generale

281. Il consiglio generale, che è un’associazione di persone o, a volte,  un organo collegiale di aiuto al Ministro generale istituito dal diritto della Chiesa e dell’Ordine, abbia Statuti propri, approvati dal Capitolo generale, che contengano tutto ciò che sia necessario al retto adempimento della propria mansione.

282. I consiglieri generali siano scelti, per quanto è possibile, dalle diverse province o nazioni, salva restando, tuttavia, la volontà degli elettori.

283. Quando, secondo le norme del diritto, il consiglio deve essere pieno, se qualcuno viene a mancare, subentra il segretario generale e, in sua assenza, il procuratore generale; se mancano in più, subentrano il segretario generale e il procuratore generale o, se essi sono assenti, un altro o altri che i rimanenti devono eleggere con voti segreti in scritto, in modo che per ciascuna delle predette riunioni vi siano cinque membri con voto deliberativo.

284. La riunione del consiglio si tenga almeno una volta al mese e, inoltre, quando sembrerà opportuno al Ministro generale, il quale è tenuto a convocarlo anche ogni volta che glielo richiedono due consiglieri.

285. Convocare il consiglio generale e presiederlo spetta al Ministro generale; assente questi, al Vicario generale e successivamente agli altri consiglieri, secondo la priorità dell’elezione.

Tutti i convocati sono obbligati ad essere presenti al consiglio, a meno che non siano impediti da grave causa.

Il consiglio, però, non può essere celebrato se, oltre al presidente, non vi sono due consiglieri o, in caso straordinario, un consigliere e uno che, per diritto, sia sostituto.

Se poi fossero assenti contemporaneamente il Ministro generale e il suo Vicario, il consiglio non decida se non le cose più urgenti o quelle che l’uno o l’atro avranno espressamente demandato.

286. Dopo il capitolo generale, quanto prima il consiglio designi su proposta del Ministro generale, se vuole, il postulatore delle cause di beatificazione e canonizzazione, il religioso che rappresenti giuridicamente la curia generalizia presso il governo, i segretari o i membri dei segretariati e delle commissioni, di cui al numero 193 del presente direttorio.

Il Procuratore Generale della Redenzione sarà eletto dal Consiglio Generale dopo aver consultato l'organismo di cui al n. 85 di questo Direttorio Generale.

287. Esaminare argomenti particolari attinenti alla vita e alle opere di qualche giurisdizione o di tutto l’Ordine, il Ministro generale, udito il suo consiglio, può convocare i Superiori maggiori di qualche parte o di tutto l’Ordine, per celebrare, insieme con il consiglio generale, un convegno speciale.

Ministro generale

288. Il Ministro generale viene eletto a norma del numero 137 delle costituzioni e non ha bisogno di conferma. Quindi, regolarmente fatta e proclamata l’elezione e osservate le altre disposizioni del diritto, inizia ad esercitare il suo ufficio.

289. Il Ministro generale deve adoperarsi con tutte le forze affinché nelle nostre province, viceprovince e vicariati venga conservato integro e si rafforzi ogni giorno di più il genuino spirito dell’Ordine, sia nella vita spirituale che nell’attività apostolica.

Per ottenere questo, promuova continuamente una conveniente formazione religiosa trinitaria dei frati, e stimoli solidarietà e collaborazione in tutta la famiglia trinitaria.

290. Per promuovere più efficacemente il progresso dei religiosi, il Ministro generale, secondo l’opportunità, mandi di tanto in tanto lettere pastorali o esortazioni a tutto l’Ordine.     Il Ministro generale ha voce e voto in tutti i capitoli, sia provinciali che conventuali.

291. Perché sia più efficacemente favorita la comunione dell’Ordine con la Sede Apostolica, il Ministro generale trasmetta alla medesima, nel modo e nel tempo da questa fissati, una breve relazione sullo stato e sulla vita dell’Istituto.

Inoltre provveda a far conoscere i documenti della Santa Sede riguardanti i religiosi affidatigli, e ne curi l’osservanza[36].

292. Il Ministro generale impedito o che deve allontanarsi dalla sede, preavvisi il Vicario generale perché, a norma del diritto, provveda alle cose dell’Ordine.

Vicario e consiglieri generali

293. Il Vicario generale, impedito o assente il Ministro generale, governa l’Ordine con quelle facoltà che il Ministro generale non ha riservate a sé; nulla faccia contro il suo impedimento e la sua volontà.

Perciò una grazia negata dal Ministro generale, non la si può richiedere al Vicario, a meno che le circostanze non siano notevolmente cambiate.

294. Quanto è stato detto del Vicario, si ritenga detto anche del consigliere che, in assenza del Vicario, svolge lo stesso ufficio.

Segretario Generale, Procuratore Generale e Procuratore Generale della Redenzione

295. All’incarico di segretario generale può essere assunto anche uno dei consiglieri generali, eccetto il Vicario.

Il segretario generale, consultato il Ministro generale, prepara le sessioni del consiglio generale e vi assiste senza diritto di voto; durante il loro svolgimento, registra nel libro gli atti del consiglio generale e li sottoscrive insieme con quelli che hanno partecipato al consiglio stesso. Firma anche i documenti del consiglio e le lettere che il Ministro generale manda d’ufficio.

La scrittura o firma del segretario fa fede pubblica; il segretario è anche notaio che, nei processi istruiti dal consiglio, funge da attuario.

Il segretario compila il censimento dell’Ordine, redige le statistiche e le aggiorna di continuo. Custodisce inoltre i libri e l’archivio amministrativo della curia generalizia.

296. All’incarico di procuratore generale può essere assunto anche uno dei consiglieri generali, eccetto il Vicario.

Il procuratore generale, nel trattare presso la Santa Sede gli affari dell’Ordine, delle province, dei conventi e dei singoli religiosi, agisca d’accordo con l’autorità competente, alla quale chieda anche le informazioni e il voto che si devono presentare alle varie Congregazioni della Sede Apostolica.

Custodisca presso di sé i documenti autentici o le loro copie, che al momento opportuno devono essere depositati nell’archivio dell’Ordine.

296bis: Il Procuratore Generale della Redenzione incoraggerà i servizi di informazione e di sensibilizzazione sulle situazioni di persecuzione religiosa, promuoverà la preghiera per la Chiesa perseguitata e svilupperà progetti concreti in luoghi dove non vi è libertà religiosa.

Compirà la sua missione tramite il suddetto organismo di cui si parla nel n. 85 di questo Direttorio Generale, di cui sarà Presidente, cercando la collaborazione dei membri della famiglia trinitaria, dei benefattori e di altre persone di buona volontà.

Presenta inoltre, nelle diverse assemblee di cui è membro e quando è convocato dal Consiglio generale, le attività di promozione della carità redentrice dell'Ordine.

B) GOVERNO PROVINCIALE

Capitolo provinciale

297. Il tempo della celebrazione del capitolo provinciale venga stabilito negli statuti di ogni provincia, in modo cheperò, non cada nell’anno in cui si celebra il capitolo generale.

Il consiglio provinciale, per grave causa, può anticipare o posticipare tale tempo entro lo spazio di tre mesi; il medesimo consiglio deve determinare anche il giorno e il luogo della celebrazione del capitolo.

298. Gli statuti provinciali definiscano anche la forma per eleggere i delegati al capitolo; questa elezione si può fare anche con voto inviato per lettera, se così dispongono gli statuti della provincia. Il consigliere generale, se vuole, può prendere parte al capitolo della sua provincia.

298 bis. Per l’elezione  dei delegati hanno voce attiva tutti i frati  che nel giorno in cui si annuncia l’elezione già sono professi solenni, eccetto coloro che sono vocali del Capitolo per ufficio e coloro che non hanno voce attiva nell’Ordine. (Cfr. è uguale al n. 266 del DG)

299. Prima della celebrazione del capitolo, venga istituita la commissione preparatoria a norma degli statuti della provincia; detta commissione, oltre alle istruzioni concernenti le elezioni, prepari un questionario circa le cose pertinenti alle leggi, alla vita e all’attività, alla formazione, all’economia e ad altre cose della provincia e delle case, e lo invii per tempo al consiglio, alle comunità e ai vari segretariati. Poi raccolga, disponendole ordinatamente, le risposte e le proposte pervenute, aggiungendo il proprio giudizio su di esse, e rimetta il tutto ai singoli capitolari, perché studino i problemi da risolvere prima della celebrazione del capitolo, al quale spetta discutere e decidere opportunamente su di essi.

300. Alla medesima commissione siano trasmesse le relazioni del consiglio provinciale, dei segretariati, delle singole case, secondo gli statuti provinciali e le istruzioni del consiglio provinciale.

301. Gli statuti della provincia e del rispettivo vicariato, rispettando i diritti dell’una e dell’altra, espongano chiaramente la procedura concordata sul modo con cui i religiosi di ciascuna delle due giurisdizioni partecipano ai rispettivi capitoli.

302. Gli atti del capitolo, che devono essere registrati nel libro dei capitoli della provincia, il documento delle elezioni come pure gli statuti, se sono stati fatti, siano trasmessi al consiglio generale per la debita revisione.

303. Siano pure regolarmente trasmessi al consiglio generale, per la revisione, gli atti del capitolo straordinario o della congregazione provinciale.

304. Entro tre mesi dal termine del capitolo provinciale, il consiglio provinciale deve procedere alle elezioni demandategli dagli statuti.

305. Oltre all’aspetto elettivo, il capitolo provinciale provveda al programma di vita della provincia. Gli statuti della provincia stabiliscano, se vogliono, una o due fasi del capitolo provinciale.

Consiglio provinciale

306. Il consiglio provinciale, istituito come aiuto del Ministro provinciale, è retto dalle costituzioni, da questo direttorio e da uno statuto proprio, approvato dal capitolo provinciale 

307. Il consiglio provinciale deve essere convocato almeno ogni due mesi e, inoltre, ogni volta che sia previsto dallo statuto proprio.

308. Quando il consiglio deve essere pieno, se viene a mancare qualcuno, subentra il segretario provinciale e, assente lui, subentra un altro o altri se gli assenti sono di più; questi devono essere eletti dai rimanenti con voto segreto in scritto, così che in qualsiasi delle riunioni suddette vi siano cinque persone con voto deliberativo.

309. Spetta al Ministro provinciale convocare e presiedere il consiglio provinciale; in sua assenza, al Vicario e successivamente agli altri consiglieri, secondo la priorità di elezione. Tutti i convocati, se non sono impediti da causa grave, sono tenuti ad essere presenti.

Il consiglio, tuttavia, non può essere celebrato se, oltre al presidente, non vi sono due consiglieri.

Se poi sono assenti contemporaneamente il Ministro provinciale e il suo Vicario, il consiglio non decida se non cose più urgenti, o quelle che gli sono state espressamente demandate dall’uno o dall’altro.

310. Gli atti delle elezioni, i documenti e i decreti, qualora sono stati fatti, vengano trasmessi al consiglio generale per la revisione.

Ministro provinciale

311. Per l’elezione del Ministro provinciale, se così dispongono gli statuti della provincia, sono ammessi cinque scrutini, e nei primi quattro per essere eletto il candidato ha bisogno dei due terzi dei voti.

Dopo il secondo scrutinio inefficace, viene escluso il candidato che concorre per la terza volta consecutiva all’ufficio di Ministro provinciale.

Nel quinto scrutinio, nel quale è sufficiente la maggioranza assoluta, hanno voce passiva i due soli candidati che nel quarto scrutinio avranno riportato la maggior parte dei voti, anche se pari.

In questo quinto scrutinio è ritenuto eletto chi avrà ottenuto la maggioranza assoluta, cioè i voti della maggior parte dei vocali presenti, tolti i due candidati che per diritto non possono votare.

Se avranno riportato parità di voti, è ritenuto eletto il più anziano di professione solenne e, se sono pari di professione, il maggiore di età.

312. Il Ministro provinciale può anche essere eletto dal capitolo provinciale, se così è previsto negli statuti provinciali, fra tre o cinque candidati, scelti con suffragio universale da tutti i religiosi professi solenni della provincia, secondo gli statuti della provincia stessa.

Il Ministro provinciale che ha ricoperto l’ufficio per due volte consecutive, può essere incluso tra i candidati.

La designazione di detti candidati può essere fatta con voto inviato per lettera, a norma del direttorio generale e degli statuti.

313. Il Ministro provinciale prenda cura innanzitutto delle cose riguardanti la provincia in quanto tale, quali sono l’opera delle vocazioni, la formazione dei frati, le opere e l’economia della provincia, i diversi segretariati; ma deve anche attendere ai problemi delle comunità e dei singoli religiosi, correggere errori ed abusi per la vita spirituale e apostolica.

Nel governo della provincia deve valersi dell’aiuto del proprio consiglio e richiedere l’intervento dei diversi segretariati o segretari, nelle cose loro concernenti.

Nel risolvere i problemi attinenti alla giurisdizione dei Ministri locali, si avvalga sempre della loro opera, a meno che il caso particolare non richieda o consigli altrimenti.

314. Per promuovere più efficacemente il progresso dei religiosi, il Ministro provinciale può inviare lettere pastorali, con le quali porti a conoscenza dei suoi religiosi i problemi della provincia, i documenti e le comunicazioni del Ministro generale e del suo consiglio, nonché le principali attività delle altre province, dei vicariati e delle missioni dell’Ordine.

315. Il Ministro provinciale, verso la fine di ogni anno, mandi al consiglio generale un breve cospetto dello stato e della vita di tutta la provincia. È opportuno fare questa comunicazione anche alle altre province e vicariati dell’Ordine.

Il Ministro provinciale ha voce e voto nei capitoli del vicariato e delle case di tutta la provincia.

317. Il Ministro provinciale, impedito o in procinto di assentarsi dalla sede, preavvisi il Vicario provinciale perché provveda, a norma del diritto, agli affari della provincia.

Vicario, Consiglieri, Segretario

317. Il Vicario provinciale, impedito o assente il Ministro provinciale, governa la provincia con le facoltà che il Ministro provinciale non ha riservate a sé; non faccia nulla contro il suo intendimento e la sua volontà.

Se perciò una grazia è stata negata dal Ministro provinciale, non può essere ottenuta dal Vicario, a meno che le circostanze non siano notevolmente cambiate.

318. Quanto è stato detto del Vicario, si ritenga detto anche del consigliere che, in assenza del Vicario, esercita il medesimo ufficio.

319. All’incarico di segretario può essere assunto anche uno dei consiglieri provinciali, eccetto il Vicario.

Il Segretario provinciale, consultato il Ministro provinciale, prepara le sessioni del consiglio provinciale e vi assiste senza diritto di voto, ne registra gli atti nel libro del consiglio provinciale e li sottoscrive insieme con gli altri che hanno preso parte al consiglio stesso. Firma anche i documenti del consiglio e le lettere che il Ministro provinciale invia d’ufficio.

La scrittura o firma del segretario fa fede pubblica; il segretario è anche il notaio che, nei processi istruiti dal consiglio funge da attuario.

Il segretario fa il censimento della provincia e redige la statistica, aggiornandola continuamente. Inoltre, custodisce i libri e l’archivio amministrativo della curia provinciale.

Il segretario provinciale è tenuto a rimettere per tempo al segretario generale, specialmente verso la fine dell’anno, i documenti del consiglio, le notizie principali e le statistiche della sua provincia.

Governo della viceprovincia; vicariato

320. Le norme esposte per il governo della provincia vanno osservate anche per il governo della viceprovincia.

321. Nel vicariato, invece, vengono assegnati due soli consiglieri; inoltre, i rapporti speciali del vicariato con la curia generalizia e con la provincia, e la forma della reciproca partecipazione alle elezioni del vicariato e della rispettiva provincia, sono regolati da statuti particolari, secondo il numero 310 di questo direttorio.

Nelle altre cose si osservi quanto è stato detto del capitolo provinciale.

C) GOVERNO LOCALE

Capitolo conventuale

322. Convocare e presiedere il capitolo conventuale spetta al Ministro della casa, e lui assente, al suo Vicario e successivamente al religioso designato dagli statuti della provincia.

Il presidente del capitolo, al momento opportuno, proponga alla comunità ciò che deve essere discusso, trattato o deliberato.

Nella celebrazione del capitolo si devono osservare le norme stabilite dal diritto universale e dal diritto particolare dell’Ordine, specialmente per quanto concerne la convocazione, la presenza richiesta, gli scrutini e la maggioranza.

323. Mentre al capitolo giuridicamente inteso vengono tutti i religiosi professi solenni, ad altri capitoli presi in senso largo, nei quali non c’è votazione giuridica, disposti a scopo di formazione, ritiro spirituale, rinnovamento di vita e simili, possono partecipare tutti religiosi.

324. Oltre alle elezioni indicate nelle costituzioni, vi sono altre cose riservate al capitolo conventuale, come l’orario della comunità, gli oneri da assumere o da lasciare, il voto o giudizio sui candidati al noviziato, alle professioni, agli ordini sacri ed altre cose simili.

325. Negli statuti provinciali vengano accuratamente determinati il modo, il tempo e il criterio di trattare le cose, nonché annessi e connessi concernenti il capitolo.

326. Il segretario della comunità riporti nel registro le deliberazioni e gli argomenti di maggiore importanza trattati nel capitolo, e, dopo averne data lettura alla presenza dello stesso capitolo, li sottoscriva insieme con il Ministro della casa e i consiglieri.

327. Statuti particolari stabiliscano ciò che riguarda il capitolo da celebrare nelle case immediatamente soggette all’autorità del Ministro generale.

Ministro della casa, Vicario, Consiglieri, Segretario

328. Il Ministro locale, in forza del suo ufficio, regge in spirito di carità e di servizio a norma del diritto, la fraternità a lui affidata. Guidi, pertanto, i frati con la dottrina e con l’esempio, promuova la vita regolare ed apostolica, provveda alle necessità spirituali e temporali dei frati, chieda loro volentieri consiglio, ne incoraggi l’attività, fomenti la comune concordia di tutti per il bene della comunità. Vigili, inoltre, e si impegni a far osservare da tutti le prescrizioni della legge universale e quelle proprie dell’Ordine.

329. Nell’ambito della sua potestà, osservi innanzitutto quanto è stabilito nel diritto circa i debiti, l’alienazione e gli altri affari economici; circa gli impegni da assumere, le pie fondazioni e altre cose del genere.

Tratti frequentemente con i consiglieri di tutto ciò che riguarda la casa.

Per assumere a nome della comunità oneri gravi, o anche meno gravi per un periodo di tempo che vada al di là delle nuove elezioni, oltre al consenso della comunità, è necessaria l’approvazione del consiglio provinciale.

Altri oneri minori che sono di più breve durata, il Ministro può assumerli con il consenso o, in casi determinati, con il consiglio del capitolo o del suo consiglio.

Spetta particolarmente al Ministro, consultata la comunità e sentiti gli interessati, assegnare i religiosi ai vari ministeri, o cambiarli per ragionevole motivo; concedere, quanto vi sia una causa proporzionata, dispense disciplinari, e tutto dirige con prudenza.

330. Il Ministro sia costantemente presente nella sua casa. Se qualche volta gli capiterà di doversi assentare per lungo tempo le ragioni dell’assenza devono essere approvate dall’autorità competente, e allontanandosi, preavvisi il Vicario della casa e disponga le cose in modo che i frati non soffrano danno o disagio dalla sua assenza.

331. Il Vicario esercita il suo ufficio di comune accordo con il Ministro della casa; è bene che egli sia il primo consigliere.

Nell’assenza del Ministro, governa la casa, secondo l’intendimento del Ministro stesso.

332. I consiglieri ogni mese rivedano i registri delle Messe e dell’economia, e li sottoscrivano con il Ministro.

333. Il segretario eserciti il suo incarico con diligenza, e custodisca i registri della comunità.

Documenti, registri e libri di ciascuna casa

334. Nelle case dell’Ordine vi siano:

-i documenti e i registri, o almeno copie, dell’autorità sia ecclesiale che civile, attinenti alla fondazione della casa o alle sue nuove strutture;

-i libri dei capitoli conventuali e delle visite pastorali;

-i registri delle Messe fondate, manuali e costituzioni;

-i libri dell’amministrazione ordinaria e straordinaria dei beni immobili e mobili, delle entrate e delle uscite;

-i libri delle associazioni;

-i libri dei segretariati o dei segretari ivi esistenti.

Nelle case di formazione, inoltre, i libri riguardanti i postulati, i novizi, le professioni, gli studenti e le sacre ordinazioni.

Case piccole

335. Anche le case piccole, formate da almeno tre frati professi solenni, devono celebrare i capitoli ed eleggere un segretario; quanto agli altri incarichi, si deve stare al disposto del numero 179 delle costituzioni, e alle altre norme degli statuti provinciali.

Nelle case dove si trovano soltanto due religiosi, questi esaminino i vari problemi di comune accordo; si distribuiscano i lavori e sbrighino gli affari minori della comunità; quelli invece di maggiore importanza richiedono uno speciale intervento del consiglio provinciale; nei registri e nei libri appongano le firme necessarie tutti e due.

Anche un solo religioso che abiti a lungo in qualche casa, annoti e firmi i propri registri.

336. Anche nelle residenze dove i frati abitano per studio, apostolato od altra ragione, vi siano libri, nei quali vengano annotate le cose principali.

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NOTE

  1. Cfr. can. 608.
  2. Cfr. can 611
  3. Can. 612.
  4. Cfr. can. 616
  5. Cfr. Cost. Ord. 119
  6. Cfr. Cost. Ord. 162
  7. Cfr. Decreto Sacra Congregazione dei Religiosi, 27 novembre 1969
  8. Cfr. Cost. Ord. 123
  9. Can. 166,§ 2.3
  10. Cfr. can. 167,§ 1
  11. Cfr. 119§ 1
  12. Can. 167,§ 2
  13. Can. 168.
  14. Cfr. can. 169
  15. Cfr. Reg. Trin.
  16. Cfr. can. 626
  17. Can. 171.§ 1. 2
  18. Can. 172,§ 1.2.
  19. Cfr. can.173
  20. Cfr. can 119.
  21. Cfr. can. 174 -  22
  22. Cfr. can. 180,§ 2.
  23. Cfr. can 180,§ 1
  24. Cfr. can. 181,§ 2
  25. Can. 181,§ 1
  26. Cfr. can. 182,§1.
  27. Cfr. can 149,§ 2.
  28. La professione di fede si deve premettere a tutti gli uffici strettamente detti e agli incarichi: di Procuratore e Segretario generale; di Segretario della provincia; di Vicario conventuale; di maestro dei novizi e degli studenti; di professore di sacra teologia, di diritto canonico e di filosofia; di censore dei libri nell’Ordine; di parroco dinanzi all’Ordinario del luogo o di un suo delegato; di chi deve essere promosso all’ordine del diaconato (Cfr. can. 833).
  29. Cfr. Cost. Ord. nn. 139,e); 142,d); 146; 158,d); 163.
  30. Cfr. can. 143,§2; can 1747,§ 3
  31. Cfr. can. 127
  32. Cfr. can. 119
  33. Can. 119,§ 3.
  34. Cfr. can 619
  35. Cfr. DG n. 196
  36. Cfr. can 592,§ 1.2.

Capitolo VIII: BENI TEMPORALI

BENI TEMPORALI E LORO AMMINISTRAZIONE

TITOLO I

BENI DA AMMINISTRARE

337. I beni temporali dell’Ordine siano destinati a quei fini, per conseguire i quali l’Ordine ha il diritto di possederli.

Se tale diritto non fosse riconosciuto dalle leggi civili, si deve provvedere in altra maniera legittimamente ammessa, perché i diritti dell’Ordine siano salvaguardati.

338. È lecito ai nostri religiosi raccogliere offerte, secondo le norme della Chiesa, quando sembrerà opportuno, principalmente per le opere dell’Ordine; ma nel questuare si osservino le norme contenute negli statuti di ogni provincia.

339. Tutti i conventi, le province e l’Ordine devono contrarre le dovute o almeno le giuste cauzioni sociali.

340. È sommamente conveniente che, nei luoghi dove sono in vigore, siano adottate per i frati le così dette istituzioni di assicurazione e previdenza sociale per malattia e assistenza, per invalidità e anzianità, per responsabilità civile e penale di persone e di cose, e altro simile.

341. Appartengono al convento, a meno che negli statuti provinciali non sia disposto diversamente:

a) tutto ciò che i farti ad esso assegnati acquistano con il lavoro e l’attività, e le loro pensioni personali di qualunque genere;

b) i doni fatti ai frati in considerazione della persona, o a favore del convento;

c) tutti i beni legittimamente acquistati nel corso del tempo, sia immobili che mobili, sia capitali che i loro interessi;

d) i beni che per atto tra vivi o per atto di morte sopraggiungeranno alla casa, a meno che non sia stabilito diversamente dal capitolo provinciale, salva tuttavia la volontà del donatore.

342. Appartengono alla provincia, a meno che gli statuti provinciali non dispongano altrimenti:

a) i frutti del lavoro del Ministro provinciale;

b) i doni fatti a favore della provincia;

c) i doni fatti per la formazione dei postulanti, dei novizi e degli studenti, dei quali la provincia si è accollate le spese;

d) le opere e le istituzioni e loro rendite, che sono state fondate dalla provincia o rette o amministrate a suo nome;

e) il frutto del lavoro dei frati che risiedono o lavorano fuori della propria provincia;

f) i beni ereditari di qualsiasi genere o i legati pii che provengono ai frati ascritti alla provincia, senza alcuna determinata intenzione del benefattore;

g) i beni immobili e mobili o capitali acquistati dalla provincia nel corso del tempo, e i loro redditi;

h) i contributi dei conventi, fissati dal capitolo provinciale.

343. Appartengono all’Ordine:

a) i beni immobili e mobili, o i capitali dell’Ordine e i loro redditi;

b) il frutto del lavoro dei frati che operano nella curia generalizia, e i doni fatti ad essi senza particolare condizione;

se però tutti o alcuni frati ascritti alla curia hanno il domicilio in altro convento, le cose vengano determinate mediante una convenzione tra la curia e la comunità;

c) i contributi delle province, fissati dal capitolo generale;

d) tutti gli altri proventi che sopraggiungono in considerazione dell’Ordine.

344. I beni offerti per un determinato fine, come per le missioni, per le opere particolari, per i poveri e per le finalità simili, devono essere scrupolosamente destinati secondo la volontà del donatore.

345. Spetta al capitolo generale e provinciale sia ordinario che straordinario, come anche alla congregazione generale e provinciale:

a) definire quali beni, opere, collegi e cose simili debbano essere amministrati dalla provincia o dall’Ordine;

b) imporre alla provincia, viceprovincia, vicariato o alle case: tasse, contributi, o altro sistema di comunicazione di beni.

346. Se una casa o una provincia incorressero in difficoltà economiche debitamente verificate, le altre, come parti della medesima famiglia e per esigenza dello spirito di carità, vengano loro in aiuto, secondo il giudizio del consiglio generale o provinciale, dopo aver ascoltato le comunità interessate.

TITOLO II

AMMINISTRAZIONE DEI BENI

347. Il patrimonio dell’Ordine deve divenire stabile e fruttifero mediante una retta amministrazione e un ragionevole uso, o mediante altra forma riconosciuta dalla Chiesa.

I beni dell’Ordine, delle province e delle case vengono amministrati a norma delle costituzioni, del direttorio generale e degli statuti di ciascuna provincia.

348. Nell’amministrare i beni appartenenti sia alla curia generalizia, che al convento, si conservi unità di amministrazione, ad essa pertanto devono confluire tutte le sottoamministrazioni proprie dei vari uffici, delle opere dell’Ordine, dei collegi, delle offerte e cose simili.

349. I principali atti dell’amministrazione ordinaria sono:

a) raccogliere e riscuotere le somme di denaro;

b) ricevere i contributi;

c) percepire e custodire con cura le entrate;

d) fare le spese ordinarie;

e) custodire e amministrare doni e legati secondo la volontà dei donatori;

f) fare il bilancio preventivo e presentarlo, insieme con le spese richieste, agli interessati.

350. I principali atti dell’amministrazione straordinaria sono:

a) alienare beni;

b) contrarre debiti o obbligazioni;

c) impegnare beni;

d) investire i beni o cambiare investimenti;

e) fare con i medesimi beni spese straordinarie o cose simili.

351. Sono considerate spese ordinarie quelle necessarie al Superiore maggiore per l’esercizio del suo ufficio e per il normale servizio dei frati, e che parimenti sono necessarie al Ministro locale per fare ciò che concerne la cura abituale della comunità affidatagli; le altre sono considerate straordinarie.

TITOLO III

AMMINISTRATORI

352. La retta ed efficace amministrazione e la sicurezza dei beni dipendono moltissimo dalla diligenza e dalla capacità dell’economo e del segretariato dell’economia, e dalla doverosa sorveglianza dei Superiori.

353. Gli economi e tutti gli amministratori devono conoscere bene le prescrizioni del diritto canonico e proprio, come anche quelle di maggiore importanza del diritto civile per la validità e la liceità degli atti di amministrazione.

354. L’amministrazione dei beni della curia generale e provinciale venga affidata a religiosi esperti in materia economica, distinti dal Superiore maggiore (Cfr. can. 620)[1]. Siccome anche i loro Vicari svolgono frequentemente l’incarico di Superiore Maggiore, sarebbe meglio non designarli come economi (Cfr. can, 620).

Quantunque l’incarico di economo locale si possa comporre con l’ufficio di Ministro, se gli statuti della provincia lo permettono, per quanto è possibile l’economo sia distinto dal Ministro locale (Cfr. can. 636,§ 1)[2].

355. Può essere costituito nell’Ordine un consiglio di economia, il cui presidente, per ufficio, sia l’economo.

Ogni provincia, però, abbia un consiglio di economia, il cui presidente sia, per ufficio, l’economo provinciale, la cui mansione sarà di condurre una supervisione di tutte le cose riguardanti l’economia delle case, delle opere, dei registri, delle proprietà, dei contributi, dei debiti e specialmente dei contratti e degli stipendi pertinenti agli operai.

356. Sia il consiglio generale che quello provinciale, nonché il capitolo conventuale, possono nominare altri amministratori per opere e casi particolari, essi sono tenuti a svolgere il loro incarico secondo le norme date dai rispettivi consigli o capitoli, e ad inviare le opportune informazioni all’economo interessato, se si tratta di beni dell’Ordine.

357. Gli amministratori tengano accuratamente la registrazione delle entrate e delle uscite, dei titoli di reddito, dei debiti, dei contratti e altre cose del genere.

Facciano ed aggiornino con esattezza l’inventario dei beni, e curino che siano custoditi nell’archivio gli originali autentici degli atti legali, sui quali si basano i diritti dell’Ordine, della provincia o della casa.

358. Gli economi e gli amministratori, negli atti di ordinaria amministrazione dei beni, devono stare alle disposizioni stabilite dal Superiore con il rispettivo capitolo o consiglio.

Se si tratta di amministrazione straordinaria, per la validità, hanno bisogno dell’autorizzazione scritta del proprio Superiore, dietro consenso del capitolo o del consiglio.

359. Spetta al capitolo generale fissare la somma, oltre la quale per le spese straordinarie, il Ministro generale ha bisogno del consenso del suo consiglio.

Tocca pure al capitolo generale fissare la somma, al di là della quale il Ministro generale, oltre al consenso del suo consiglio, per contrarre debiti e alienare beni, ha bisogno del consenso della congregazione, udito il parere del segretariato dell’economia.

360. Similmente, spetta al capitolo provinciale stabilire la somma, al di sopra della quale, per le spese straordinarie, il Ministro provinciale ha bisogno del consenso del suo consiglio.

Per contrarre debiti e alienare beni, il Ministro provinciale, prima di domandare il permesso al consiglio generale se il caso lo comporta, deve chiedere il consenso del suo consiglio e dell’autorità prevista dagli statuti della provincia, previa consultazione del segretariato dell’economia.

Così pure il capitolo provinciale determini la somma e il numero dei casi oltre i quali, il Ministro conventuale deve avere, per le spese straordinarie, il consenso del capitolo conventuale, oppure sia quello del capitolo conventuale che quello del consiglio provinciale.

361. Per alienare, impegnare o vincolare beni a titolo di ipoteca, o per contrarre debiti, il cui valore raggiunge la somma per la quale si deve ricorrere alla Santa Sede, si richiede, per la validità, il permesso scritto dato dal Ministro generale con il consenso del suo consiglio, dopo aver avuto il consenso sia dell’autorità prevista dagli statuti della provincia, sia del capitolo conventuale interessato[3].

362. Se invece la somma non raggiunge quella predetta, ma è superiore alla sua metà, avuto prima il consenso dell’autorità prevista dagli statuti della provincia e del capitolo conventuale interessato, basta, per la validità, il permesso scritto dato dal Ministro generale con il consenso del suo consiglio.

Gli statuti della provincia provvedano per gli affari di questo genere, che sono contenuti al di sotto della somma anzidetta.

363. Non venga contratto alcun debito, a meno che non consti con certezza ai Superiori e ai loro consigli che l’interesse del debito si potrà coprire con le rendite ordinarie o con altri mezzi adatti, e che lo stesso debito potrà essere estinto entro un tempo non troppo lungo[4].

364. Gli economi si avvalgano dell’aiuto di esperti in economia, ed esercitino il loro incarico sotto la direzione del loro Ministro diretto e rendano conto dell’amministrazione ai propri Ministri e ai loro consigli, secondo gli statuti dei consigli stessi o delle province.

Il religioso che, in ragione del suo ufficio o per speciale mandato, ha qualche amministrazione di beni, agisca sotto la direzione dell’autorità competente e, se amministra beni dell’Ordine, renda conto dell’amministrazione due volte all’anno al consiglio dell’autorità competente o al capitolo conventuale o allo stesso economo.

365. In ogni casa, il Ministro e i frati si riuniscano in capitolo almeno una volta al mese, per trattare gli affari della casa e rendere fedelmente conto degli stessi affari, il Ministro ai frati e i frati al Ministro[5].

Ma decidano, però, per voto segreto, le cose di maggiore importanza e le spese straordinarie, entro i limiti della propria competenza.

366. a)  “Se una persona giuridica ha contratto debiti e oneri, anche con licenza dei Superiori, è tenuta a rispondere in proprio.

b)  Se un religioso con licenza del Superiore ha contratto debiti personalmente; se invece per mandato del Superiore ha concluso affari dell’Istituto, è l’Istituto che ne deve rispondere.

c) Se un religioso li ha contratti senza alcuna licenza dei Superiori, è lui stesso, e non la persona giuridica, a doverne rispondere.

d) Rimanga fermo, tuttavia, che si può sempre intentare un’azione contro colui il cui patrimonio si è in qualche misura avvantaggiato in seguito a quel contratto[6]

367. La persona giuridica riconosciuta anche dal diritto civile, abbia un religioso che la rappresenti giuridicamente, per trattare ogni cosa presso il foro civile e i tribunali secolari.

La designazione di questo religioso per la curia generalizia spetta al consiglio generale, per le singole province e case al consiglio provinciale.

Egli, però, non può effettuare validamente un negozio giuridico, se non sono state adempiute le condizioni richieste per la validità dal diritto della Chiesa e dell’Ordine.

TITOLO IV

PIE FONDAZIONI ED ELEMOSINE DI MESSE

368. Quanto alle fondazioni pie, alle Messe perpetue e manuali, vengano osservate rigorosamente le prescrizioni del diritto canonico.

369. Nelle nostre case non si accettino oneri perpetui di Messe da celebrare e fondazioni pie, senza l’autorizzazione scritta del Superiore maggiore, previa l’approvazione del capitolo conventuale.

Allo stesso Superiore maggiore spetta, con il consenso del suo consiglio, prescrivere le norme circa la quantità della dote, al di sotto della quale la fondazione pia non può essere accettata, e designare inoltre un luogo sicuro in cui il denaro e i beni mobili assegnati a titolo di dote, siano collocati a vantaggio della stessa fondazione, facendo espressa e distinta menzione dell’onere[7].

370. Venga redatto un documento di fondazione e sia conservato nell’archivio del convento; una sua copia sia mandata all’archivio della provincia[8].

371. “Devono essere applicate Messe distinte secondo le intenzioni di coloro per i quali singolarmente l’offerta, anche se esigua, è stata accettata[9]”.

Dall’offerta delle Messe deve essere assolutamente tenuta lontana anche l’apparenza di contrattazione o di commercio[10]”.

372. “Il sacerdote che celebra più Messe nello stesso giorno, può applicare ciascuna di esse secondo l’intenzione per la quale è stata data l’offerta, a condizione però che al di fuori del giorno di Natale, egli tenga per sé l’offerta di una sola Messa e consegni le altre per le finalità stabilite dall’Ordinario, essendogli consentito di percepire una certa retribuzione a titolo estrinseco.

Il sacerdote che concelebra nello stesso giorno una seconda Messa, a nessun titolo può percepire l’offerta per questa[11]”.

373. In tutte le nostre case vi siano due registri, in uno di essi vengano annotate diligentemente i distinti oneri di fondazione, la loro soddisfazione ed elemosina, nell’altro invece le Messe manuali, il loro numero, intenzione, l’elemosina e giorno della celebrazione.

Al termine di ogni mese i Ministri delle case facciano un resoconto sull’adempimento degli oneri delle Messe di fondazione, manuali e di costituzioni, lo trascrivano nei suddetti libri e lo sottoscrivano con i consiglieri.

I Superiori maggiori hanno il diritto e il dove di vigilare sull’adempimento degli oneri di Messe nelle chiese della propria giurisdizione[12].

374. Osservate le prescrizioni del diritto, il Ministro generale, ha la facoltà di ridurre gli oneri o legati di Messe, come anche di trasferirli per giusta causa in giorni, chiese o altari diversi da quelli stabiliti nelle fondazioni stesse[13].

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NOTE

  1. Cfr. can. 636,§ 1
  2. Ibidem
  3. Cfr.  can.. 638,§ 3
  4. Cfr.  can.  639,§ 5
  5. Cfr. Reg. Trinit.
  6. Can. 639,§ 1.2.3.4.
  7. Cfr. can. 1304. 1305
  8. Cfr. 1306.
  9. Can. 948
  10. Can. 947
  11. Can. 951,§ 1.2.
  12. Cfr. can. 957
  13. Cfr. can. 1308.1309

Capitolo IX: SEPARAZIONE DEI FRATI DALL’ORDINE

SEPARAZIONE DEI FRATI DALL’ORDINE

Passaggio ad altro istituto, Esclaustrazione, Esclusione e Indulto di lasciare l’Ordine

375. Il passaggio di un frate professo solenne dall’Ordine a un altro istituto religioso non può avvenire se non per concessione del Ministro generale e del Moderatore supremo dell’altro istituto, previo consenso sei rispettivi consigli.

Il religioso, dopo aver trascorso un periodo di prova che deve durare almeno due anni, può essere ammesso alla professione perpetua nel nuovo istituto. Se però non vuole emettere tale professione, ritorni all’istituto di provenienza, a meno che non abbia ottenuto l’indulto di secolarizzazione[1].

376. Il Ministro generale, con il consenso del suo consiglio, per grave causa, può concedere al frate professo solenne l’indulto di esclaustrazione, tuttavia per non più di tre anni, previo consenso dell’Ordinario del luogo in cui dovrà dimorare, o una concessione superiore a tre anni è riservata unicamente alla Santa Sede.

Il religioso esclaustrato è ritenuto esonerato dagli obblighi non compatibili con la sua nuova situazione di vita, tuttavia rimare sotto la dipendenza e la cura dei suoi Superiori ed anche dell’Ordinario del luogo, soprattutto se si tratta di un chierico. Può portare l’abito dell’Istituto, a meno che non sia stabilito altrimenti nell’indulto. Egli però manca di voce attiva e passiva[2].

377. “Allo scadere della professione temporanea, se sussistono giuste cause, il religioso può essere escluso dalla successiva professione da parte del competente Superiore maggiore, udito il suo consiglio[3]

378. Chi durante la professione temporanea per grave causa chiede di lasciare l’Ordine, può ottenerne il relativo indulto dal Ministro generale con il consenso del suo consiglio, dopo aver ricevuto informazioni dal consiglio provinciale.

Il professo solenne, invece, non chieda l’indulto di lasciare l’Ordine, se non per cause molto gravi ponderate davanti a Dio. Egli, per mezzo del Ministro provinciale, che aggiungerà anche le sue informazioni o notizie, presenti la sua domanda al Ministro generale, il quale la inoltrerà alla Sede Apostolica, alla quale compete concedere l’indulto, insieme con il voto suo e quello del suo consiglio[4].

Dimissione

379. Se un frate che avesse violato le leggi della Chiesa e dell’Ordine, dopo le dovute ammonizioni e ripetizioni si sarà mostrato pertinace e insofferente della disciplina e non avrà emendato la sua condotta, sia caritatevolmente dimesso a norma del diritto, dopo avergli dato, con semplicità, licenza di lasciare l’Ordine[5].

380. In caso di delitto, al quale per diritto universale è annessa, per il fatto stesso, la dimissione, è sufficiente che il Superiore maggiore con il suo consiglio, senza interporre indugio, raccolte le prove, emetta la dichiarazione del fatto, perché la dimissione consti giuridicamente[6].

381. In altri delitti[7], il Superiore maggiore, raccolte le prove relative ai fatti e alla loro imputabilità, renda note al religioso da dimettere e l’accusa e le prove, dandogli facoltà di difendersi.

Tutti gli atti, sottoscritti dal Superiore maggiore e dal notaio, insieme con le risposte del religioso, verbalizzate e dal religioso stesso controfirmate, siano trasmessi al Ministro generale[8].

382. Il religioso può essere dimesso anche per altre cause, purché siano gravi, esterne, imputabili e giuridicamente comprovate, come: la negligenza abituale degli obblighi della vita consacrata, le ripetute violazioni dei vincoli sacri; la disobbedienza ostinata alle legittime disposizioni dei Superiori in materia grave; un grave scandalo derivato dal comportamento colpevole del religioso; l’ostinato appoggio o la propaganda di dottrine condannate dal Magistero di materialismo e di ateismo; l’assenza illegittima, di cui al can. 665, $ 2, protratta per sei mesi.

Per la dimissione di un religioso di voti temporanei sono sufficienti cause di minore gravità[9].

383. Nei casi, dei quali al numero precedente, se il Superiore maggiore, udito il suo consiglio, giudica che si debba avviare il processo di dimissione:

a) raccolga o integri le prove;

b) ammonisca il religioso per iscritto o davanti a due testimoni, con l’esplicita comminazione della conseguente dimissione in caso di mancato ravvedimento, notificandogli chiaramente la causa della dimissione e accordandogli piena facoltà di rispondere in propria difesa. Qualora poi l’ammonizione risulti inutile, il Superiore proceda ad una seconda ammonizione, dopo l’intervallo di almeno quindici giorni;

c) se anche questa seconda ammonizione risultasse inutile, e se il Superiore maggiore con il suo consiglio giudicasse sufficientemente provata l’incorregibilità, e insufficienti le prove del religioso, trascorsi senza risultato altro quindici giorni dall’ultima ammonizione, trasmetta al Ministro generale tutti gli atti, sottoscritti dallo stesso Superiore maggiore e dal notaio, unitamente alle risposte date dal religioso e da lui firmate[10].

            

384. Il Ministro generale con il suo consiglio, che per la validità deve constare di almeno quattro membri, proceda collegialmente ad una accurata valutazione della prove, degli argomenti e delle difese, e, se ciò risulta per votazione segreta, emetterà il decreto di dimissione, esprimendo almeno sommariamente, perché esso sia valido, i motivi in diritto e in fatto[11].

Il decreto di dimissione non ha vigore se non confermato dalla santa Sede, alla quale vanno trasmessi il decreto stesso e tutti gli atti. Il decreto tuttavia, per avere valore, deve indicare il diritto di cui gode il religioso, di ricorrere alla santa Sede entro dieci giorni dalla ricezione della notifica. Il ricorso ha effetto sospensivo[12].

385. Il religioso legittimamente dimesso è sciolto, per il fatto stesso, dagli obblighi derivanti dalla professione, eccettuati gli oneri annessi agli ordini; egli tuttavia, non può esercitare gli ordini sacri fino a quando non abbia trovato un Vescovo il quale, a norma del diritto, lo accolga, o almeno gli consenta l’esercizio degli ordini sacri[13].

386. In caso di grave scandalo esterno o nel pericolo imminente di un gravissimo danno per l’Ordine, il religioso può essere espulso dalla casa religiosa immediatamente da parte del Superiore maggiore oppure, qualora il ritardo risultasse pericoloso, dal Superiore locale con il consenso del suo consiglio. Se è necessario, il Superiore maggiore curi che istruisca il processo di dimissione a norma del diritto, oppure deferisca la cosa alla Sede Apostolica

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NOTE

  1. Cfr. can. 684,§ 1.2.
  2. Cfr. can. 686.687
  3. Can. 689,§ 1
  4. Cfr. 688,§ 2. 691
  5. Cfr. Reg. Trin.
  6. Cfr. can. 694.
  7. Cfr. can. 1395. 1396. 1397.1398.
  8. Cfr. can. 695
  9. Cfr. can. 696
  10. Cfr. can. 697
  11. Cfr. can. 699,§ 1.
  12. Cfr. can. 700
  13. Cfr. can. 701
  14. Cfr. can. 703

Capitolo X: RELAZIONE CON GLI ALTRI MEMBRI DELLA FAMIGLIA TRINITARIA

RAPPORTI TRA I MEMBRI DELLA FAMIGLIA TRINITARIA

387. La Famiglia trinitaria, che si fonda sulla partecipazione, di diverso genere, di più membri al medesimo carisma e spirito dell’Ordine, esige che tra i detti vari membri si abbiano relazioni speciali, vi sia più stretta collaborazione e si offra aiuto vicendevole.

388. Pertanto i Ministri, specialmente il generale e i provinciali, curino di comunicare notizie di fatti e avvenimenti principali agli altri membri della famiglia trinitaria, e di notificare ai propri frati quelle da essi a loro volta ricevute.

Cerchino inoltre:

a) di promuovere tra i diversi membri della famiglia convegni sul tema delle vocazioni, sulla spiritualità trinitaria, sul rinnovamento della vita, sia contemplativa che attiva;

b) di mettere volentieri a disposizione degli altri membri confessori idonei, predicatori di esercizi e riti spirituali, cappellani e assistenti;

c) di promuovere fondazioni di contemplative del nostro Ordine, specialmente nelle province e nazioni dove non ci sono, perché tutto l’Ordine e il maggior numero possibile di diocesi possano godere dei benefici di questa vita contemplativa, secondo i desideri della Chiesa[15];

d) di promuovere anche fondazioni delle congregazioni religiose e degli istituti secolari della famiglia trinitaria, e in comune accordo con loro, lavorare per liberare gli uomini dai diversi generi di schiavitù.

389. Nella famiglia trinitaria sono annoverate anche alcune associazioni legate al primo Ordine anche con vincolo giuridico.

Infatti, l’Ordine secolare della Santissima Trinità è un’associazione i cui membri conducono vita apostolica e tendono alla perfezione apostolica, partecipando nel mondo al carisma dell’Ordine sotto l’alta direzione dell’Ordine stesso[16].

Anche la Confraternita della Santissima Trinità, l’Adorazione perpetua della Santissima Trinità e il Movimento trinitario sono associazioni proprie dell’Ordine.

390. Tutte queste associazioni abbiano propri statuti approvati dalla santa Sede, con cui vengano definiti il fine dell’associazione o ragione sociale, la sede, il governo e le condizioni richieste per parteciparvi, e mediante i quali vengano determinate le modalità d’azione, tenendo presenti le necessità o l’utilità relativa al tempo e al luogo[17].

391. Per erigere validamente nella diocesi un’associazione o una sezione, anche se ciò avviene in forza di privilegio apostolico, si richiede il consenso scritto del Vescovo diocesano; tuttavia il consenso dato dal Vescovo diocesano per l’erezione di una casa dell’Ordine vale anche per l’erezione, presso la stessa casa o presso la chiesa annessa, di una associazione propria del nostro Ordine[18].

Altre norme ecclesiastiche concernenti le associazioni siano stabilite negli statuti propri delle stesse.

392. I Ministri, ad ogni livello, e gli altri frati facciano del tutto per erigere l’Ordine secolare ed altre associazioni proprie, almeno nelle proprie case o chiese ad esse annesse, e prestino la loro opera assidua e diligente nel formare bene nello spirito dell’Ordine i loro membri. Così essi possono meglio conseguire la perfezione cristiana e più efficacemente lavorare con noi, secondo il carisma proprio dell’Ordine, per il bene della diocesi e della Chiesa universale.

393. Il Ministro generale dunque, e i Ministri provinciali nel territorio della propria giurisdizione, hanno al facoltà, con possibilità di delegarla ad altri sacerdoti, di erigere sodalizi dell’Ordine secolare ed altre associazioni in qualunque modo appartenenti all’Ordine.

394. Si fomentino le relazioni con i genitori dei religiosi, parenti, amici e collaboratori, specialmente inviando loro notizie sulla vita e sulle attività del nostro Ordine, e invitandoli ad alcuni nostri convegni. Abbiano per essi riconoscente benevolenza e carità, e li aiutino con preghiere per la loro salute e santificazione; ma non si immischino nei loro affari.

395. I Superiori, con sentimenti di umanità e di carità, considerati attentamente i casi, cerchino di soccorrere quei genitori di religiosi, che si trovino eventualmente in difficoltà economiche.

396. Il Ministro generale può concedere ai benefattori insigni un attestato di benevolenza e una lettera di partecipazione ai beni spirituali di tutto l’Ordine; il Ministro provinciale può concedere le stesse cose ai benefattori della sua provincia.

397. I secolari che vivono nelle nostre comunità, o vi prestano stabilmente la loro opera, siano di ottimi costumi; siano trattati con carità e aiutati a conseguire il proprio bene spirituale.

La loro prestazione di lavoro sia ordinata a norma delle leggi sociali, mediante convenzione da essi firmata, quale si suol fare nella regione dove vivono, perché sia loro dato quanto è dovuto per giustizia, osservando sempre la carità.

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NOTE

  1. Cfr. M 23b;  DCVR 24
  2. Cfr. can. 303
  3. Cfr. can. 304. 312. 314
  4. Cfr. can. 312,§ 2.

Capitolo XI: BIBLIOTECHE E ARCHIVI

BIBLIOTECHE, ARCHIVI, SIGILLI

TITOLO I

Biblioteche

398. Si abbia cura perché la biblioteca sia fornita di libri di più recente pubblicazione e delle riviste necessarie, più convenienti ai religiosi della comunità e al loro apostolato.

Si curi, inoltre, una sezione speciale, nella quale venga conservato tutto ciò che riguarda la storia dell’Ordine, la sua spiritualità, il suo apostolato e altre cose del genere.

399. Il Ministro dia responsabilità della biblioteca ad uno che abbia cura diligente dei libri e delle riviste, li disponga in buon ordine e ne faccia con precisione un catalogo.

400. I Libri dei religiosi defunti siano depositati nella biblioteca del convento dove questi sono morti.

401. Per nessun motivo vengano prestati o venduti libri ad estranei; possono, invece, essere trasferiti ad altra casa, specialmente se di formazione, per un certo tempo determinato o anche definitivamente, per costituire un centro di studi della provincia, con il permesso dell’autorità prevista dagli statuti provinciali.

TITOLO II

Archivi

402. Nella curia generalizia e in quella provinciale, come anche nei singoli conventi, si abbia l’archivio distinto in sezione storica e sezione amministrativa.

Nella sezione amministrativa si tengano i libri e i documenti dell’amministrazione in corso; nell’altra, tutto il resto che non è necessario per l’uso frequente.

403. Nell’archivio provinciale, oltre ai documenti, registri e libri della curia, vengano custodite almeno le copie dei documenti principali riguardanti le case e le loro opere, e inoltre il catalogo dei religiosi con il loro curriculum vitae.

404. Ugualmente, nell’archivio generale, oltre ai documenti, registri e libri della curia, vengano conservati esemplari dei principali documenti delle province e delle case, e vi si abbiano notizie circa le opere e il curriculum vitae dei religiosi dell’Ordine.

405. Nell’archivio di ogni casa, oltre ai registri di cui al num. 334 di questo direttorio, si abbia un libro grande, detto protocollo, nel quale siano chiaramente descritti la fondazione del convento, il suo stato e sviluppo, gli oneri perpetui di Messe e di suffragi, i beni stabiliti e il censo, sia favorevole che a sfavore.

TITOLO III

Sigilli

406. Nell’Ordine si abbia un sigillo in cui sia scolpita l’immagine del Redentore fra gli schiavi, e nell’intorno l’iscrizione: Signum Ordinis Sanctae Trinitatis et Captivorum; di questo sigillo vengono muniti i documenti del capitolo e della congregazione generale.

Il Ministro generale, il consiglio generale, i consiglieri, il segretario e il procuratore generale, nonché il visitatore generale abbiano un sigillo, in cui sia inciso lo stemma dell’Ordine e nel contorno il titolo del rispettivo ufficio o incarico.

Del sigillo del capitolo generale vengono muniti gli atti compiuti dallo stesso consiglio generale o sbrigati dal Ministro generale con il consenso del suo consiglio.

407. I Ministri provinciali, i consigli provinciali, i consiglieri e il segretario della provincia, i Ministri delle case e i visitatori provinciali abbiano inciso sul proprio sigillo lo stemma dell’Ordine, al quale possono essere aggiunti o inseriti elementi particolari, e nel contorno il titolo dell’ufficio o incarico.

408. Il segretariato o il segretario e gli officiali, sia generali che provinciali, possono usare un sigillo proprio, composto con elementi dell’Ordine e del loro incarico particolare.

409. È bene che la sigla e i sigilli siano fatti e adoperati con una certa uniformità, come segno di comunione tra i frati, che ci ricordi l’essere, per vocazione, testimoni della Trinità e ministri di redenzione.

APPENDICI

I. CELEBRAZIONI PARTICOLARI NELL’ORDINE

Mentre come pellegrini camminiamo verso la patria, noi celebriamo delle feste particolari che segnano per la comunità speciali momenti di gioia, manifestano la letizia della nostra vita consacrata alla Trinità, e ci rendono partecipi della liturgia celeste, quando cantiamo a Dio l’inno di gloria, veneriamo la Beata Vergine Maria e i nostri santi, e godiamo dei lieti eventi della nostra fraternità.

Solennità:

Santissima Trinità

Natività di Nostro Signore Gesù Cristo,

Pasqua di Risurrezione,

Pentecoste,

Beata Vergine Maria del Buon Rimedio,

Immacolata Concezione,

Assunzione,

Nostro Santo Padre Giovanni de Matha;

Titolare della provincia,

Titolare della chiesa della casa,

Patrono della nazione,

Patrono del luogo 

Feste:

Santissimo Redentore,

Natività della Beata Vergine Maria,

Santo Padre Giovanni Battista della Concezione,

San Michele dei Santi,

Sant’Agnese,

Tutti i Santi del nostro Ordine.

Memorie:

Nome di Maria,

San Felice de Valois,

San Luigi, re di Francia,

Beato Marco Criado,

Beato Domenico Iturrate,

Beata Anna Maria Taigi,

Beata Elisabetta Canori Mora.

Onomastici:

Del P. Ministro generale, per tutto l’Ordine,

Del P. Ministro provinciale e del P. Ministro a modo di provinciale, nella propria giurisdizione

Del P. Ministro locale, nella propria casa,

Dei frati, in ciascuna casa.

I giorni:

Dell’ordinazione sacerdotale,

Della professione solenne,

Del 25º di ordinazione sacerdotale,

Del 25º di professione solenne,

Del 50º di ordinazione sacerdotale,

Del 50 di professione solenne,

Della professione temporanea.

II - INDULGENZA PLENARIA NELLA NOSTRA FAMIGLIA

a) PER I MEMBRI DELL’ORDINE

1. Per tutto l’Istituto:

Santissima Trinità,

Santissimo Redentore Gesù Nazareno,

San Giovanni de Matha,

San Felice de Valois,

San Giovanni Battista della Concezione,

San Michele dei Santi,

Sant’Agnese, vergine e martire,

In occasione del capitolo generale.

2. Per le singole case:

festa del Patrono della casa,

feste dei Santi o Beati, dei quali si conservano nel luogo il corpo o qualche reliquia insigne,

al termine della visita regolare.

3. Per i singoli religiosi:

giorno dell’ingresso al noviziato,

giorno della prima professione,

giorno della professione solenne,

XXVº, Lº, LXº e LXXVº della prima professione,

giorno della solenne consegna del Crocifisso,

prima della partenza per l’estero.

b) PER LE CONTEMPLATIVE E I VARI ISTITUTI DI SUORE DELLA SANTISSIMA TRINITÀ

1. Per tutto l’Istituto:

Santissima Trinità,

Santissimo Redentore Gesù Nazareno,

San Giovanni de Matha,

San Felice de Valois,

San Giovanni Battista della Concezione,

San Michele dei Santi,

Sant’Agnese, vergine e martire,

In occasione del capitolo per l’elezione della Superiora (per le contemplative),

In occasione del capitolo generale (per le suore).

2. Per le singole case:

festa del Patrono della casa,

feste dei Santi o Beati, dei quali si conservano nel luogo il corpo o qualche reliquia insigne,

al termine della visita regolare.

3. Per le singole religiose:

giorno dell’ingresso al noviziato,

giorno della prima professione,

giorno della professione perpetua,

XVº, Lº, LXº e LXXVº della prima professione.

c) PER I MEMBRI DELL’ORDINE SECOLARE DELLA SANTISSIMA TRINITÀ

Giorno di iscrizione,

giorno della professione.

Santissima Trinità,

Santissimo Redentore Gesù Nazareno,

Beata Maria Vergine del Buon Rimedio,

San Giovanni de Matha,

San Felice de Valois,

San Giovanni Battista della Concezione,

San Michele dei Santi.

d) PER I MEMBRI DELLA NOSTRA CONFRATERNITA E PER GLI ASCRITTI ALL’ASSOCIAZIONE DELL’ADORAZIONE PERPETUA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ

Giorno della iscrizione.

Santissima Trinità,

Santissimo Redentore Gesù Nazareno,

Beata Maria Vergine del Buon Rimedio,

San Giovanni de Matha,

San Felice de Valois,

San Giovanni Battista della Concezione,

San Michele dei Santi.

e) È INOLTRE CONCESSA L’INDULGENZA PLENARIA:

1. A tutti i fedeli che nella festa di San Giovanni de Matha visitano pienamente una chiesa od oratorio dell’Ordine, recitandovi un Pater e un Credo.

2. Parimenti a tutti i fedeli che visitano una chiesa dell’Ordine, che sia parrocchia, nella festa del Titolare della stessa chiesa, e vi recitano un Pater e un Credo.

III. FORMULA DELLA RINNOVAZIONE DEI VOTI PER DEVOZIONE[1]

a) Per il rinnovo dei voti solenni

Nel Nome della Santissima Trinità:

Padre e Figlio e Spirito santo.

Io, N.N.

Rinnovo la mia professione solenne

E di nuovo prometto castità, povertà e obbedienza,

secondo la Regola e le costituzioni dell’Ordine.

Inoltre, prometto di nuovo di non ambire,

né direttamente né indirettamente, alcuna

prelatura, a norma delle costituzioni.

Per intercessione della beata Vergine Maria

E dei nostri Santi Padri Giovanni e Felice,

imploro la grazia divina perché possa adempiere

fedelmente, fino alla morte,

i voti che ora ho rinnovato.

b) Per il rinnovo dei voti temporanei

Nel Nome della Santissima Trinità:

Padre e Figlio e Spirito santo.

Io, N.N.

Ripeto la mia professione

E di nuovo prometto castità, povertà e obbedienza,

secondo la Regola e le costituzioni dell’Ordine.

Per intercessione della beata Vergine Maria

E dei Santi Padri Giovanni e Felice,

imploro la grazia divina

perché possa adempiere fedelmente

i voti che ora ho rinnovato.

[1] Il rinnovo dei voti per devozione si fa ogni anno, come di consuetudine, secondo quanto è disposto del “Rito della Professione religiosa”, nella SOLENNITÀ della SS. Trinità, o nella festa di Tutti i Santi dell’Ordine.