La Orden de la Santísima Trinidad y los cautivos

Regla, Constituciones y Directorio General

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Regola di San Giovanni De Matha approvata da Papa Innocenzo III

Innocenzo, vescovo, servo dei servi di Dio, al diletto figlio Giovanni, Ministro, e ai Frati della Santa Trinità, salute e apostolica benedizione.

Posti, per disposizione della divina clemenza, al vertice della sede apostolica, Noi dobbiamo assecondare i sentimenti religiosi e, quando procedono dalla radice della carità, portarli a compimento, specialmente quando ciò che si cerca è di Gesù Cristo, e l’utilità comune è anteposta a quella privata.

Poiché, dunque, tu, diletto figlio in Cristo, fra Giovanni, Ministro, tempo fa ti presentasti a Noi e ti desti premura di manifestarci umilmente il tuo proposito, che si ritiene aver avuto origine da ispirazione divina, chiedendo che la tua intenzione fosse confermata dall’autorità apostolica, Noi, per meglio conoscere il tuo desiderio, fondato in Cristo, fuori del quale non può essere posto stabile fondamento, giudicammo opportuno invitarti con Nostre Lettere al Venerabile Nostro Fratello (...), vescovo, e al diletto figlio (...), abate di San Vittore, parigini, affinché da essi, che meglio conoscono il tuo desiderio, informati della tua intenzione e del frutto di tale intenzione, della istituzione dell’Ordine e del suo modo di vivere, potessimo con maggiore sicurezza e maggiore efficacia concederti il Nostro assenso.

Poiché, come chiaramente abbiamo conosciuto dalle loro lettere, è evidente che voi desiderate più l’interesse di Cristo che il vostro, Noi, volendo che vi assista la protezione apostolica, con l’autorità delle presenti Lettere, concediamo a voi e ai vostri successori la Regola secondo la quale dovete vivere, il cui contenuto il vescovo e l’abate suddetti ci hanno trasmesso allegato alle loro lettere, insieme a quanto, secondo la Nostra disposizione e la tua richiesta, o figlio, Ministro, abbiamo creduto di dovervi aggiungere; e stabiliamo che la concessione resti immutata in perpetuo. Il loro contenuto abbiamo disposto che, per sua maggiore chiarezza, fosse qui sotto riportato. Nel nome della santa e individua Trinità.

1. I frati della casa della Santa Trinità vivano sotto l’obbedienza del prelato della loro casa, che si chiamerà Ministro, in castità e senza nulla di proprio.

2. Tutti i beni da qualunque parte provengano lecitamente, li dividano in tre parti uguali; ed in quanto due parti saranno sufficienti, compiano con esse opere di misericordia, provvedendo insieme e in giusta misura al proprio sostentamento e a quello dei domestici, che per necessità hanno a servizio. La terza parte, invece, sia riservata per la redenzione degli schiavi che sono stati incarcerati dai pagani per la fede di Cristo: pagando un prezzo ragionevole per il loro riscatto oppure per il riscatto di schiavi pagani, purché poi, a prezzo conveniente e con retta intenzione, sia liberato lo schiavo cristiano commutandolo, secondo meriti e stato delle persone, con lo schiavo pagano.

Qualora fosse stato offerto del denaro o qualche altra cosa, anche se data per uno scopo proprio e specifico, un terzo, sempre con il consenso del donatore, sia messo da parte, altrimenti non venga accettata, eccettuati terreni, parti, vigne, boschi, edifici, allevamenti e cose simili. Gli utili che ne derivano, detratte le spese – tolta cioè, la metà per le spese – siano divisi in tre parti uguali; ma se comportano poca o nessuna spesa, siano tutti divisi. Quando però fossero stati dati, o avessero avuto per iniziativa propria, panni, calzature o cose simili di poco conto, di uso necessario, che non conviene vendere o conservare, non se ne faccia la divisione, a meno che non sia parso conveniente farlo al Ministro della casa dei frati. Di tali cose, se è possibile, se ne liberi in capitolo ogni domenica. Se però le cose suddette, come panni, terreni, allevamenti o cose di poco conto fossero vendute, il prezzo che se ne ricava sia diviso in tre parti, come sopra.

3. Tutte le chiese di questo Ordine siano intitolate al nome della santa Trinità e siano di struttura semplice.

4. I frati in una medesima casa possono essere tre chierici e tre laici, e inoltre uno che sia il procuratore – il quale, come si è detto, non sia chiamato procuratore, ma Ministro: per esempio: fra A., Ministro della casa della Santa Trinità – al quale i frati devono promettere e prestare obbedienza.

5. Il Ministro provveda fedelmente a tutti i suoi frati come se stesso.

6. Gli indumenti siano di lana e bianchi; a ciascuno è permesso avere una sola pelliccia e calzoni che, stando a letto, non devono togliersi.

7. Dormano in stoffe di lana, così da non avere assolutamente nelle proprie case – tranne che per gli ammalati – lettiere morbide o materassi. Possono però avere il guanciale per appoggiarvi il capo.

8. Sui mantelli dei frati siano posti i segni sacri.

9. Non cavalchino cavalli, e neppure li abbiano, ma è loro permesso cavalcare soltanto asini, dati, prestati o presi dai propri allevamenti.

10. Il vino che i frati devono bere sia temperato, di modo che possa bersi con sobrietà.

11. Digiunino dal 13 settembre il lunedì, il mercoledì, il venerdì e il sabato, a meno che non capiti una festa solenne, fino a Pasqua: in modo però che, dall’avvento fino alla Natività del Signore e della quinquagesima fino a Pasqua, eccettuate le

domeniche, digiuno con cibo quaresimale; facciano similmente altri digiuni, che la Chiesa è solita celebrare. Il Ministro può, tuttavia, qualche volta mitigare con discrezione il digiuno a causa dell’età, per viaggio o per altro giusto motivo o, esaminatane la possibilità, anche aumentarlo.

12. È lecito mangiare carni, offerte da persone fuori o prese dai propri allevamenti, nei giorni di domenica da pasqua fino all’avvento del Signore e da Natale fino alla settuagesima, e nella Natività, Epifania e Ascensione del Signore, nell’Assunzione e nella Purificazione della beata Maria e nella festa di tutti i Santi.

13. Nulla comprino per il vitto tranne il pane e il companatico -ossia fave, piselli e legumi del genere- gli erbaggi, l’olio, le uova, il latte, i formaggi e la frutta. Ma non è lecito comprare né carni né pesci né vino, se non per i bisogni degli infermi o dei deboli di salute o dei poveri, oppure nelle grandi solennità. È peraltro permesso comprare animali da allevamento e nutrirli.

Quando però sono in viaggio o in pellegrinaggio, è loro concesso di comprare, ma moderatamente e se è necessario, vino e pesci durante la quaresima; e se viene loro data qualche cosa, vivano di essa e il rimanente lo dividano in tre parti. Ma se si sono messi in viaggio per redimere gli schiavi, tutto quello che viene loro dato, detratte le spese, devono impegnarlo totalmente per la redenzione degli schiavi.

14. Nelle città, nelle borgate o villaggi in cui hanno case proprie, al di fuori di esse, se non eventualmente in casa religiosa, anche se da chiunque pregati, non mangino né bevano assolutamente nulla, fuorché acqua in case oneste; né presumano di pernottare fuori delle predette case. Non mangino né bevano mai in taverne o simili luoghi malfamati. Chi avesse osato ciò, soggiaccia a grave pena, secondo il giudizio del Ministro.

15. Tale sia la carità tra i frati chierici e laici, che abbiano lo stesso cibo, vestito, dormitorio, refettorio e la stessa mensa.

16. Gli infermi dormano e mangino da parte; alla loro assistenza sia deputato qualche converso laico o chierico, che procuri loro le cose necessarie e le somministri come devono essere somministrate. Si ammoniscano tuttavia i malati di non chiedere cibi lauti o troppo sontuosi, contenuti piuttosto di una sobrietà conveniente e sana.

17. (La cura degli ospiti, dei poveri e tutti i viandanti) sia affidata a un frate tra i più prudenti e benevoli, il quale li ascolti e, se ne sarà il caso, dia loro il conforto della carità. Chieda tuttavia a quelli che crede di dover accogliere, se sono disposti ad accontentarsi di quanto viene servito ai frati. Non è certo conveniente che qualcuno sia ammesso a pasti abbondanti e costosi. Ma quel che c’è da dare, lo sia dia con gioia, e a nessuno sia resa offesa per offesa. Se qualcuno, specialmente religioso, chiede ospitalità, sia accolto benevolmente e servito con carità, secondo le possibilità della casa.

Non si dia però agli ospiti né avena né altro al posto dell’avena, se essi si trovano in città o villaggi o dove essa possa trovarsi in vendita, a meno che gli ospiti non siano religiosi, o tali che non l’abbiano a portata di mano e non possono comperarla. Se

poi gli ospiti non l’avessero trovata in vendita e se ne trova nella casa in cui sono stati accolti, sia loro fornita a prezzo conveniente.

18. Nessun frate laico o chierico sia possibilmente senza una sua mansione. Ma se qualcuno non volesse lavorare pur essendone in grado, lo si obblighi a lasciare il suo posto, poiché l’Apostolo dice: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi!”.

19. Osservino il silenzio sempre nella loro chiesa, sempre nel refettorio, sempre nel dormitorio. È però loro permesso parlare di cose necessarie in altri luoghi, in tempi adatti, a bassa voce, con umiltà e decoro; fuori dai luoghi predetti, il loro parlare sia dunque onesto e senza scandalo. Così pure tutto il loro contegno, comportamento, vita, modo di agire e ogni altra cosa siano in essi trovati dignitosi.

20. Se è possibile, ogni domenica nelle singole case il Ministro tenga il capitolo con i suoi frati, e i frati al Ministro e il Ministro ai frati rendano conto fedelmente degli affari della casa e delle cose date alla casa e ai frati, affinché sia destinata la terza parte alla redenzione degli schiavi.

21. Similmente ogni domenica, se è possibile, si faccia una esortazione non solo ai frati, ma anche ai domestici della casa, secondo la loro capacità, e siano esortati con semplicità su quanto devono credere o fare.

22. Su tutte le cose e sugli alterchi i frati siano giudicati in capitolo.

23. Nessun frate accusi pubblicamente un suo confratello, se non può dare una prova sicura. Chi avrà fatto ciò, subisca la pena che avrebbe dovuto subire il reo nel caso che fosse stata provata la sua colpevolezza, a meno che per qualche motivo il Ministro non abbia voluto soprassedere. Quelli che eventualmente avessero dato scandalo o fatto qualche cosa di simile o, non sia mai, si fossero percossi a vicenda, soggiacciano a pena maggiore o minore, a discrezione del Ministro.

Se qualche frate avesse mancato nei confronti di un altro frate, cioè contro un altro frate e lo sappia solo chi ha ricevuto l’offesa, questi sopporti pazientemente anche se è innocente; e quando gli animi si saranno calmati, ammonisca e riprenda l’altro con dolcezza e in modo fraterno da solo a solo fino a tre volte, perché faccia penitenza di ciò che ha commesso, e si astenga in seguito da simili mancanze. Se non gli avrà dato ascolto, lo dica al Ministro e questi lo riprenda in segreto, secondo quello che vedrà conveniente al suo bene.

Se invece chi ha dato scandalo vuol riparare spontaneamente, si distenda con tutta la persona ai piedi dello scandalizzato chiedendo perdono, e se non basta una volta, lo ripeta fino a tre volte. Ma se il fatto avvenuto il pubblico, qualunque sia la penitenza che ne seguirà, questa sia la prima –la prostrazione, cioè di tutto il corpo ai piedi del Ministro con la richiesta del perdono- ; poi sia ripreso a giudizio del medesimo.

24. Il capitolo generale si celebri una volta all’anno, e lo si tenga nell’ottava di pentecoste.

25. Se per necessità della casa si dovesse contrarre qualche debito, questo sia prima proposto ai frati in capitolo, e sia fatto con il loro consiglio e consenso, per evitare così sospetti e mormorazioni.

26. Se qualcuno avesse arrecato danno ai beni della casa e fosse necessario ricorrere al giudica, non lo si faccia prima che egli venga ammonito con carità, in primo luogo dai frati e poi similmente da altri vicini.

27. L’elezione del Ministro sia fatta per comune deliberazione dei frati, e non lo si elegga secondo la dignità dei natali, ma secondo il merito della vita e la dottrina della sapienza. Chi viene eletto sia sacerdote o chierico idoneo agli ordini. Ma il Ministro, sia maggiore che minore, sia sacerdote.

28. Il Ministro maggiore può ascoltare le confessioni dei frati di tutte le comunità del medesimo Ordine. Il Ministro minore invece ascolti le confessioni dei frati della sua casa, purché la vergogna, per qualche ripetuta trasgressione, non offra l’occasione di confessarsi dai propri Superiori più raramente e con minore schiettezza di quanto convenga.

29. Il Ministro provveda con premura a osservare in tutto i precetti della Regola, come gli altri frati.

30. Se dopo essere stato eletto egli meritasse di essere deposto per qualche colpa, sia deposto dal Ministro maggiore, dopo aver convocato tre o quattro Ministri minori, e al suo posto sia messo un altro che ne sia degno. Se però per la distanza dei luoghi o per altra ragionevole causa il Ministro maggiore non potesse fra questo, affidi l’incarico a dei Ministri minori più timorati; e ciò che essi avranno fatto, sia ritenuto ratificato dall’autorità del maggiore.

Se poi per colpe gravi fosse da riprendere o da deporre il Ministro maggiore, ciò sia fatto da quattro o cinque Ministri del medesimo Ordine tra i più timorati, che però devono essere eletti a tale scopo dal capitolo generale.

31. Se qualcuno volesse essere frate di questo Ordine, all’inizio serva Dio nell’Ordine per un anno a spese proprie, tranne il vitto, ritenendo il suo vestiario e tutte le sue cose; e dopo un anno, se al Ministro della casa, ai frati e a lui sembrerà cosa buona e conveniente e vi sarà posto, sia ricevuto. Nulla tuttavia si esiga per la sua ammissione. Se però desse qualche cosa gratuitamente, la si accetti, purché sia tale che non sembri derivarne controversia alla Chiesa. Se sulla condotta di qualcuno vi fossero motivi di dubbio, si faccia, si faccia di lui prova più lunga. Se prima dell’ammissione qualcuno si fosse comportato con insubordinazione o insofferenza della disciplina e, a giudizio del Ministro, non avesse emendato i suoi costumi, gli si dia con semplicità licenza di andarsene con tutto ciò che aveva portato con sé. Nessuno sia ricevuto nell’Ordine se prima non risulta che ha compiuto venti anni. La professione sia rimessa al giudizio del Ministro.

32. Non accettino dalle mani di un laico pegni, decime, con licenza del proprio Vescovo.

33. Non facciano giuramenti, se non per grave necessità con il permesso del Ministro o per ordine del loro Vescovo o di altri che faccia le vece della Sede Apostolica, e ciò per causa onesta e giusta.

34. Se in una cosa messa in vendita è stato notato qualche difetto, lo si indichi al compratore.

35. Non è loro consentito accettare deposito di oro o di argento o di denaro.

36. Nello stesso giorno in cui arriva o viene portato un infermo, questi si confessi dei suoi peccati e si comunichi.

37. Ogni lunedì, eccetto nelle ottave di Pasqua, Pentecoste, Natività del Signore, Circoncisione ed Epifania e nelle festività che vengono proclamate da osservare, finita la messa per i fedeli, si faccia nel cimitero l’assoluzione dei fedeli defunti.

38. Ogni notte, almeno nell’ospizio alla presenza dei poveri, si pregi in comune per lo stato e la pace della Santa Romana Chiesa e di tutta la cristianità, per i benefattori e per coloro per i quali la Chiesa universale è solita pregare.

39. Nelle ore canoniche osservino la consuetudine del beato Vittore, a meno che pause, altre prolissità e uffici notturni non debbano essere tralasciati, su consiglio di uomini pii e devoti, per il lavoro e la scarsità di quelli che svolgono il servizio. Per il loro piccolo numero infatti, non sono tenuti a fare pause tanto lunghe nel salmeggiare, né ad alzarsi tanto presto.

40. Similmente nella rasatura i chierici seguano l’Ordine di San Vittore. I laici invece non radano la barba, ma la lascino crescere modestamente.

A nessuno (assolutamente, è lecito infrangere o contravvenire con temeraria presunzione a questo scritto) della nostra concessione e costituzione.

(Se qualcuno poi osasse tentare di fare ciò, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo).

Dato (nel Laterano, il 17 dicembre dell’anno dell’Incarnazione del Signore 1198, nel primo anno del Nostro Pontificato).

Capitolo I: LEGGI DELL’ORDINE

1. L’Ordine della Santissima Trinità è una famiglia religiosa, fondata con regola propria da san Giovanni de Matha. I suoi membri, vivendo in comunione di vita, per l’edificazione della Chiesa si consacrano con titolo speciale alla Trinità e seguono più da vicino Cristo Redentore. Si dedicano, nel servizio di carità e redenzione, alle persone afflitte da particolari difficoltà per aiutarle specialmente nella fede, e ai poveri.

La Regola di San Giovanni è principio e fondamento dello spirito dell’Ordine. Essa, aggiornata e arricchita nel corso dei secoli dalla tradizione e principalmente dallo spirito e dall’opera del Riformatore Giovanni Battista, viene spiegata secondo l’intendimento della Chiesa e secondo le vigenti costituzioni.

L’Ordine della Santissima Trinità è Ordine clericale di diritto pontificio.

2. Dio Padre ci ha voluti salvi solo per Cristo nello Spirito Santo. Cristo, poi, ha costituito la Chiesa come sacramento universale di salvezza. Chi, dunque, entra nell’Ordine della Santa Trinità si propone principalmente, aderendo in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero, di seguire Cristo con maggiore libertà, di imitarlo più fedelmente con la professione dei consigli evangelici e di tendere alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità [1]. Per raggiungere questa santità, mosso dallo Spirito Santo, si vale dei mezzi proposti nell’Ordine, per unirsi così più intimamente a Cristo, annunciatore del nome del vero Dio, glorificatore del Padre e Redentore del genere umano. Egli, pertanto, cerca con tutte le forze di attendere, coi fatti e nella verità, alla gloria della Trinità e alla redenzione dei fratelli.

3. È dovere dei frati attuare questo genere di vita non solo individualmente, ma anche comunitariamente [2]. Essi, nel loro stile di vita sia personale che comunitario, hanno il diritto dovere di sperimentare e manifestare la Trinità e la Redenzione di Cristo.

Conciliano la pratica della preghiera, la celebrazione dell’Eucarestia e della Liturgia delle Ore, i capitoli e le altre osservanze comuni dell’Ordine, con le opere di apostolato sia caritativo che ministeriale, in maniera tale che sia ritenuta la genuina fisionomia dell’Ordine [3].

Hanno ugualmente cura di conservare quanto è prescritto nella Regola ed è contenuto nelle sacre tradizioni, cioè: la semplicità, l’umiltà, l’uguaglianza fra i frati, la gioia della vita, l’ospitalità, il lavoro assiduo e la comunicazione dei beni, la pratica del silenzio e della preghiera, l’onestà, una certa austerità, la mutua correzione evangelica, e la caratteristica principale di tutta la vita religiosa trinitaria, vale a dire, lo spirito di carità e di servizio [4].

4. La spiritualità trinitaria è costituita da elementi teologici, ascetico-mistici ed apostolici della Chiesa, che l’Ordine però partecipa, vive ed esercita in un certo suo modo peculiare, conformemente al dono ricevuto da Dio.

La vita dedicata in modo speciale alla Santissima Trinità costituisce, sin dalle origini, un elemento essenziale e caratteristico del patrimonio dell’Ordine, arricchito, nel corso dei secoli, dalla tradizione.

Perciò i frati, in quanto incorporati all’Ordine, si consacrano per nuovo e speciale titolo alla Trinità, “avendo Dio, tra gli altri religiosi, fatto di noi dei vasi di elezione, perché portiamo per tutto il mondo il nome ammirabile della Santissima Trinità” [5].

Da questa coscienza trinitaria vivamente percepita, per la quale intendono progredire nell’intima comunione con il Padre per il Figlio nello Spirito Santo [6], fluisce costantemente tutta la loro vita spirituale e liturgica, religiosa, comunitaria e apostolica e il suo rinnovamento, in un continuo aumento della carità verso Dio e verso il prossimo.

5. Lo spirito dell’Ordine, il suo progetto e il suo stile di vita “derivano dalla radice della carità” [7]. I nostri Padri, infatti, preoccupati dei pericoli ai quali era esposta la fede, e mossi a pietà delle miserie umane, vollero apportare rimedi spirituali e sociali ai mali più urgenti del loro tempo, specialmente alla schiavitù dei cristiani.

È dunque compito e dovere dell’Ordine, considerati l’evoluzione e il progresso dell’odierna società, prestare il servizio di misericordia e redenzione, perché entrino “nella libertà della gloria dei figli di Dio” Rm 8, 21:

a) alle persone che soffrono persecuzione per Cristo, o la cui fede cristiana è in pericolo o viene impedita;

b) a coloro che sono privati dei diritti di libertà e di giustizia e sono sottoposti a dolori e tormenti nel corpo e nello spirito, ai poveri e ai derelitti, soccorrendoli con opere di misericordia e con altre iniziative di assistenza e di promozione;

c) ai popoli che ancora non credono in Cristo, assumendo l’impegno di propagare il Vangelo e di impiantare fra essi la Chiesa; cosa che l’Ordine adempirà secondo il proprio spirito e la propria indole, specialmente nelle regioni in cui si desidera che sia maggiormente promosso il progresso dei popoli;

d) ai fedeli per aiutarli o fortificarli nella fede con il servizio ministeriale, svolgendo l’azione apostolica, secondo il proprio spirito e la propria indole, nelle varie mansioni che la Chiesa ha affidato all’Ordine.

6. Tutta la vita dell’Ordine e il suo continuo rinnovamento dipendono massimamente dalla formazione dei membri. Tale formazione, tuttavia, deve essere compiuta in maniera che, nella fusione armonica dei vari elementi, favorisca l’unità di vita dei membri [8].

7. Cristo ha anche affidato alla Chiesa il ministero di governo [9], da esercitare per il bene delle anime. Pertanto il nostro Ordine, che per la sua indole clericale partecipa alla potestà ecclesiastica di governo [10], ordina e dirige la vita e l’attività dei frati verso la perfezione della carità, con l’aiuto di norme e col servizio della legittima autorità.

Le norme principali dell’Ordine sono contenute nelle costituzioni, nel direttorio generale e nei vari statuti.

L’autorità dell’Ordine è:

a) collegiale, e risiede nei vari capitoli, congregazioni e, talvolta, nei Consigli dell’Ordine, a norma di queste costituzioni;

b) personale, che solo può esercitare un frate sacerdote, che “è chiamato Ministro” [11]: Ministro maggiore generale, in tutto l’Ordine; Ministro provinciale, nelle singole province e giurisdizioni ad esse equiparate; Ministro locale, nelle case religiose.

8. Sin dall’inizio del nostro Ordine, i fedeli, anche riuniti nel corso dei secoli in istituti ed associazioni, partecipano dello spirito del primo Ordine e, in comunione di amore, nella cooperazione all’attività e alla vita dei frati, sono legati all’Ordine in vari modi e in gradi diversi.

Essi, insigni del medesimo titolo della Santissima Trinità e animati in diverse maniere dal medesimo spirito peculiare, ricercano la gloria della Santissima Trinità e la redenzione delle persone, e costituiscono insieme con noi, la famiglia trinitaria.

9. L’indole e la missione del nostro Ordine nella Chiesa vengono, per varie ragioni, convenientemente espresse nella forma simbolica di uno stemma.

Lo stemma dell’Ordine è quello usato fin dai primi tempi dell’Istituto, e che si vede rappresentato in mosaico sulla porta principale di San Tommaso in Formis a Roma, cioè: Cristo Redentore che tiene nelle sue mani due uomini con catene alle tibie, e intorno scritta la dicitura: “Signum Ordinis Sanctae Trinitatis et Captivorum”.

L’abito, segno della nostra consacrazione [12] e della nostra fraternità, consta, secondo la tradizione recepita nell’Ordine, di una tonaca bianca con cintura nera, scapolare bianco al quale è sovrapposta una croce di colore rosso e azzurro, e cappuccio ugualmente bianco [13].

Il nome o titolo dell’Istituto è: “Ordine della Santissima Trinità”, [14] la sua sigla: “O.SS.T.”.

10. Chi per misericordia di Dio Padre è chiamato alla vita religiosa e diviene partecipe del patrimonio dell’Ordine, con animo libero ringrazi per così gran beneficio l’augusta Trinità, e “si adoperi con tutte le forze a perseverare e maggiormente eccellere nella vocazione, a cui Dio l’ha chiamato, per una feconda santità della Chiesa, a maggior gloria della Trinità una e indivisa, che in Cristo e per mezzo di Cristo è la fonte e l’origine di ogni santità” [15].

Capitolo II: PROFESSIONE RELIGIOSA NELL’ORDINE

11. La professione religiosa è la libera e gioiosa risposta a Cristo, che invita a seguirlo più da vicino per mezzo della pratica del consigli evangelici [16]. Essa esprime più pienamente la consacrazione battesimale; unisce più intimamente quelli che fanno la professione al sacrificio Eucaristico di Cristo a lode della Trinità; manifesta i beni celesti, già presenti in questo mondo, e preannunzia la gioia del Regno [17].

La Chiesa accoglie, con azione liturgica, la donazione di quelli che professano, e li unisce in modo speciale a sé e al suo mistero, perché si dedichino alla santificazione personale e al bene della Chiesa [18].

12. La vita religiosa giova grandemente al vero progresso della persona umana e della società [19]; infatti, l’adesione all’invito di Cristo aiuta l’uomo a promuovere una solida maturità della persona [20] e a permanere la società dei valori umani e cristiani, come anche a collaborare validamente “perché l’edificazione della città terrena sia sempre fondata nel Signore e a Lui diretta” [21].

13. Il frate, in forza della professione religiosa con la quale assume l’obbligo di osservare i consigli evangelici con voto pubblico, viene incorporato all’Ordine e diviene partecipe della comunione dei beni, dei doveri e dei diritti secondo le norme dell’Istituto [22], e promette di seguire fedelmente la forma di vita propria dell’Ordine, secondo lo spirito del Fondatore e le sane tradizioni dell’Istituto: cose che conferiscono alla propria consacrazione un significato e una forma particolare [23].

Voto di castità

14. La castità perfetta per il Regno dei cieli è un prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni [24], con il quale lo Spirito consacra a Cristo in modo singolare coloro che la professano affinché, accesi di amore divino, si donino con il cuore indiviso alla santa Trinità.

Infatti, con il voto di castità il frate, secondo l’esempio di Cristo e fiducioso nel suo aiuto, si obbliga ad osservare la perfetta continenza nel celibato e a vivere, per nuovo titolo, castamente nel corpo e nello spirito, di modo che, particolarmente libero, serva con tutto l’ardore Dio e il prossimo [25].

15. La castità esprime in modo eccellente il mistero dell’unione della Chiesa con il suo Capo e, segno e stimolo della carità, diviene speciale sorgente di fecondità spirituale nel mondo [26]. Essa, infine, manifesta il senso della vita futura, nella quale si raggiunge, in maniera del tutto nuova, appagamento pieno di ogni bisogno affettivo [27].

16. Il frate, quindi, stimi molto la continenza perfetta, che “è sempre stata tenuta in singolare onore dalla Chiesa” [28], e realizzi ininterrottamente l’esigenza ispirategli dal Signore, amando in opere e verità Dio e tutti gli uomini [29].

17. Per conservare la continenza, il frate usa i mezzi sia naturali che soprannaturali “garantiti dall’esperienza della Chiesa” [30], specialmente l’intima familiarità con la divina Trinità, che abita in noi come in tempio, l’unione amichevole con Cristo nella vita sacramentale, la pietà filiale verso la beata Vergine Maria e , infine, il vero amore fraterno nella vita comune [31].

Voto di povertà

18. La povertà religiosa è una partecipazione alla povertà di Cristo, “il quale da ricco che era si è fatto povero per noi, per farci ricchi con la sua povertà” (Cfr. 2 Cor. 8, 9). Il Cristo crocifisso mostra il radicalismo e il fine della povertà [32].

Il religioso emettendo questo voto si unisce più strettamente a Cristo povero e che redime il mondo; sceglie Dio come suo unico bene, e attesta così, in modo eccellente, la superiorità dei beni del cielo su quelli della terra [33].

19. Con il voto di povertà il frate si obbliga a vivere “senza nulla di proprio”, e oltre ad una vita povera di fatto e di spirito, so obbliga alla dipendenza e alla limitazione nell’usare e nel disporre dei beni [34].

Pertanto, affidandosi alla provvidenza di Dio:

a) avanti la prima professione, pur conservando la proprietà dei suoi beni e la capacità di acquistarne altri, cede tuttavia l’amministrazione di essi a chi preferisce, e dispone liberamente del loro uso ed usufrutto per il tempo che durerà la sua professione temporanea [35];

b) poco prima della professione solenne, sotto condizione che poi essa sia emessa, rinuncia, a favore di chi vuole, a tutti i beni che attualmente possiede, possibilmente in forma valida anche secondo il diritto civile [36];

c) tutto ciò che il frate acquista con la propria industria o a motivo dell’Ordine, rimane acquistato dall’Ordine stesso. Ciò che riceve come pensione, sussidio, assicurazione, a qualunque titolo, rimane acquisito dall’Ordine, secondo le norme del direttorio generale [37].

20. Mosso da questa povertà evangelica, il frate compartecipa volentieri ai fratelli anche tutti i suoi beni intellettuali e spirituali e, aderendo allo spirito della Regola, come anche per l’onesto sostentamento suo e dei frati, si rende soggetto alla comune legge del lavoro [38].

Nell’Ordine la povertà riveste anche una forma di compartecipazione dei beni [39].

21. Poiché, però, alla povertà dell’Ordine è sempre unita una attiva carità redentiva, sospinti dallo spirito della “terza parte” di cui parla la Regola, i frati e le comunità provvedano con generosa sollecitudine perché i poveri e gli oppressi dalle diverse forme di schiavitù, come anche le iniziative dell’Ordine e le necessità della Chiesa siano compartecipi dei proventi del lavoro e degli altri beni “da qualsiasi parte essi lecitamente provengano” [40].

22. Le chiese dell’Ordine e gli altri edifici destinati all’uso dei frati siano costruiti in modo adeguato o, come si dice, in modo funzionale, conformi, però, alla sobrietà e povertà religiosa, perché si dia testimonianza collettiva di povertà [41].

23. La prudente e retta amministrazione dei beni temporali e le opportune supervisioni dell’autorità competente, di cui al capitolo VIII delle presenti costituzioni, sono inerenti alla povertà religiosa.

24. Tocca ai capitoli conventuali, provinciali e generali curare continuamente che il modo di vivere dei singoli frati, delle stesse comunità e delle provincie sia, di fatto e di spirito, consono alla povertà, che deve essere testimoniata, se necessario, anche con nuove forme [42].

Voto di obbedienza

25. L’obbedienza religiosa esige che tutta la comunità si impegni ad ascoltare la voce di Dio, e a ricreare e mettere in pratica la volontà divina. Il frate offre a Dio la propria volontà come sacrificio di se stesso, per aderire con più sicurezza e fermezza alla volontà salvifica del Padre, sull’esempio di Cristo, che si fece obbediente fino alla morte e diede la sua vita in riscatto per molti [43].

26. Il voto di obbedienza, emesso dal frate sotto la mozione dello Spirito Santo, obbliga alla sottomissione della volontà ai legittimi Superiori che fanno le veci di Dio, quando comandano secondo le proprie costituzioni [44].

I precetti, però, obbligano gravemente in forza del voto, solo se ingiunti dall’autorità competente che, nel caso, oltre al capitolo e alla congregazione generale e provinciale, è il Superiore maggiore da solo o con il suo consiglio su cose di grande importanza, secondo le costituzioni e in termini che significano chiaramente la volontà di obbligare in tale modo.

Detti precetti devono essere ingiunti in scritto o dinanzi a due testimoni.

I singoli membri dell’Ordine sono tenuti ad obbedire al Sommo Pontefice, come loro Superiore supremo, anche in forza del vincolo sacro di obbedienza [45].

27. I Ministri esercitino l’autorità in spirito di servizio verso i fratelli [46], e in tutto ciò comandano, non si propongono altro, che di guidare la volontà dei frati alla perfetta unione con la volontà di Dio, nella qual cosa si trova il bene della comunità e dei singoli [47].

Ma perché ogni cosa nella comunità proceda per il meglio, essi tessi osservino in tutto, come gli altri frati, i precetti della Chiesa e della Regola [48]; ferma restando, tuttavia, la legittima facoltà di decidere e di comandare ciò che va fatto, essi ascoltino volentieri i frati, chiedano il loro consenso o il loro consiglio secondo i casi, e promuovano la loro concorde collaborazione per il bene della Chiesa e dell’Ordine [49].

28. I frati, in spirito di fede e di amore, nell’eseguire gli ordini o nel compimento dei loro incarichi oppure nell’assumere iniziative, cooperino con obbedienza attiva e responsabile, mettendo a disposizione tanto le energie della mente e della volontà quanto i doni di natura e di grazia, sapendo di prestare la propria opera per l’edificazione della Chiesa e dell’Ordine [50].

Ogni frate può assumere iniziative, anche di una certa importanza, con il consenso della legittima autorità e senza imporre minimamente oneri alla comunità.

Voto di non ambire

29. Cristo Signore, pur essendo Dio, Spogliò se stesso, prendendo la natura di servo (Cfr. Fil 2, 6-7), per servire in carità e umiltà i fratelli e per “dare la vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45).

La Regola dell’Ordine appare profondamente impregnata di questa umiltà e carità; perciò i membri che la professano, seguono più da vicino l’umiliazione di Cristo e diventano maggiormente idonei a continuare l’opera di redenzione e a prestare il loro servizio agli umili.

Per questo motivo, sin dalla riforma dell’Ordine, i frati nella professione solenne, dopo i tre voti di castità, povertà e obbedienza, emettono il voto di non ambire, con il quale pubblicamente promettono di non aspirare mai, né direttamente né indirettamente, ad alcuna prelatura fuori dell’Ordine e ad uffici di governo nell’Ordine.

I frati, pervasi dello spirito di questo voto, evitano gli onori umani; così infatti non diventano “bramosi di vanagloria” (Gal 5, 26) [51], ma la loro vita “è nascosta con Cristo in Dio” (Col 3, 3).

30. FORMULE DELLA PROFESSONE [52]

a) Per la professione dei voi temporanei

Io, N.N...
Faccio la mia professione,
e davanti alla comunità e nelle tue mani, N.N. faccio voto alla Santissima Trinità
di castità povertà e obbedienza per un anno, secondo la Regola e le costituzioni

dell’Ordine della Santissima Trinità.

Le parole seguenti devono essere pronunziate dai singoli:

Così prometto con voto;
e per la grazia dello Spirito Santo,
per intercessione della beata Vergine Maria
e dei nostri santi Padri Giovanni e Felice,
mi aiuti a custodire fedelmente
quanto ora ho promesso.
b) Per la rinnovazione dei voti prescritta dal diritto Nel nome della Santissima Trinità:
Padre e Figlio e Spirito Santo.
Io, N.N.
Ripeto la mia professione
E prometto di nuovo per un anno
Castità, povertà e obbedienza,
secondo la Regola e le costituzioni
dell’Ordine della Santissima Trinità.
c) Per l’emissione dei voti solenni
Io, N.N.
Chiamato dal Padre nel suo disegno d’amore,
e mosso dallo Spirito Santo
a seguire più da vicino Cristo Redentore,
nella ferma volontà di consacrarmi più intimamente
alla Santissima Trinità con la professione solenne, davanti alla Chiesa e alla presenza della comunità,
nelle tue mani, N.N.
faccio voto di perpetua castità, povertà e obbedienza

secondo la Regola e le costituzioni
dell’Ordine della Santissima Trinità,
e mi dono con tutto il cuore a questa famiglia religiosa. INOLTRE, volendo in spirito di umiltà e di servizio Rinunziare a onori e privilegi,
faccio voto di non ambire direttamente
né indirettamente alcuna prelatura,
a norma delle costituzioni dell’Ordine
Così prometto solennemente con voto.
Con la grazia dello Spirito Santo
E l’aiuto della beata Vergine Maria
E dei nostri Santi Padri Giovanni e Felice,
prometto di adempiere fedelmente “fino alla morte” questi miei propositi,
per vivere nelle perfetta carità
al servizio di Dio e della Chiesa.

Capitolo III: VITA COMUNE NELLA FRATERNITÀ

31. La vita comune, ad esempio della Chiesa primitiva in cui la moltitudine dei cristiani era un cuor solo ed un’anima sola (Cfr. At 4, 32), consiste nell’unità della stessa consacrazione, spirito, amore, preghiera e attività. Essa infatti, di molti membri guidati dallo spirito del Padre, forma una sola famiglia raccolta nel nome Signore, che gode della sua presenza (Cfr. Mt 18, 20) e la manifesta, e rende più efficace l’azione apostolica alla quale i singoli membri si dedicano.

32. Così si presenta il nostro Ordine in quanto comunità ecclesiale, “come un popolo adunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”[53].

I frati si sforzino, perciò, per vivere nella vita comunitaria quella perfetta comunione che esiste tra le divine Persone, esprimendo l’unità nella pluralità e la pluralità nell’unità.

La comunità dei frati deve abitare in una casa legittimamente costituita, sotto l’autorità del Ministro designato a norma di diritto. Le singole case devono avere almeno un oratorio, in cui si celebri e si conservi l’Eucaristia, in modo che sia veramente il centro della comunità [54].

33. La vita comune progredisce nell’osservanza della stessa Regola e delle stesse costituzioni, per cui i membri intervengono agli atti conventuali e partecipano degli stessi diritti e doveri, anche se ai singoli vengono giustamente assegnati incarichi diversi, come a membra bene ordinate di un medesimo corpo.

34. La comunità trinitaria nasce e cresce nell’intima comunione con Dio il quale si manifesta specialmente nell’ascolto frequente della Parola, nel confronto con essa, e nella celebrazione della liturgia particolarmente dell’Eucaristia e della Penitenza.

Essa si rafforza e fiorisce nella sincera ed aperta conversazione tra i frati; conversazione che si manifesta nel frequente dialogo interpersonale e comunitario, nella reciproca sopportazione, nella gioiosa compartecipazione dei beni spirituali e nel mutuo servizio di carità, prestato di vero cuore [55].

Presiede i frati il Ministro che, in spirito di servizio, esercita la sua autorità soprattutto come animatore della comunità.

35. La vita comune esige dai frati l’accettazione di quanto la Chiesa e l’Ordine propongono da osservare.

Oltre a quanto contenuto altrove nella legislazione dell’Ordine, vi sono certe osservanze particolari che riguardano sia la vita della comunità locale, sia, fatti i debiti riferimenti, quella della comunità provinciale e dell’Ordine.

-I frati portino l’abito dell’ordine, fatto a norma del diritto proprio, quale segno della propria consacrazione e della nostra fraternità [56].

Il Ministro generale può permettere l’uso di altri vestiti, quando vi sono ragioni particolari e fino a quando esse perdurano.

-I frati “devono abitare nella propria casa religiosa osservando la vita comune e non possono assentarsene senza licenza del Superiore” [57].

Nel concedere la suddetta licenza, siano osservate le norme del diritto universale e proprio.

-In tutte le case, a differenza dell’intimità e del e del raccoglimento, del lavoro e del bene comune dei frati, si osservi la clausura, “in modo che vi sia sempre una parte della casa riservata esclusivamente ai religiosi” [58].

-“Nel fare uso degli strumenti di comunicazione si osservi la necessaria discrezione e si eviti tutto quanto può nuocere alla propria vocazione e mettere in pericolo la castità di una persona consacrata” [59].

-La mensa comune, la ricreazione, i capitoli e le altre riunioni della comunità, con le quali la vita comune si rafforza e si rende visibile, siano da tutti tenute in grande considerazione.

-La cura dei frati infermi, con la quale la comunità esercita un amore particolare per le sue membra più deboli, e l’accoglienza benevola e gioiosa degli ospiti, siano praticate in maniera tale che sempre di più si fomenti l’unione fra tutti i membri dell’Ordine.

-I frati che “passati da questa vita stanno purificandosi”, vengano suffragati secondo l’antichissimo uso della Chiesa e dell’Ordine, a norma del direttorio generale, specialmente con la celebrazione, in ogni casa dell’Ordine, del sacrificio della Messa nei giorni stabiliti.

Poiché simili osservanze esigono particolari disposizioni secondo le varie condizioni di tempi e luoghi, di esse si tratta nel direttorio generale e negli statuti delle province.

Capitolo IV: VITA SPIRITUALE

36. I dogmi principali della nostra fede: Trinità e Redenzione, sono il fondamento dottrinale della spiritualità dell’Ordine. Ma questa spiritualità si traduce nella vita e nell’azione quando i frati, mossi dallo Spirito Santo, cercano di conformarsi a Cristo:

-glorificatore della Triade augusta, in tutto il proprio comportamento, consacrandosi alla Santissima Trinità nella pratica dei consigli, della liturgia, della ascesi e della preghiera;

-Redentore del genere umano, operando fattivamente per il bene materiale e spirituale degli oppressi, dei derelitti, dei bisognosi e di coloro che, per qualsiasi ragione, si trovano nel pericolo di perdere la fede.

Il mistero della Trinità è considerato dai frati specialmente come Dio-Amore, e pertanto come fonte prima, esempio massimo e fine ultimo della carità redentiva verso il prossimo; bisogna quindi che i frati si impegnino e si diano senza risparmio all’opera della redenzione umana, che viene compiuta dal Padre per il Figlio nello Spirito Santo.

37. In questo modo i nostri religiosi progrediscono con animo alacre e gioioso nella santità, ricevuta nel battesimo, concordi e unanimi nella preghiera, nella penitenza e nell’operoso servizio fraterno, nella vigile attesa della venuta di Cristo [60].

Vita liturgica

38. I membri dell’Ordine incontrano Cristo innanzitutto nella sacra liturgia [61]. In essa infatti Cristo annuncia ancora il suo Vangelo, ci ristora con il suo Corpo e con il suo Sangue e, mediante i sacramenti della fede, nell’azione vivificante dello Spirito Santo, ci associa alla sua opera salvifica; così noi partecipiamo, pregustandola, alla eterna e celeste liturgia [62].

Essi, celebrando consapevolmente e attivamente la liturgia, veramente come “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo di acquisto” (1 Pt 2, 9), lodano Dio in mezzo alla Chiesa, e sono trascinati e infiammati dalla urgente carità di Cristo che si è fatto servo di tutti [63].

Santissima Eucarestia

39. Il sacrificio è il centro di tutto il culto liturgico e della vita della comunità. Con questa celebrazione, infatti, si ottiene la perfetta glorificazione della Santissima

Trinità, e “si attua l’opera della nostra redenzione”[64], si scopre così il vero senso della propria consacrazione.

I frati, infatti, nella comunione con Cristo, che è via, verità e vita, si confermano nella fede, nella speranza e nella carità e, partecipando alla gloria e alla gioia del mistero eucaristico e, nell’oblazione di sé, inerendo in modo comunitario all’azione redentrice di Cristo, si congiungono in fraterno vincolo nel realizzare le medesime finalità, che promuovono l’amore di Dio e il servizio del prossimo, così che la stessa comunità diventi una sola fraternità.

40. I frati si adoperino volentieri perché l’Eucarestia diventi realmente culmine e fonte di tutta la loro vita [65].

Si impegnino per celebrare o praticare ogni giorno al sacrificio eucaristico [66].

Nelle domeniche e nelle feste più grandi della Chiesa e dell’Ordine, celebrino l’Eucarestia con maggiore solennità e, per quanto possibile, comunitariamente.

41. Per fomentare sempre più la vita eucaristica, si raccomandano vivamente, in onore di così grande mistero, gli altri esercizi di pietà, recepiti dal venerando uso della Chiesa e della tradizione dell’Ordine.

I frati, inoltre, abbiano a cuore “il dialogo quotidiano con Cristo Signore nella visita e nel culto personale della Santissima Eucarestia” [67].

Liturgia delle ore

42. La Liturgia delle Ore è la preghiera pubblica che la Chiesa, unita al Cristo suo sposo, innalza ogni giorno a gloria di Dio Padre; così, in modo eccellente, continua senza interruzione il culto che viene reso a Dio per mezzo della celebrazione del mistero eucaristico [68].

Perciò l’ufficio divino, che sin dalle origini dell’Ordine è in vigore presso di noi, ordinato in modo da consacrare tutto il corso della giornata con la lode di Dio, deve essere assolto in maniera da diventare veramente sorgente di pietà, nutrimento della preghiera personale e incremento del ministero [69].

43. Nelle nostre comunità, d’ordinario nella chiesa o nell’oratorio, i religiosi celebrano in comune la Liturgia delle Ore, secondo il rito e la forma della Chiesa.

44. Fermo restando quanto disposto nel can. 276, & 2. 3, i frati professi solenni recitino da soli quelle Ore canoniche che non avessero assolto nella recitazione comune, salva, tuttavia, la facoltà dei frati cooperatori di commutare le Ore con altra preghiera o lettura, prevista nel Rituale dell’Ordine; gli altri frati cerchino di recitare in privato almeno le Lodi, Vespri e Compieta, in modo da compiere la preghiera pubblica della Chiesa.

Lettura divina e spirituale

45. I nostri religiosi “abbiano quotidianamente fra le mani la Sacra Scrittura” [70], affinché nella sua lettura assidua apprendano[19] la “sublime scienza di Gesù Cristo” (Fil 3, 8). In essa, infatti, il Padre celeste parla amorevolmente ai suoi figli e per mezzo di essa, ispirata dallo Spirito Santo, si instaura il colloquio con il Figlio di Dio, che è la sua Parola.

I frati, durante tutta la loro vita religiosa, abbiano in grandissima stima lo studio e la meditazione della Parola divina [71].

Si promuova con massima cura nelle nostre comunità la celebrazione della Parola di Dio, specialmente nei tempi di avvento e di quaresima e in altre occasioni più opportune per il profitto spirituale dei religiosi [72].

Salvo, però, il dispositivo del can. 764, per predicare abitualmente ai nostri religiosi nelle chiese o oratori dell’Ordine, si richiede la licenza del Superiore maggiore; in casi particolari è sufficiente il permesso del Ministro locale.

46. I nostri religiosi coltivino non solo la lettura e lo studio della Sacra Scrittura, ma anche della Regola e delle costituzioni, dei Santi Padri, dei documenti della Chiesa e dell’Ordine e di provati scrittori che trattano di dottrina spirituale.

Preghiera mentale e vocale

47. “La vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola sacra liturgia”; chi è tenuto a “pregare senza interruzione” è chiamato a pregare in comune e a parlare in segreto con il Padre [73].

48. Ma perché i frati possano penetrare più profondamente il mistero di Cristo, dedichino maggiore spazio all’orazione mentale invece che alla molteplicità delle preghiera [74].

La mediazione o orazione mentale comunitaria, il cui tempo, modo e luogo viene stabilito dal capitolo conventuale, sia fatta ogni giorno almeno per mezz’ora.

49. I nostri religiosi fomentino con zelo gli esercizi di pietà raccomandati dall’uso della Chiesa, ed abbiano in grande stima sia le orazioni che le funzioni solenni che, secondo l’uso, vengono celebrate nell’Ordine.

Nello spirito della Regola si preghi ogni giorno in comune per il Sommo Pontefice e per l’Episcopato della Chiesa, per le necessità del mondo, per il Popolo santo di Dio e per la nostra famiglia trinitaria, per gli schiavi e i poveri, per i genitori e i benefattori.

Culto della Santissima Trinità

50. I nostri frati onorino con tutte le forze e con speciale devozione la Santissima Trinità, e cerchino nella propria vita di “rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato, rinnovandosi e purificandosi continuamente sotto la guida dello Spirito Santo” [75].

Perché possano ottenere ciò che pienamente, tra gli altri esercizi ammessi nell’Ordine, cerchino di conservare i seguenti:

-intitolare case e chiese alla Santissima Trinità;

-celebrare solennemente ogni anno la festa dell’augusta Trinità, titolare dell’Ordine, solennità nella quale venga rinnovata la consacrazione a questo mistero;

-celebrare il giovedì, quando non lo vietano le rubriche, la Messa votiva e l’Ufficio della Trinità;

-recitare ogni giorno la corona del trisagio [76].

Si ricordino poi, che ogni cosa fatta a gloria della Trinità, li conduce a vivere una vita di amore e di comunione con le Tre Persone, e che in questa vita consiste la loro speciale vocazione.

Culto del Santissimo Redentore

51. Poiché Dio Padre ha voluto benignamente rivelarsi a noi per il Figlio nello Spirito Santo specialmente nell’economia della salvezza, un solo e medesimo vincolo lega i nostri frati sia alla Santissima Trinità che a Cristo Redentore. Per questo i nostri Padri si conformano a Cristo Redentore nell’esercizio delle opere di misericordia e, tributandogli venerazione e amore, esercitarono virtù eroiche nel redimere gli schiavi e nel soccorrere gli infermi talora colpiti anche dalla peste, con pericolo perfino della loro vita.

I nostri frati, quindi, si sforzino con impegno per rivestirsi dei sentimenti di misericordia di Cristo Redentore, meditino assiduamente il mistero della sua passione e, per rendere culto a Cristo legato e sofferente, celebrino con solennità la sua festa, sotto il titolo “Gesù Nazareno”.

Culto della Beata Maria Vergine, Madre di Dio

52. Come “Madre del Figlio di Dio”, Maria è “figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo”; ella “consacrò tutta se stessa al mistero della redenzione degli uomini”. Fu l’umile ancella del Signore “singolare membro” e madre della Chiesa, nonché segno ed esempio luminoso della consacrazione religiosa, poiché ci ha preceduti nella sequela di Cristo e, in modo eminente e singolare, ci ha dato ed è il modello di servizio alla Chiesa [77].

Perciò i frati, per crescere quotidianamente nella santità e portare frutti più abbondanti di apostolato, nutrano per la Vergine Maria sentimenti di pietà filiale e di vera devozione, e fomentino il suo culto, venerandola, secondo l’antichissima tradizione dell’Ordine, sotto il titolo di Beata Vergine del Buon Rimedio, patrona principale del nostro Ordine [78], recitando il rosario e celebrando il sabato, secondo le rubriche, la Messa votiva e la Liturgia delle Ore.

Culto dei Santi dell’Ordine

53. I frati venerano con amore filiale il santo Fondatore Giovanni de Matha che, risplendente di ardente carità verso la Santissima Trinità e verso i poveri e gli schiavi, costituisce per noi un esempio straordinario.

Così pure coltivano speciale devozione a San Felice, al santo Rifondatore Giovanni Battista della Concezione, e agli altri santi del nostro Ordine, i cui esempi di virtù cercano di imitare con tutte le loro forze.

Esame di coscienza

54. Per maggiormente fomentare la conversione e purificare lo spirito, giova molto l’esame di coscienza quotidiano, che nell’ascesi cristiana è sempre stato tenuto in grande stima.

I nostri religiosi lo facciano ogni giorno in comune per alcuni minuti [79] e, per quanto è possibile, durante la Compieta [80].

Rito spirituale

55. Si faccia in ogni casa una volta al mese il ritiro spirituale, nella maniera stabilita dal capitolo conventuale [81].

In occasione di questo ritiro, si tenga opportunamente il capitolo di rinnovazione di vita.

Esercizi spirituali

56. I nostri frati, per rinnovare la loro vita spirituale e nutrire la loro vocazione trinitaria, attendano per alcuni giorni durante l’anno gli esercizi spirituali, secondo gli statuti di ciascuna provincia [82].

Silenzio

57. La vita interiore richiede certi tempi di silenzio, perché il religioso “possa ascoltare Dio che parla al suo cuore e sperimentare l’intima comunione con Lui”. La fede, infatti, la speranza, l’amore di Dio e “l’affetto fraterno, aperto al mistero degli altri, comportano, quasi come postulato, necessità del silenzio” [83].

Pertanto, i nostri frati, secondo il precetto della Regola trinitaria, abbiano cura di osservare il silenzio.

Il direttorio e gli statuti provinciali stabiliscano quando e in quali luoghi il silenzio debba essere rigorosamente osservato.

Penitenza

58. La Chiesa, santa e pur sempre bisognosa di purificazione, pratica continuamente la penitenza e il rinnovamento.

Tra le tentazioni e le tribolazioni del cammino è sostenuta dalla forza della grazia di Dio, “affinché per l’umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà, ma permanga degna sposa del suo Signore e, sotto l’azione dello Spirito Santo, non cessi di rinnovare se stessa” [84].

a) Sacramento della Penitenza

59. La Chiesa, per adempiere fedelmente l’obbligo di purificarsi e rinnovarsi, ricevette dal suo sposo divino, come dono, il sacramento della Penitenza o riconciliazione, con il quale il dono primario della “metanoia” o conversione al regno di Cristo, ricevuto un giorno con il battesimo, viene restaurato e fortificato.

Con questo sacramento il frate che, per grazia di Dio misericordioso, intraprende il cammino della Penitenza, ritorna al Padre, che “ci ha amati per primo” (Gal 2, 26), e allo Spirito Santo che è stato effuso in noi abbondantemente.

Pertanto il religioso, spinto da tale spirito di conversione, perché possa tradurre in pratica la vera “metanoia” e possa raggiungere una unione più piena con il Corpo mistico di Cristo, si accosti con frequenza al sacramento della Penitenza [85].

b) Virtù della penitenza

60. La conversione comprende il rinnovamento di tutta la vita dell’uomo; perciò i religiosi, come membri di una comunità penitente, abbracciano la croce, che è prova dell’amore più grande, ed esprime un arcano rapporto di unione “tra la rinuncia e la gioia ... tra il sacrificio e la grandezza d’animo, tra la disciplina e la libertà spirituale” [86].

I frati, quindi, benché l’osservanza costante dei voti, l’adempimento degli obblighi, la gioiosa accettazione delle difficoltà, derivanti dal lavoro o dall’apostolato e dalla vita comune, siano da ritenere come vere forme di penitenza, non tralascino, tuttavia, quegli esercizi spirituali di penitenza, che la Chiesa universale o locale prescrive o che la Regola impone, adattati però alla mentalità e ai costumi dei popoli.

61. Nelle nostre comunità, con la liturgia e la Chiesa, sia strettamente osservato il tempo di quaresima, come particolare periodo di penitenza [87].

Tutti i venerdì dell’anno siano ritenuti, secondo le prescrizioni della Chiesa, come giorni penitenziali [88].

Il tempo di avvento, invece, sia celebrato, secondo l’uso della Chiesa e lo spirito dell’Ordine, nella vigile attesa di Cristo e nella risoluta conversione del cuore.

Oltre a quanto stabilito dalla Chiesa, gli statuti di ogni provincia determinino forme, anche nuove, di penitenza, la cui attivazione pratica è rimessa alle definizioni dei capitoli conventuali.

62. Inoltre i nostri religiosi pratichino, a testimonianza di povertà e di carità, tutte quelle forme penitenziali che comportano un certo risparmio, perché possano compiere opere di misericordia.

Esortazione

63. I frati, pertanto, seguendo l’esempio mirabile della Beata Maria Vergine e dei nostri Padre che fiorirono nella santità, specialmente del Fondatore e del Rifondatore, conducano una vita santa, conservando integra la fede, la speranza, sincera la carità [89].

Capitolo V: APOSTOLATO DELL’ORDINE

64. I frati, intimamente consacrati alla Chiesa al suo mistero, partecipano più pienamente alla missione redentrice che Cristo Signore ha ricevuto dal Padre per lo Spirito Santo, secondo le parole del Vangelo: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per risanare i contriti di cuore, per proclamare ai prigionieri la liberazione...” (Lc 4, 18).

La Santa Trinità, pertanto, è il principio movente e, per nuovo titolo, la ragione suprema del nostro apostolato, il cui compito è mettersi a servizio della Chiesa universale e particolare, nelle opere di carità e del sacro ministero, secondo il carisma proprio dell’Ordine.

I frati, per la carità redentiva, dalla quale è animato e informato tutto l’apostolato dell’Ordine, partecipano e testimoniano l’amore della Trinità nell’opera della salvezza umana.

65. Il nostro Ordine, quindi, cerca di partecipare alla missione della Chiesa e alla sua azione pastorale, sia presso il popolo cristiano che nel campo missionario ed ecumenico [90], per l’edificazione del Regno di Dio, nel ministero di fede e nel servizio di carità e di redenzione.

66. Nell’esercizio delle opere di apostolato, i frati sono soggetti anche alla potestà dei Vescovi, “ai quali devono rispetto devoto e riverenza” [91].

Nell’esercizio dell’apostolato, gli strumenti di comunicazione sociale vengano usati secondo l’opportunità, e osservando esattamente le prescrizioni del diritto universale.

Tutti i religiosi per poter pubblicare scritti che trattano questioni di religione o costumi, necessitano anche della licenza del proprio Superiore maggiore, a norma del can. 832. Questi, poi, non conceda detta licenza se almeno un religioso, esperto in materia che adempie l’ufficio di censore, non avrà dato, in scritto, parere favorevole.

Nell’organizzare le opere, i Vescovi e i Superiori procedano su un piano di reciproca intesa [92].

Apostolato caritativo-redentivo

67. I frati, aderendo al progetto del Fondatore e rivolgendo l’attenzione alle necessità della Chiesa, hanno il dovere di prestare la loro opera di redenzione e di misericordia per aiutare quelle persone la cui fede è in pericolo. E faranno ciò per coloro che sono gravati dal peso dell’odierna schiavitù [93].

Sono tenuti a promuovere, con assidua e solerte attività, queste opere di carità di redenzione anche con la collaborazione dei membri della famiglia trinitaria, dei benefattori e di altre persone di buona volontà.

Nel contesto della persecuzione per Cristo o di coloro la cui fede cristiana è in pericolo o impedita, l'Ordine promuoverà questa carità redentrice per mezzo dell'Ufficio del Procuratore Generale della Redenzione che, seguendo la tradizione dell'Ordine, promuove l'informazione e la consapevolezza, la preghiera per i perseguitati e i progetti concreti.

68. Inoltre, riservato quanto basta al loro parco sostentamento, nello spirito della condivisione dei beni secondo la Regola e la tradizione dell’Ordine, destinino i loro beni ad opere di misericordia e di redenzione, specialmente per quelli che soffrono a causa della fede [94].

69. Essendo però molto vasti i campi della carità redentiva, è compito del capitolo generale, considerati i segni dei tempi, stabilire quali opere, secondo le necessità più urgenti della Chiesa e la costante ispirazione dell’Ordine, i nostri devono scegliere ed esercitare.

70. Spetta anche al capitolo e alla congregazione decidere, se la gravità del caso lo richiede, in che misura le case e le provincie devono contribuire.

Tocca alle singole provincie definire come tale apostolato deve essere esercitato, considerate le condizioni dei luoghi e tenute presenti le norme dell’Ordine e delle Chiese locali.

Nelle varie comunità dell’Ordine è il capitolo conventuale ad assumersi l’onere, con l’approvazione della competente autorità, di ordinare e dirigere l’attività apostolica di carità, e di adeguarla alle circostanze dei luoghi e dei tempi.

Apostolato missionario

71. “Essendo tutta la Chiesa missionaria, ed essendo l’opera dell’evangelizzazione dovere fondamentale del Popolo di Dio” [95], il nostro Ordine adempie questo dovere anche in forma diretta nelle stesse terre di missione [96]; ciò che, per verità, risponde al nostro spirito, al nostro patrimonio e alla nostra tradizione.

Nelle missioni, infatti, l’Ordine promuove la redenzione delle persone, esercita opere di carità e di apostolato, edifica, mediante il battesimo, nuovi templi e santuari della Trinità.

Ministero parrocchiale

72. Il nostro Ordine è disponibile per la molteplice opera di apostolato e per le varie iniziative del compito pastorale della Chiesa.

Perciò i nostri religiosi, “con piena coscienza e impegno, lavorino” nelle chiese locali, e volentieri prendano parte al ministero pastorale, secondo le esigenze dei luoghi e del Popolo di Dio; in modo, tuttavia, “che nella famiglia diocesana, sappiano rappresentare ed esprimere la testimonianza specifica e la genuina missione dell’Ordine”, e “conservino fedelmente una sostanziale partecipazione alla vita della comunità” [97].

Nell’accettare, dirigere e lasciare parrocchie, cappellanie ed altro opere o incarichi, vengano osservate le prescrizioni della Chiesa e dell’Ordine [98].

La Trinità nell’attività apostolica dell’Ordine

73. I frati curino di promuovere assiduamente, con la parola e con l’azione, il culto e la devozione verso la Santissima Trinità, usando anche mezzi e sussidi adatti ai tempi odierni, affinché gli uomini siano aiutati a conoscere ad amare Dio uno e trino, specialmente nelle sue relazioni con il genere umano, e in quelle cose che testimoniano e rendono manifesta la sua vivificante presenza nelle anime e nel mondo.

74. Nell’apostolato sia proprio dell’Ordine che in quello comune della Chiesa, i nostri religiosi aiutino i fedeli ad acquistare una fede viva e matura che, presentando ogni cosa alla luce del mistero trinitario, porti lume e conforto nelle angustie della vita e sproni alla giustizia e alla carità, particolarmente versi i bisognosi [99].

Prestino, poi, un aiuto speciale ai fedeli ascritti alle nostre associazioni, perché professino un culto speciale nell’augusto mistero e cooperino nelle opere di apostolato dell’Ordine.

Capitolo VI: FORMAZIONE DEI FRATI

Vocazioni

75. Cristo Signore, che chiamò alcuni in modo speciale, anche oggi continuamente, con chiamata particolare, invita altri alla sua peculiare sequela nella vita religiosa.

I nostri religiosi, consapevoli che la vocazione è un dono dello Spirito, impieghino tutte le loro forze nel promuovere tali vocazioni, nel riconoscerle e nel coltivarle [100]; opera, questa, certamente di grandissima importanza e molto difficile che va, senza dubbio, a vantaggio della Chiesa e dell’Ordine.

76. In ogni provincia, quindi, sia promossa diligentemente l’opera delle vocazioni, e il Ministro provinciale con il suo consiglio disponga tutte le cose perché, mediante la formazione scientifica congiunta a quella umana, secondo i principi della Chiesa e della santa pedagogia, i candidati vengano meglio preparati ad accogliere il dono della vocazione con animo libero e gioioso.

77. Ricordino i nostri religiosi che l’esempio della propria vita e della propria attività apostolica vissute gioiosamente, costituiscono la propaganda migliore del nostro Ordine e il migliore invito ad abbracciare la vita religiosa trinitaria [101].

Pertanto, le nostre case, con il concorso di tutti i religiosi, diventino comunità ben disposte ad accogliere i chiamati tra di noi.

Formazione

78. La formazione dei nostri frati, dalla quale soprattutto dipende l’incremento e la fecondità dell’Ordine, è diretta a promuovere la maturità della persona sia nell’ordine della natura che della grazia, e a plasmare ed arricchire armoniosamente le disposizioni dell’animo e le doti morali, intellettuali, sociali, culturali, secondo lo spirito dell’Ordine, maggiormente idonei alla sequela di Cristo e al servizio del popolo di Dio.

Il processo formativo non mira solo alla perfezione della persona umana, ma anche a far sì che i candidati diventino strumenti idonei del mistero della salvezza.

Pertanto, devono essere messi in atto diligentemente tutti i principi dell’educazione cristiana e della formazione religiosa e trinitaria, e ricercati gli opportuni sussidi dalle varie scienze psicologiche e pedagogiche.

79. Le costituzioni danno le norme generali della formazione. Il direttorio generale, gli statuti provinciali e il piano di formazione e degli studi sia generale che provinciale, definiscono il resto, salva però l’indole e l’unità dei progetti.

La formazione è affidata in modo speciale ai Superiori e ai loro consigli, coadiuvati dai segretari di diverso grado o speciali commissioni per la formazione.

80. Gli elementi della formazione devono corrispondere sotto ogni aspetto alle esigenze della Chiesa universale e dell’Ordine, ma soprattutto occorre che siano adeguati alle varie circostanze di tempo e di luogo in cui i religiosi dovranno principalmente svolgere il ministero apostolico.

81. Tale formazione, da impartire gradualmente, prevede fasi e gradi diversi che, considerata e assodata l’idoneità di ciascun candidato, si accordano con il processo di maturazione degli studi.

Perciò la durata dei diversi gradi deve svolgersi tra un tempo minimo e massimo.

82. Il corso formativo che i nostri candidati devono compiere comprende due periodi:

1. il periodo di formazione che prevede la professione solenne e che comprende:

a) il noviziato, al quale viene premesso un tempo di esperimento o postulato;

b) il dopo noviziato, fino alla professione solenne. 2. Il periodo seguente alla professione solenne.

83. I candidati devono chiedere per iscritto l’ammissione ai vari gradi di formazione. Il Superiore maggiore li ammette a norma del direttorio generale

Noviziato

84. Terminato il periodo di esperimento, il candidato che risulta idoneo a norma del diritto sia della Chiesa che dell’Ordine, viene ammesso legittimamente al noviziato.

85. L’ammissione al noviziato spetta al Superiore maggiore con il voto deliberativo del suo consiglio, previo il voto consultivo del capitolo conventuale della casa, dove il candidato ha trascorso il postulato.

86. È ammesso invalidamente al noviziato:
1. chi non ha ancora compiuto 17 anni di età; 2. chi è sposato, durante il matrimonio;

3. chi è attualmente legato con un vincolo sacro a qualche istituto di vita consacrata, o è incorporato in una società di vita apostolica, salvo il dispositivo del canone 684;

4. chi entra nell’Istituto indotto da violenza, da grave timore o da inganno, e chi è accettato da un Superiore costretto allo stesso modo;

5. chi ha nascosto di essere stato incorporato in un istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica [102].

87. Il noviziato, con il quale si inizia la vita nell’Istituto “è ordinato a far sì che i novizi possano prendere meglio coscienza della vocazione divina, quale è propria dell’ordine, sperimentare lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo il suo spirito; e al tempo stesso siano verificate le loro intenzioni e la loro idoneità [103]”

È anche proprio del noviziato manifestare al novizio le cose che si esigono nella vita religiosa propria dell’ordine e, mirando ad una carità più perfetta, abituarlo alla pratica della vita teologica e dei consigli evangelici, secondo la dottrina del Signore proposta nel Vangelo.

Il novizio, quindi, deve essere istruito e gradualmente iniziato allo spirito e alle opere dell’Ordine, in modo che di giorno in giorno, nella sua condotta impari a condurre e a mettere insieme armoniosamente quella vita spirituale, comunitaria e apostolica, che in seguito dovrà vivere [104].

88. Il maestro dei novizi viene designato a norma degli statuti della provincia. Egli sia professo solenne nell’Ordine, cospicuo per carità, prudenza, osservanza religiosa, e costituito nel sacerdozio [105].

I novizi, con l’opera e la cura del maestro, siano formati a conoscere e a vivere convenientemente la vita spirituale; si nutrano della lettura divina, della partecipazione attiva alla sacra liturgia, e della preghiera personale, e si esercitino congruentemente nella mortificazione.

Il maestro rivolga la sua opera zelante principalmente a far sì che essi attendano allo studio assiduo della Regola e delle costituzioni, e vengano istruiti sulla vita del Fondatore, sulla storia e sulla spiritualità dell’Ordine.

89. Per integrare la formazione dei novizi e per sperimentare praticamente, in qualche modo, la loro attitudine allo stile di vita dell’Ordine, gli statuti di ogni provincia possano stabilire opportuni intervalli di tempo, secondo la mente e le norme della Chiesa [106].

90. Il noviziato è uno e identico per tutti i candidati e, per essere valido, deve essere trascorso in case debitamente designate dal Ministro generale con il consenso del suo consiglio, su proposta del consiglio provinciale, e deve comprendere dodici mesi, non computando i periodi di tempo di attività formativa, trascorsi fuori della casa del noviziato.

Il noviziato non sia prolungato oltre i due anni [107].

91. Salvo le disposizioni del diritto universale, un’assenza dalla casa del noviziato, durante l’anno canonico, che superi i tre mesi continui o discontinui, rende invalido il noviziato. Un’assenza che superi i quindici giorni deve essere recuperata [108].

92. Il novizio può liberamente lasciare l’Ordine; d’altra parte, la competente autorità può dimetterlo, a norma del direttorio generale [109].

Professione temporanea

93. Terminato il noviziato, il candidato si lega all’Ordine con la professione temporanea, con la quale si impegna con voto pubblico all’osservanza dei tre consigli evangelici per un anno, trascorso il quale, i voti vengono rinnovati annualmente per uno spazio di tre anni. Gli statuti di ciascuna provincia possono stabilire uno spazio di tempo più lungo per la professione temporanea, tuttavia non più di un altro triennio. Ma, per giusta causa, il Ministro provinciale con il consenso del suo consiglio può prorogare lo spazio di tempo stabilito per la professione temporanea, tuttavia non oltre i nove anni complessivi, o ridurlo ma non a meno di tre anni [110].

94. Per la validità della professione temporanea si richiede:

a) che sia stato compiuto almeno il diciottesimo anno di età;

b) che il noviziato sia stato portato a termine validamente;

c) l’ammissione da parte del Superiore maggiore con voto deliberato del suo consiglio, previo il voto consultivo del capitolo della casa di noviziato;

d) che sia espressa e libera;

e) che sia ricevuta dal Superiore maggiore personalmente o per mezzo di un solo delegato [111].

95. Questo spazio di tempo costituisce la preparazione alla professione solenne, con la quale la formazione religiosa trinitaria già iniziata, continua teoricamente e praticamente.

Professione solenne

96. Terminato il tempo per il quale è stata emessa la professione temporanea, il religioso che lo richiede spontaneamente in scritto e che è stato trovato idoneo, venga ammesso alla professione solenne dal Ministro provinciale, dopo aver ricevuto il voto consultivo del capitolo conventuale delle case nelle quali il candidato ha dimorato almeno per sei mesi continui, e il voto deliberativo del proprio consiglio; altrimenti torni al secolo, a meno che non vi sia ancora spazio per una proroga a norma del diritto.

Con la professione solenne, il religioso viene incorporato definitivamente all’Ordine.

97. Oltre a quanto detto nel numero 94 c), d), e), per la validità della professione solenne si richiedono almeno 21 anni compiuti e la previa professione temporanea

di tre anni, salva tuttavia la facoltà del Ministro provinciale di anticipare, per giusta causa, la professione solenne, non però di oltre tre mesi [112].

98. Dopo i voti solenni, la formazione dei frati sia protratta convenientemente, perché essi arricchiscano e perfezionino le doti personali e l’inserimento specifico nella vita comunitaria e apostolica dell’Ordine.

99. Coloro che sono chiamati al sacerdozio, tenuto conto delle norme della Chiesa e considerata l’indole dell’Ordine, devono tendere a divenire, attraverso gli studi ecclesiastici, veri pastori di anime, sull’esempio di Gesù Cristo maestro, sacerdote e pastore [113].

100. I frati non chierici, invece, secondo la capacità di ciascuno, siano educati non solo alle arti e agli studi, ma anche alla scienza teologica, liturgica e pastorale, perché possano cooperare più efficacemente all’apostolato ministeriale, per il bene della Chiesa e dell’Ordine [114].

Qualora le circostanze lo richiedessero, i nostri frati non chierici, premessa una congrua formazione, con il consenso del consiglio provinciale e osservate le norme della Chiesa, possono accedere al diaconato permanente ed esercitare il ministero annesso a questo ordine sacro.

Il Superiore maggiore, sentito il suo consiglio, può permettere che un frate non chierico passi allo stato clericale, se avrà constatato che egli ha le qualità richieste.

Comunità educativa

101. La formazione umana, religiosa, spirituale ed apostolica dei candidati esige che vi sia una comunità educatrice, che, in comunione di spirito e di azione, attenda assiduamente alla formazione dei candidati.

Formazione permanente

102. La formazione dei frati non termina con l’aver emesso la professione solenne, o con l’aver ricevuto il sacerdozio, o con l’aver espletato il corso sia ecclesiastico che stabilito dall’Ordine, ma deve essere proseguita per tutta la vita [115].

Pertanto, i nostri religiosi cerchino continuamente di perfezionare la loro cultura dottrinale, spirituale e tecnica, tenuto conto del progresso delle scienze nel campo psicologico, fisiologico, teologico-pastorale e sociale, di modo che possano rinnovare incessantemente e far crescere giorno per giorno la vita religiosa trinitaria.

103. A tale fine si tengano corso speciali e convegni, che i frati cercheranno di frequentare.

I ministri e le comunità siano disponibili verso i religiosi, procurando mezzi necessari e tempo, affinché essi possano realizzare il perfezionamento della propria persona, consentaneo alle esigenze dei tempi e all’esercizio dei propri incarichi.

104. Si abbia presente, in modo particolare, il rinnovamento della stessa vita religiosa nella testimonianza della povertà e del servizio verso i bisognosi e gli oppressi, nonché dell’obbedienza e della castità, per cui la comunità diviene segno di fraternità e di unità [116].

Capitolo VII: GOVERNO DELL’ORDINE

Parte prima: Governo in genere

105. L’Ordine della Santa Trinità è persona giuridica debitamente eretta nella Chiesa, e partecipe della potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria della Chiesa stessa [117].

Pertanto, con norme proprie e sotto la direzione della legittima autorità, ordina e dirige rettamente ed efficacemente la vita e l’azione di tutta la fraternità.

106. La forma di governo e di autorità, che procede dallo Spirito del Signore in connessione con la sacra Gerarchia, evidenzia l’unità dell’Ordine, tenuto conto dei principi di sussidiarietà e di corresponsabilità.

Struttura giuridica dell’Ordine

107. L’Ordine della Santa Trinità è costituito da frati che, per quanto concerne il regime, riuniti in più case, conducono vita comune sotto il Ministro della casa legittimamente designato. L’unione di più case legittimamente eretta sotto lo stesso Superiore è chiamata provincia. Nell’Ordine sono ammesse anche le viceprovince, i vicariati sia generali che provinciali, e le case immediatamente soggette al Ministro generale e al suo consiglio.

Tutte queste circoscrizioni o giurisdizioni possono essere ordinarie o missionarie. 108. Per erigere canonicamente una casa, si tenga presente:

-il bene della Chiesa e dell’Ordine;

-la possibilità di condurre regolarmente la vita religiosa, e le condizioni da essa richieste secondo le finalità e lo spirito dell’Ordine;

-l’opportunità del lavoro e delle opere secondo l’indole propria dell’Ordine.

La casa religiosa canonicamente eretta è riconosciuta come persona giuridica.

L’erezione di una casa spetta al Ministro provinciale con il consenso del suo consiglio, informatone il Ministro generale previo il consenso scritto del Vescovo diocesano; la soppressione, invece, spetta al Ministro generale. Sia nell’erezione che nella soppressione, devono essere osservate le prescrizioni del diritto universale e proprio [118].

109. Per costituire una provincia o una viceprovincia si richiedono i mezzi necessari per il sicuro adempimento degli obblighi dell’Ordine, ed inoltre il prestabilito numero di case e di frati, secondo il direttorio generale.

È di competenza del capitolo generale decidere della erezione, unione, divisione e soppressione delle province, viceprovince e vicariati generali.

Spetta al consiglio generale, sentiti gli interessati, preparare quanto è preventivamente richiesto, secondo le norme del diritto universale e proprio.

110. La provincia o la viceprovincia canonicamente eretta è persona giuridica, e le compete, osservate le dovute condizioni:

-partecipare al capitolo e alla congregazione generale; -celebrare il capitolo;
-redigere statuti;

-deliberare circa l’erezione, unione o soppressione di un vicariato provinciale, sia ordinario che missionario, secondo le norme del direttorio generale e degli statuti provinciali;

-erigere case nella propria giurisdizione e chiederne al Ministro generale la soppressione;

-ricevere religiosi e dimetterli, a norma del diritto universale e proprio.

111. Quando ve ne sono le condizioni, la missione può essere eretta in vicariato, viceprovincia o provincia missionaria, con statuto proprio.

Leggi e altre norme dell’Ordine

112. Le costituzioni generali, approvate dalla Sede Apostolica, costituiscono il codice fondamentale delle norme dell’Ordine, dalle quali è retta la fraternità trinitaria.

La loro interpretazione pratica spetta al capitolo generale; fuori dal capitolo e fino alla sua celebrazione, spetta alla congregazione e al capitolo generale. È anche di pertinenza di queste autorità dispensare temporaneamente, in casi particolari e per giusta causa, dalle prescrizioni disciplinari delle costituzioni.

L’interpretazione autentica delle costituzioni, e similmente l’aggiunta o la soppressione e l’innovazione di articoli spetta alla Santa Sede, previa petizione fatta collegialmente da due terzi dei vocali del capitolo generale.

113. Il direttorio generale dell’Ordine, redatto dall’autorità del capitolo generale, contiene altre norme vigenti in tutto l’Ordine, della cui interpretazione, cambiamento, soppressione e dispensa tratta lo stesso direttorio.

114. Per ciascuna provincia, regione, gruppo, segretariato, possono essere redatti statuti propri, che non siano contrari alle norme generali, e che devono essere approvati dalla legittima autorità.

115. Il frate, per la propria professione nell’Ordine, è tenuto non solo ad osservare integralmente e con fedeltà i consigli evangelici, ma anche a vivere secondo le costituzioni e le altre norme che costituiscono il diritto proprio dell’Ordine, e in tal modo tendere alla perfezione del proprio stato [119].

Autorità dell’Ordine e sua funzione

116. Nell’Ordine si distingue una duplice autorità:

a) l’autorità personale, che comporta potestà di giurisdizione e uffici di governo, comprende diversi gradi:

-Ministro generale,

-Ministro provinciale e a modo di provinciale, Ministro locale;

b) l’autorità collegiale, che è propria dei capitoli, delle congregazioni e talvolta dei consigli di diverso grado [120].

117. L’autorità, che riguarda soprattutto l’ambito della fraternità, è un vero servizio di ministero nell’Ordine, e ad essa, per analogia con l’ufficio ecclesiastico pastorale, è attribuita la triplice funzione di insegnare, santificare e governare [121].

118. Perciò, l’autorità nell’Ordine, entro i limiti della rispettiva competenza, e con la collaborazione della comunità che presiede, è tenuta:

a) a procurare che i frati conoscano bene e amino, in comunione con il magistero della Chiesa, la dottrina della vita consacrata, il carisma particolare, la spiritualità e il patrimonio dell’Ordine;

b) a promuovere continuamente la perfezione della carità, mediante la fedele osservanza dei voti, alla pratica della vita spirituale e l’esercizio assiduo dell’apostolato;

c) a regolare, secondo le norme dell’Ordine, la vita della comunità e dei singoli frati; a provvedere, con mezzi adatti, alle necessità spirituali e materiali dei frati e delle comunità; a fomentare la mutua edificazione e la testimonianza evangelica della vita.

119. Nell’Ordine sono ritenuti uffici di governo: a) il Ministro generale,
il Ministro provinciale,
il Ministro a modo di provinciale,

il Ministro locale,

i loro Vicari;
b) i consiglieri generali,
i consiglieri provinciali,
i consiglieri del Ministro a modo di provinciale.

I consiglieri, però, esercitano il loro ufficio non singolarmente, ma quando formano un gruppo di persone o talvolta un collegio [122].

120. Vi sono molti altri uffici che nell’Ordine non conferiscono giurisdizione, ma designano incarichi o compiti che in esso vengono svolti.

Provvisione e perdita degli uffici

121. La provvisione degli uffici di governo si effettua per elezione e conferma dell’eletto o, se si tratta di postulazione, per ammissione della medesima o, in caso particolare, per compromesso.

Qualsiasi provvisione di uffici deve essere fatta in modo legittimo e nella forma prescritta dal diritto universale, dalle costituzioni e dal direttorio generale.

La provvisione di uffici non di governo viene fatta nella forma stabilita nel direttorio generale.

122. Perché uno possa godere della voce attiva o passiva nella provvisione degli uffici, è necessario che sia professo solenne nell’Ordine, a meno che in qualche caso particolare non sia disposto altrimenti, ed abbia le qualità richieste dal diritto universale e proprio.

123. Per l’ufficio di Ministro generale, provinciale e a modo di provinciale si richiede, per la validità, che il religioso sia professo solenne da dieci anni [123]. Il Ministro della casa, invece, deve essere professo solenne dal tempo stabilito nel direttorio generale.

124. I frati, nel conferire gli uffici, procedano con retta intenzione, eleggendo o designando, senza preferenza di persone, quelli che riconoscono nel Signore veramente degni e adatti; e rifuggano dal procurare direttamente o indirettamente voti sia per sé che per altri [124].

125. Le elezioni siano fatte per un tempo determinato, trascorso il quale, quelli che hanno esercitato un ufficio possono essere confermati nel medesimo, ma dopo la seconda volta possono essere confermati soltanto secondo le norme stabilite nel direttorio generale.

I Ministri, prima di prendere possesso del proprio ufficio, devono emettere professione di fede, secondo la formula approvata dalla Sede Apostolica, dinanzi al presidente del collegio eleggente o suo delegato, a norma del canone 833, 8.

I religiosi designati ad altri uffici emettano la suddetta professione di fede a norma del direttorio generale.

126. Nell’Ordine nessun ufficio è inamovibile. L’ufficio si perde con lo scadere del tempo prestabilito, per rinunzia accettata, trasferimento, rimozione o anche per privazione [125].

Forma giuridica dell’esercizio dell’autorità

127. L’autorità collegiale, per agire validamente e lecitamente, deve procedere collegialmente e secondo le norme del diritto.

Anche l’autorità personale deve essere esercitata a norma del diritto.

128. Quando il diritto stabilisce che il Superiore ha bisogno, per agire, del consenso del consiglio di alcune persone singole o di un collegio, si richiede, per la validità, che sia ottenuto il consenso o richiesto il consiglio, a norma del diritto [126].

Funzione pastorale dei Superiori

129. I Superiori, per edificare una fraterna comunità in Cristo, nella quale i frati possano tendere alacremente alla perfezione della carità secondo lo spirito e l’indole dell’Ordine, devono vigilare perché non venga meno il fervore spirituale, ma che anzi si rinnovi e fiorisca sempre di più.

Per raggiungere tale scopo, oltre a quanto è contenuto nei diversi passi delle nostre leggi, giova molto la diligente osservanza del precetto evangelico della correzione fraterna.

130. I frati aiutino con evangelica carità il confratello che si trova in pericolo. Se poi sanno che egli ha mancato gravemente, per il bene suo e della comunità lo ammoniscano con dolcezza e fraternità e lo riprendano, come vuole la Regola, secondo le parole del Vangelo (Cfr. Mt 18, 15). Questo precetto obbliga tutti, ma in modo particolare quelli rivestiti di autorità (Cfr. Gal. 6, 1; 1 Tm 5, 20).

131. I ministri locali poi, in colloqui privati e nelle celebrazioni comunitarie, e i Superiori maggiori, specialmente nelle loro visite pastorali, correggano con esortazioni e avvertenze, oltre alle altre cose, le mancanze sia dei singoli che della comunità e gli abusi contro le prescrizioni delle leggi e contro le osservanze del nostro Ordine.

132. Chi, però, persevera con ostinazione nell’errore e nella colpa, sia ammonito e ripreso con rimedi adatti ed efficaci recepiti nell’Ordine [127].

Ma quando si tratta di applicare le pene ecclesiastiche, si devono osservare diligentemente, oltre al precetto della carità del Signore, le norme del diritto universale.

Parte seconda: Governo in specie

A) GOVERNO GENERALE

Capitolo generale

133. Il capitolo generale, autorità suprema e segno di comunione nella carità e di reciproca unione di forme e di cuori, è l’assemblea universale dell’Ordine, che esprime la partecipazione di tutti i frati, per effettuare le elezioni generali, per trattare e definire le cose che possono promuovere il bene dell’Ordine, e specialmente per custodire il proprio patrimonio e fomentare il rinnovamento aggiornato secondo il medesimo patrimonio, come anche per stabilire norme alle quali tutti devono obbedire.

134. Il capitolo generale ordinario sia celebrato ogni sei anni, nella solennità, se è possibile, della Santa Trinità, a norma del diritto universale e proprio.

  1. Nel capitolo generale hanno voce attiva: -il Ministro generale,
    -i consiglieri generali,
    -i Ministri provinciali,

    -i Ministri viceprovinciali,

    -altri vocali di voti solenni secondo le norme del direttorio generale, di maniera che, tuttavia, il numero dei designati per elezione non sia inferiore al numero dei partecipanti per ufficio.

  2. Nel capitolo generale vengono eletti: -il Ministro generale,
    -i quattro consiglieri generali,
    -il Vicario generale,

    -il Segretario generale,

    -il Procuratore generale.

137. Per l’elezione del Ministro generale sono ammessi cinque scrutini, e nei primi quattro si richiedono i due terzi dei suffragi.

Dopo il secondo scrutinio inefficace, viene escluso il candidato che per la terza volta successiva concorre all’ufficio di Ministro generale.

Dopo quattro scrutini inefficaci, la votazione si effettua sopra i due candidati che hanno ottenuto la maggior parte dei voti o, se sono di più, sopra i due più anziani di professione solenne, e se fossero pari di professione, sopra i due più anziani di età.

Se avessero riportato pari voti, è ritenuto eletto il più anziano di professione solenne e, se fossero uguali di professione, il più anziano di età.

Per le altre elezioni e per gli affari da risolvere in capitolo, si osservi quanto disposto nel canone 119, & 1, 2.

138. Il Ministro generale, consultati i consigli provinciali e con consenso del suo consiglio, può convocare il capitolo generale straordinario, per trattare affari di grande importanza concernenti la vita e l’attività dell’Ordine.

Quanto è detto del capitolo generale ordinario, vale anche per il capitolo straordinario, eccettuate le cose proprie del capitolo ordinario.

Congregazione generale

139. La congregazione generale è una riunione speciale dell’Ordine, alla quale compete:

a) esaminare i voti e i programmi stabiliti all’inizio del sessennio;

b) provvedere i mezzi adatti ai tempi per promuovere sempre più il bene dell’Ordine;

c) fomentare le relazioni delle province tra loro e con la Curia generalizia, e trattare fraternamente dello stato dell’Ordine;

d) interpretare le costituzioni durante il tempo della sua celebrazione, a norma del n. 112 delle presenti costituzioni;

e) accettare la rinunzia degli uffici generali e reintegrare gli stessi uffici con nuove elezioni, a norma del diritto;

f) trattare gli affari economici di maggior rilievo.

140. La congregazione generale sia celebrata una volta durante il sessennio, e inoltre tutte le volte che sembrerà opportuno al Ministro generale con il suo consiglio.

Detta congregazione ha potere deliberativo ed è retta dalle norme stabilite nel direttorio generale.

141. La congregazione generale è composta dal Ministro generale e dal suo consiglio, dal Segretario e dal Procuratore generale, dai Ministri provinciali «ad instar» e dall’Economo generale e dal Procuratore Generale della Redenzione.

Consiglio generale

142. Il consiglio generale è costituito dal Ministro generale e dai quattro consiglieri.

È suo compito, osservando diligentemente quanto avviene nella Chiesa e nell’Ordine, avere sollecita cura del bene comune di tutto l’Ordine, secondo le facoltà che gli sono attribuite.

Inoltre, il consiglio generale, con la sua assidua collaborazione specialmente prestando il suo consenso o il suo consiglio a norma del diritto, offre al Ministro generale un valido aiuto nel governo dell’Ordine.

Il consiglio generale, fuori del tempo del capitolo e della congregazione generale, ha la suprema potestà esecutiva e giudiziale nell’Ordine.

Per diritto universale e proprio dell’Ordine, competono al consiglio in quanto tale molte cose da compiere collegialmente. Oltre a quelle indicate nei rispettivi punti, si elencano le seguenti:

a) emanare decreti esecutivi per tutto l’Ordine o per una sua parte, e revocarli o mutarli;

b) interpretare le costituzioni fuori del capitolo e della congregazione a norma del n. 112 delle presenti costituzioni, e dispensare per gli atti singoli dai decreti del capitolo generale;

c) adempiere la funzione di supremo tribunale dell’Ordine;

d) accettare, fuori dal capitolo e della congregazione, le rinunzie agli uffici generali e provvedervi quando, per qualsiasi ragione, sono vacanti, fermo restando il disposto del n. 147 delle presenti costituzioni. Accetta, invece, la rinunzia del Ministro generale, a norma del n. 146 di queste costituzioni;

e) concedere le approvazioni e i diversi permessi richiesti dal diritto.

143. Il consiglio generale è retto da uno statuto proprio; per le elezioni e, a giudizio del presidente, per gli affari più importanti il consiglio sia pieno.

Ministro generale

144. Il Ministro maggiore e generale ha giurisdizione ordinaria su tutte le province, le case e i frati; giurisdizione che esercita a norma del diritto e delle costituzioni. I frati, pertanto, gli prestino rispettosa obbedienza, come a legittimo successore del Santo Padre Giovanni.

Egli, d’altra parte, facendosi sinceramente modello del gregge, provveda, con accurata sollecitudine, al bene, all’incremento e alla prosperità dell’Ordine, e vigili attentamente perché gli altri Ministri compiano fedelmente il compito loro affidato e, con la parola e l’esempio, facciano progredire in ogni opera buona i loro religiosi.

145. Il Ministro generale eserciti la sua missione pastorale con i mezzi più adatti alle circostanze dei tempi e, almeno una volta durante il sessennio, visiti personalmente, o tramite altro, le province, le viceprovince, i vicariati, le missioni e le loro case.

146. Fuori del capitolo e della congregazione generale, il consiglio generale pieno, consultati i consigli provinciali, può accettare la rinunzia del Ministro generale.

Prima di procedere ulteriormente, il documento della rinunzia insieme al giudizio del consiglio generale, espresso con voto segreto, sia rimesso alla Sante Sede per la conferma.

Per la rimozione del Ministro generale, oltre ai consiglieri generali, devono essere convocati i Ministri provinciali perché, esaminato il caso, deliberino collegialmente circa la rimozione, osservando le prescrizioni del diritto universale e proprio.

Il decreto, prima che sia mandato in esecuzione, insieme alle ragioni che hanno mosso ad emetterlo, sia rimesso alla Santa Sede per la conferma.

147. Quando l’ufficio di Ministro generale resta vacante entro il biennio dalla fine del sessennio, il Vicario generale assume il governo dell’Ordine fino al capitolo generale elettivo. L’elezione del Provicario generale, però, deve essere effettuata dalla congregazione generale entro cinque mesi. Se invece l’ufficio resta vacante più di due anni prima dalla fine del sessennio, il Vicario generale convochi la congregazione generale, perché elegga il nuovo Ministro generale, il cui mandato durerà sino alla fine del sessennio in corso.

Vicario generale

148. Il Vicario generale ha quelle facoltà, che il Ministro generale gli avrà opportunamente delegate, e fa le veci del Ministro generale assente o impedito.

In caso, però, di impedimento lungo o grave del Ministro generale, riconosciuto tale dal consiglio, egli governa l’Ordine usufruendo di tutte le facoltà.

149. Assente o impedito il Vicario generale, fanno le sue veci i consiglieri, secondo la priorità di elezione.

Ma se questo ufficio resta vacante, provveda la congregazione o, fuori della congregazione, il consiglio generale.

Segretario generale e Procuratore generale

150. Spetta al Segretario generale, oltre a ciò che gli viene affidato dal consiglio generale, registrare tutte le cose trattate dallo stesso consiglio generale, firmarne i documenti e gli atti.

Il Procuratore generale, invece, tratta gli affari dell’Ordine presso la Santa Sede.

Il Procuratore della Redenzione, seguendo la tradizione dell'Ordine, operi nel coordinamento della carità redentrice verso i perseguitati in ragione della loro fede in Cristo, contando anche sulla collaborazione dei membri della famiglia trinitaria, dei benefattori e di altre persone di buona volontà, secondo il n. 67 di queste Costituzioni.

151. Il capitolo o il consiglio generale possono istituire altri incarichi permanenti o temporanei, secondo le circostanze.

B) GOVERNO PROVINCIALE

Capitolo provinciale

152. Il capitolo provinciale è l’assemblea dei frati che rappresentano tutta la provincia, essi si riuniscono in comunione di spirito e di vita, per trattare del bene e del progresso prima di tutto della provincia, ma anche, poi, delle singole case e del loro incremento, dei mezzi adatti da usare a tal fine, e per effettuare le elezioni provinciali.

153. Il capitolo provinciale viene celebrato ogni tre anni, ed è retto dal diritto universale, dalle presenti costituzioni e da statuti particolari, dati dallo stesso capitolo provinciale ed approvati dal consiglio generale.

In esso vengono eletti:
-il Ministro provinciale,
-i consiglieri provinciali,
-il Vicario provinciale,
-il segretario provinciale,
-altri uffici secondo gli statuti di ciascuna provincia.

154. Quanto riguarda il tempo e il modo della celebrazione del capitolo provinciale e la sua preparazione, viene determinato dagli statuti della provincia secondo le norme del diritto generale.

155. Nel capitolo provinciale hanno voce attiva:

a) il Ministro generale o suo delegato,

b) il Ministro provinciale e i consiglieri provinciali,

c) il Ministro provinciale neoeletto,

d) il segretario provinciale,

e) il Ministro del vicariato provinciale o un delegato,

f) il Ministro del vicariato missionario o un delegato,

g) altri vocali, secondo gli statuti della provincia,

h) i delegati eletti secondo gli statuti di ciascuna provincia, in modo che, tuttavia, equiparino almeno il numero dei vocali designati dal diritto,

i) infine i neoeletti nello stesso capitolo, se vogliono.

156. Il capitolo provinciale straordinario può essere convocato dal Ministro provinciale, se così avrà deciso il consiglio provinciale, dopo aver sentito i Ministri delle case e averne informato il Ministro generale.

157. Può essere istituita la congregazione provinciale, se così è previsto negli statuti provinciali, ai quali spetta anche stabilire chi vi deve partecipare, quante volte e quando deve essere celebrata.

Consiglio provinciale

158. Il consiglio provinciale è costituito dal Ministro provinciale e da quattro consiglieri.

È suo compito esaminare con cura e diligenza, e provvedere opportunamente alle cose concernenti il bene spirituale e temporale di tutta la provincia e dei singoli conventi, alla vita religiosa e all’attività apostolica, e specialmente a quanto riguarda la formazione dei frati.

Per diritto universale e proprio dell’Ordine, competono al consiglio provinciale, in quanto tale, varie cose da esercitare collegialmente, come:

a) esaminare decreti esecutivi, mutarli e revocarli, per tutta la provincia o per una sua parte, ferma restando l’osservanza del diritto universale e dell’Ordine;

b) interpretare, fuori dal capitolo, gli statuti della provincia;

c) effettuare le elezioni che gli sono state demandate, e accettarne o ricusarne le rinunzie;

d) accettare, fuori dal capitolo e della congregazione, le rinunzie ad uffici ed incarichi provinciali, e provvedervi in qualunque modo essi restino vacanti, a meno che dal diritto non sia previsto altrimenti;

e) concedere le approvazioni e i permessi stabiliti dal diritto; f) svolgere la funzione di tribunale nella provincia;

g) infine, preavvisato il Ministro generale, convocare il capitolo provinciale, e fissare il tempo e il luogo della celebrazione.

159. Inoltre il consiglio presta assiduo aiuto al Ministro provinciale nel governo della provincia, con il consiglio e il consenso, a norma del diritto.

160. Il consiglio provinciale per le elezioni e per gli affari che, a giudizio del presidente, sono di maggiore importanza, sia pieno.

Ministro provinciale

161. Il Ministro provinciale gode di potestà ordinaria che esercita secondo le costituzioni, su tutte le case e i frati della provincia a lui affidata.

Egli, facendosi sinceramente modello del gregge, ha l’obbligo di curare con grande sollecitudine che in tutte le case della provincia siano in vigore e fioriscano lo spirito e la vita autentica dell’Ordine, e sia custodita l’osservanza delle leggi.

Ha inoltre il dovere di fomentare il bene dei singoli e di tutta la provincia e di promuovere con zelo le iniziative apostoliche.

162. Il Ministro provinciale è in primo luogo e per sé l’animatore della provincia, ed esercita il suo ufficio pastorale in spirito di fraternità e di servizio, facendo uso dei mezzi più adatti ai suoi luoghi e ai frati.

Personalmente, o per mezzo di un delegato, visiti le case della provincia almeno ogni anno, il vicariato provinciale invece e la missione affidata alla provincia, almeno una volta durante il triennio.

163. Fuori del capitolo, la rinunzia del Ministro provinciale può essere accettata dal Ministro generale con il consenso del suo consiglio, udito il consiglio provinciale.

164. Se l’ufficio di Ministro provinciale resta vacante entro il periodo di un anno dal termine del mandato, assume il governo della provincia il Vicari provinciale, fino al capitolo provinciale ordinario.

Se invece l’ufficio resta vacante a più di un anno dalla fine del mandato, il Vicario provinciale convochi la congregazione provinciale o, se questa non esiste, il capitolo straordinario, al quale spetterà di eleggere il nuovo Ministro provinciale, il cui incarico durerà sino alla fine del mandato in corso; e, se ne sarà il caso, eleggerà anche un altro Vicario o consigliere.

Vicario Provinciale e Segretario provinciale

165. Il Vicario provinciale gode delle facoltà che gli avrà opportunamente delegate il Ministro provinciale. E regge la provincia quando il Ministro provinciale è assente o impedito.

In caso, però, di impedimento lungo o grave, riconosciuto tale dal consiglio provinciale, gode di tutte le facoltà.

166. Assente o impedito il Vicario provinciale, gli succedono i consiglieri secondo la priorità di elezione.

167. Al Segretario provinciale spetta, oltre a ciò che gli viene affidato dal consiglio provinciale e dagli statuti della provincia, registrare le cose trattate, annotare tutto quello che riguarda le case o i frati della provincia, e sistemarlo ordinatamente nell’archivio.

168. Altri incarichi permanenti o temporanei possono essere istituiti, secondo le circostanze, dal capitolo o dal consiglio provinciale; ad essi si provveda opportunamente, a norma del direttorio generale e degli statuti di ciascuna provincia.

Viceprovincia e vicariato

169. Ciò che è stato detto del governo provinciale, si applica anche al governo della viceprovincia, eccetto quanto viene indicato a suo luogo.

170. Il vicariato generale o provinciale oppure la missione, presieduti da Ministri a modo di provinciali che hanno gli stessi diritti e doveri dei Ministri provinciali, hanno un proprio consiglio e sono retti dalle presenti costituzioni e dalle norme del direttorio generale e degli statuti particolari.

C) GOVERNO LOCALE

Capitolo conventuale

171. Il capitolo conventuale è la riunione dei frati della comunità trinitaria, che costituisce nella casa una sola famiglia. È suo compito trattare o deliberare le cose riguardanti la vita comune, spirituale e apostolica, e fomentare la concordia e l’attiva collaborazione dei singoli così che, mediante il dialogo fraterno, siano meglio portate avanti le iniziative della comunità e siano studiate in modo comunitario quelle nuove da intraprendere.

172. Spetta inoltre al capitolo conventuale:
a) eleggere, secondo le norme degli statuti della provincia:

-il Vicario,
-due consiglieri, -il segretario, -l’economo;

b) conferire altri incarichi necessari alla vita comunitaria e all’esercizio dell’apostolato.

173. Al capitolo intervengono con diritto di voto tutti i frati professi solenni, eccettuati gli ospiti. Siano però ascoltati gli altri frati tutte le volte che sembrerà conveniente.

Ministro della casa

174. Il Ministro, facendosi sinceramente modello del gregge, è l’anima della vita spirituale e apostolica. Egli, insieme con i frati, si adopera per costruire una comunità fraterna in Cristo, nella quale tutti i frati, solidali e compartecipi, nell’unità e nella carità, nello spirito e nelle opere, danno testimonianza della vita trinitaria.

Il Ministro viene eletto secondo le norme degli statuti di ciascuna provincia.

175. Il Ministro ha potestà ordinaria sui frati della comunità e, secondo la legislazione dell’Ordine, promuove la vita e l’attività dei frati che presiede con dottrina e l’esempio.

Vicario, consiglieri e segretario del convento

176. Il Vicario aiuta il Ministro nel governo del convento, e ne fa le veci quando questi è assente o impedito.

In assenza del Vicario, regge il convento il religioso più anziano di professione solenne, a meno che gli statuti provinciali non dispongano altrimenti.

177. I consiglieri prestano al Ministro la loro opera; trattano con lui frequentemente la vita e l’attività della comunità, rivedono accuratamente e firmano i registri della casa.

178. Mansione del segretario conventuale è di mettere agli atti gli affari della comunità, scrivere gli annali, ordinare l’archivio, fare il censimento o la statistica e l’inventario.

Governo delle case piccole

179. Spetta al direttorio generale e agli statuti della provincia stabilire una forma di vita particolare per le case nelle quali i religiosi sono molto pochi, così che, considerate le condizioni delle singole case, vi si possa condurre una vita conforme allo spirito e alle esigenze fondamentali della comunità trinitaria [128].

Il consiglio del Ministro in queste case è costituito da tutti i religiosi della comunità.

Capitolo VIII: BENI TEMPORALI

180. I frati del nostro Ordine, che secondo la Regola “devono vivere senza nulla di proprio”, possono possedere beni temporali soltanto in comunione. Pertanto, tutto ciò che essi acquistano, lo acquistano per l’Ordine, secondo le norme del diritto universale e proprio.

L’Ordine, infatti, le province e le case, in quanto persone giuridiche, per il diritto stesso hanno la capacità di acquistare, possedere, amministrare e alienare beni temporali mobili e immobili, in tutte le giuste forme del diritto naturale e positivo [129] , secondo i principi economici previsti dagli statuti della provincia; e possono ritenerli e amministrare per il loro conveniente sostentamento, per ordinare il culto divino ed esercitare opere di apostolato, di carità e di redenzione [130].

181. Il lavoro quotidiano, al quale i frati devono attendere in testimonianza di povertà e in spirito di fede e di servizio, è il modo ordinario e principale con cui i nostri religiosi procurano il necessario per sé e per le opere dell’Ordine [131]. Altri beni possono pervenire all’Ordine dalle elargizioni dei benefattori e dalle offerte dei fedeli.

Si deve, tuttavia, evitare ogni apparenza di lusso, di eccessivo guadagno e di accumulazione di beni [132].

182. Tutti i beni dell’Ordine, in quanto beni ecclesiastici, sono retti dalle norme del diritto patrimoniale universale della Chiesa, a meno che non sia espressamente disposto altro [133].

Il direttorio generale dell’Ordine e gli statuti di ciascuna provincia determinano quali beni appartengono alle singole persone giuridiche; inoltre, stabiliscono norme per rendere più efficace la comunicazione dei beni tra le diverse case e province.

Al direttorio generale e agli statuti provinciali, similmente, spetta determinare entro l’ambito del diritto universale, quali sono gli atti che eccedono tale limite e le modalità dell’amministrazione ordinaria, e stabilisce ciò che è necessario per porre validamente gli atti di amministrazione straordinaria [134]; determinare, inoltre, l’autorità alla quale spetta intervenire per l’alienazione dei beni, per contrarre mutui e debiti di altro genere, a seconda della diversa somma del contratto.

183. Siano perciò costituiti, a norma del diritto e sotto la direzione del Ministro competente, amministratori dei beni o economi, versati in diritto ecclesiastico e civile, specialmente riguardo ai contratti; essi svolgano diligentemente il loro incarico e prestino fedelmente il rendiconto dell’amministrazione nei tempi stabiliti dal direttorio, e ogni volta che l’autorità competente lo richieda [135].

Capitolo IX: SEPARAZIONE DEI FRATI DALL’ORDINE

184. La Chiesa, alla quale Cristo ha dato il potere di legare e di sciogliere, rescinde il vincolo della professione del frate dell’Ordine e gli stessi suoi voti, quando il bene comune o dello stesso frate lo richiedano (Cfr. Mt 16, 19; 18, 18).

Quando, tuttavia, si tratta della separazione dall’Ordine, si proceda con prudenza e carità.

185. La separazione dall’Ordine, che può essere parziale o totale, temporanea o definitiva, avviene in diversi modi [136].

1. Il religioso vincolato da voti temporanei, viene separato:

a) quando, terminato il tempo della professione, rifiuta di rinnovare i voti o di emettere la professione solenne, oppure quando dall’autorità competente dell’Ordine non viene ammesso a nessuna delle due cose;

b) quando, durante il tempo della professione, ha ottenuto dal Ministro generale l’indulto di lasciare l’Ordine o ne viene dimesso, con procedura istituita a norma del diritto.

2. Il professo di voti solenni nell’Ordine, viene da questo separato:

a) per legittimo passaggio ad altro istituto religioso o secolare, oppure a società di vita apostolica;

b) per indulto di esclaustrazione, che comporta una certa separazione parziale, definita dal diritto;

c) per indulto della Santa Sede di lasciare l’Ordine;

d) per dimissione dall’Ordine, sia in forza del diritto che a seguito di processo speciale, osservate tutte le condizioni richieste dal diritto.

186. I religiosi che lasciano l’Ordine o ne vengono legittimamente dimessi, non possono esigere nulla dal medesimo, per qualunque attività in esso compiuta.

L’Ordine, però, osservi verso quelli che se ne separano l’equità e la carità evangelica [137].

Capitolo X: RELAZIONE CON GLI ALTRI MEMBRI DELLA FAMIGLIA TRINITARIA

187. La nostra fraternità fomenta, per quanto è possibile, speciali rapporti con gli altri istituti della Famiglia trinitaria e con i loro membri. Pratica questo, conservando il primitivo spirito dell’Ordine, soprattutto nella compartecipazione dei beni spirituali e nella mutua assistenza e collaborazione.

188. Le monache del nostro Ordine esprimono l’aspetto contemplativo della Famiglia trinitaria, vivendo nella solitudine, nella preghiera, nella “metanoia” e nel lavoro, in intimo colloquio con il Padre per il Verbo nello Spirito Santo.

I nostri religiosi, assecondando i desideri della Chiesa, volentieri prestino loro aiuto, finché fioriscano ovunque in fervore e numero e, producendo frutti ricchissimi si santità, siano in onore e di esempio per il Popolo di Dio, al quale danno incremento con una misteriosa fecondità [138].

189. Le congregazioni di suore, partecipando del comune carisma dell’Ordine, ciascuna secondo il proprio stile di vita, lavorano nell’esercizio delle varie opere di misericordia e di redenzione a gloria e lode della Santa Trinità.

Il nostro Ordine instauri con loro una collaborazione, secondo le prescrizioni delle leggi, affinché l’uomo totale, creato ad immagine di Dio uno e trino, riceva in dono una copiosa redenzione dell’anima e del corpo.

190. Gli istituti secolari, l’ordine secolare e le altre associazioni trinitarie, fondati dall’Ordine o ad esso aggregati, compartecipano nel secolo del nostro carisma e, nella propria indole secolare e nella forma della loro peculiare vocazione, cercano di trasformare il mondo nello spirito delle beatitudini, come fermento dal di dentro.

I nostri religiosi si impegnino perché tali associazioni, aggiornate alle esigenze dei tempi, e altri “movimenti trinitari” vengano costituiti e fioriscano a gloria e onore della Chiesa.

191. Si prestino sensi di gratitudine, benevolenza e carità nei loro bisogni spirituali e temporali, ai benefattori e ai nostri collaboratori di qualsiasi genere.

I familiari, e in modo particolare i genitori dei nostri religiosi, sono ritenuti tra i benefattori distinti dell’Ordine, perciò si abbiano per essi speciali sentimenti di gratitudine e di affetto.

Capitolo XI: BIBLIOTECHE E ARCHIVI

Biblioteche

192. La forma di vita descritta in queste costituzioni richiede vari sussidi, tra i quali emerge la biblioteca.

Perciò in ogni casa vi sia la biblioteca, nelle quali si abbiano opere e libri di autori di sicuro valore e riviste recenti, più indicate per il progresso della scienza.

Vi si curi, inoltre, una sezione speciale di libri e di riviste riguardanti l’Ordine e il suo apostolato specifici.

Archivi

193. La Famiglia trinitaria si fonda su una particolare comunione di fede, di stile di vita religiosa e di progetti tra tutti i suoi membri, sia quelli dell’epoca primitiva e delle seguenti età fino alla nostra, sia quelli che in futuro si aggregheranno all’Ordine.

194. Il suo comune patrimonio, al quale devono partecipare tutti i membri, richiede che le vicende dell’Ordine, gli eventi più notevoli ed altri aspetti concernenti la vita religiosa e apostolica e fatti di vario genere, siano ricordati e registrati accuratamente, per essere collocati insieme con i documenti autentici negli archivi e tabulari dell’Ordine per la comune attività.

195. Bisogna, quindi, che nella Curia generalizia vi sia l’archivio dell’Ordine; nelle province quello provinciale; in ogni casa quello del convento. In essi siano custoditi diligentemente i documenti disposti ordinatamente, alcuni esemplari di libri pubblicati da frati o da altri riguardanti il nostro Ordine, e tutte le altre cose degne di memoria.

Inoltre, si faccia indice e inventario dei documenti conservati in archivio, e di essi venga redatto, con chiarezza e diligenza, un prospetto sintetico e, in più, si abbia un’attenzione speciale per la sezione segreta dell’archivio.

196. Anche ogni altro ufficio abbia registri, documenti e inventari che lo riguardano; essi, ordinati secondo le norme delle nostre leggi, siano custoditi in tabulari speciali e, al momento opportuno, siano trasferiti ai predetti archivi.

197. In tal modo, gli archivi sono fonte e segno luminoso di comunione in tutto l’Ordine; offrono una testimonianza di vita dedicata a Dio e all’uomo; divengono stimolo di amore per una vita impegnata per la redenzione dei fratelli, a gloria della Santa Trinità.

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1  Cf. LG 43, 44; PC 1; ET 4

2  Cf. PC 15; ES II, 25

3  Cf. PC 8; ET 26

4  Cf. Reg. Trin.

5  JUAN BAUTISTA DE LA CONCEPCIÓN, Obras completas, III, Madrid 1999, 10-11

6  Cf. OT 8

7  INNOCENT III, Bulle Operante divine Dispositionis (17 décembre 1198)

8  Cf PC 18

9  CF. LG 20; 27

10 Cf. can. 596, § 2; MR 13

11 Reg. Trin. 1, 4

12 Cf PC 17; ET 22; Rituel de profession 13

13 Cf Reg. Trin.

14 Le titre aujourd’hui: Ordo Sanctissimae Trinitatis et Captivorum, par décision de la CIVCSVA du 23 juillet 2013

15  LG 47

16  Cf PC 1; ET 7

17  Cf LG 44; PC 5

18  Cf LG 45; PC 5

19  Cf LG 46

20  Cf PC 14

21  Cf LG 46

22  Cf can 654

23  Cf can 578

24  Cf LG 42; PO 16

25  Cf PC 12; LG 42; PO 16

26  Cf LG 42; PO 16; ET 14

27  Cf PC 12

28  LG 42; PO 16

29  Cf PC 12; ot 10

30  PO 16

31  Cf. PC 12

32  Cf LG 42; PC 13

33  Cf LG 44

34  Cf PC 13; ET 22; can. 600; Reg. Trin.

35  Cf can. 668, § 1

36  Cf can. 668, § 4

37  Cf can. 668, § 3

38  Cf PC 13; ET 20; Reg. Trin.

39  Cf. Reg. Trin.

40  Reg. Trin. 2

41  Cf. PC 13; ET 22; Reg. Trin. 3

42  Cf. PC 13

43  Cf. PC 14; ET 24-25

44  Cf. PC 14; ET 27, can. 601

45  Cf. can. 590 § 2

46  Cf. Reg. Trin. PC 14

47  Cf. ET 24, 25

48  Cf. Reg. Trin. 29

49  Cf. PC 14; ET 25; can. 618

50  Cf. PC 14

51  Cf. ET 54

52  Cf. SCRIS, Protocole N. T. 78-1/73

53  LG 4

54  Cf. can. 608

55  Cf. ET 39

56  Cf. can 669, § 1

57  Can. 665, § 1

58  Can 667, § 1

59  Can 666

60  Cf LG 42

61  Cf ET 47

62  Cf SC 7, 8

63  Cf SC 10

64  Cf SC 2; ET 48; can. 608

65  Cf. LG 11

66  Cf. can. 663 § 2

67  PO 18; cf. can. 663 § 2

68  Cf. SC 83-84

69  Cf. SC 86.90: PO 5; LH 14. 18.19

70  PC 6

71  Cf DV 25; PC 6

72  Cf. ES II, 16 § 1

73  Cf. SC 35, 4

74  SC 12

75  Cf. ES II, 21

76  GS 21; cf. OT 8

77  Cf. Reg. Trin.

78  Cf. LG 46.53.65; PO 18

79  Cf. AAS LIII (1961) 602

80  Cf. PO 18; can. 664

81  Cf. LH “ad completorium”

82  Cf. ET 35

83  Cf. can. 663, § 5

84  ET 46

85  LG 9

86  Cf. can. 664

87  ET 29

88  Cf. SC 109

89  Paen. III, 2

90  LG 64

91  Cf. PC 2; c; ET 50

92  Can. 678, § 2

93  Cf. can. 678, § 3

94  Cf. Const. n. 5

95  Cf. Reg. Trin. 2

96  AG 35

97  Cf. AG 27, 40; PC 20; EN 69; can. 783

98  MR 22, 46

99  Cf. can. 681

100 Cf. PC 24
101 Cf. PC 24; OT 2
102 Can. 643, § 1
103 Can. 646
104 Cf. can. 652, § 2
105 Cf. can. 651, § 1
106 Cf. can. 648, § 2
107 Cf. can. 648, § 1, 3
108 Cf. can. 649,§ 1
109 Cf. can. 653, § 1
110 Cf. can. 657, § 2
111 Cf. can.656
112 Cf. can. 658
113 Cf. OT 4; can. 659, § 3 114 Cf. PC 18
115 Cf. PC 18; can. 661

116  Cf. MR 27

117  Cf. can. 596

118  Cf. can. 609, 610, 616

119  Cf. can. 598, § 2

120  Cf. can. 631, 632

121  Cf. PC 14; ET 24; MR 13; Reg. Trin.

122  Cf. can. 127, § 2

123  Cf. can. 623

124  Cf. Reg. Trin. ; can. 626

125  Cf. can. 184

126  Cf. can. 127

127  Cf. Reg. Trin.

128  Cf. ET 40

129  Cf. can. 634

130  Cf. Reg. Trin.; PC 13; can 1254

131  Cf. PC 13; Reg. Trin.

132  Cf. PC 13; ET 22; can. 634 § 2

133  Cf. can. 635

134  Cf. can. 638 § 1

135  Cf. can. 636-2

136  Cf. can. 684-704

137  Cf. can. 702

138  Cf. PC 7